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La nostra storia. "Gorgoepíkoos", l'icona di Polsi

  •   Freedom Pentimalli
La nostra storia. "Gorgoepíkoos", l'icona di Polsi

Che il santuario di Polsi al centro dell’Aspromonte affondi le proprie radici in un passato lontano è cosa evidente anche al visitatore disinformato che vi giunge per la prima volta. Ma, per quanto lontano, quel passato può far sentire ancora la sua voce.

A fornire il pretesto a questa digressione è stata l’icona di Polsi, raffigurazione sacra della Madonna su tavola, risalente agli inizi del secolo XVIII. Come riporta Gaetano Passarelli in un breve quanto prezioso articolo, la raffigurazione attuale risale agli inizi del 1700, ma venne effettuata coprendo l’icona precedente, risalente presumibilmente al secolo XIV. Nell’icona che oggi possiamo ammirare appaiono delle scritte sia alla destra che alla sinistra della figura della Madonna. Il testo è disposto su due livelli: in quello superiore si riscontrano ΜΡ e ΘΥ, che sta per ΜΗΤΗΡ ΘΕΟΥ, “Madre di Dio”; nel livello inferiore si trovano ΗΓΟΡΓΟ e ΕΠΗΚΟΟΣ, ossia Η (Παναγία) ΓΟΡΓΟΕΠHΚΟΟΣ, “la (Madonna) che ubbidisce velocemente alle preghiere dei fedeli”.

La domanda sorge spontanea: da dove deriva questo appellativo? Una ricerca limitata ai motori di ricerca online ha portato alla scoperta di una storia-leggenda abbastanza conosciuta nella tradizione greco-ortodossa, ma pressoché ignota alla tradizione cattolica nostrana, della quale fornisco una traduzione e la fonte: “Come riporta San Nicodemo l’Aghiorita (1749-1809) nel Sinassario, nel monastero Dochiarìou (Μονή Δοχειαρίου) del monte Athos venne ritrovata un’antica icona della Madonna. I padri del monastero riferiscono sia stata dipinta all’epoca di Neofito, nipote di Eutimio, cofondatore, assieme allo zio, di quel monastero nel secolo XI. Tradizione vuole che nell’anno 1646, periodo molto difficile per il sacro monastero, dovuto alla mancanza di fondi necessari al pagamento dei tributi agli occupatori turchi, il monaco addetto alla mensa, di nome Nilos, passeggiasse continuamente, anche di notte, davanti all’antica icona della Madonna, tenendo in mano delle fiaccole accese. Una sera di quell’anno, dunque, proprio mentre si trovò a passare davanti all’icona, sentì una voce provenire da essa, che diceva: «Non passare da qui, annerisci tutto lo spazio col fumo».

Il monaco, credendo che fosse stata una persona a parlare, snobbò la voce e non diede importanza a quelle parole. Alcuni giorni più tardi, proprio mentre egli continuava a passare davanti a quell’icona con le fiaccole accese, udì nuovamente la voce, che gli diceva: «Oh monaco, quando smetterai di riempire di fumo e annerire la mia immagine disonorandomi?». E simultaneamente alla voce il poveretto perse anche la vista, rimanendo cieco. Comprendendo così il suo errore, ossia l’aver snobbato la prima voce e non averle ubbidito, costruì una panca davanti all’icona della Madonna e la pregò continuamente affinché gli perdonasse quel peccato dovuto alla disattenzione e gli donasse la luce; sicché, vide la sacra icona, la osannò e la ringraziò continuamente. La Madonna, ricevuta la sua preghiera, disse: «Ecco, da oggi ti dono la luce e fai attenzione in futuro a non passare con le fiaccole accese da qui, perché io sono la Signora di questo monastero e presto obbedisco (espressione che traduce il greco moderno γοργά υπακούω, derivante dal classico γοργόν επακούω) a coloro che mi invocano e mi offro alle loro richieste di salvezza, per tale motivo mi chiamo Gorgoepìkoos (Γοργοεπήκοος, La Veloce Ascoltatrice)».

Da allora quella santa icona si chiama Gorgoepìkoos, perché con le sue opere miracolose dà continua ed effettiva dimostrazione di obbedire velocemente a coloro i quali ricorrono a lei con devozione e fede. La sua carità opera miracoli non solo sul monte Athos, ma anche al di fuori di esso, nelle città e nei villaggi, in tutta la Grecia e in altri luoghi, ovunque la si rispetti e la si invochi. Quando, dunque, il monaco Nilos guarì dalla cecità, i padri del monastero costruirono in quel luogo una cappella dedicata alla Madonna Gorgoepìkoos, come lei stessa ebbe a definirsi. Ancora oggi, nel giorno della sua festa, il 1° ottobre, viene portata in processione dai monaci”. A quanto detto finora va aggiunta una data epocale nella storia della Calabria, soprattutto nel suo territorio meridionale: il 1573, anno in cui passò alla latinità l’ultimo baluardo di ortodossia greca in Calabria, ossia la diocesi di Bova.

Prendendo comunque con le pinze quanto riporta la tradizione greco ortodossa sulla storia della Madonna Gorgoepìkoos, è possibile abbozzare un contesto storico aspromontano di inizio ‘700 ancora fortemente influenzato dalla lingua e dalla cultura greco-bizantina. Altrimenti non vi è modo di spiegare come sia possibile che in un’icona, come quella attuale di Polsi, venga riportato quell’appellativo in greco, nonostante il mondo religioso avesse abbandonato quel rito e quella lingua ufficialmente nel 1573, più di un secolo prima: i secoli salgono addirittura a due se si pensa all’abbandono del rito greco nella diocesi di Oppido, avvenuto nel 1480. Inoltre, se in fondo a quella storia-leggenda tradotta c’è un minimo di verità, si rafforza la convinzione che il mondo religioso aspromontano sia rimasto greco molto più tempo del previsto: prendendo per buona la data del 1646 come anno in cui ebbe inizio il culto dell’icona nel monastero Dochiarìou e dato per assodato che l’icona di Polsi risale agli inizi del 1700, risulta chiaro che la parola Gorgoepìkoos (con il culto che portava con sé) ha impiegato appena 50 anni per navigare dalle coste del monte Athos, suo luogo di origine, alle coste calabresi.

Un’ulteriore prova del fatto che nella nostra montagna la cultura bizantina era ancora ben presente per buona parte del ‘600 e del ‘700 lo dimostra il fatto che nel monastero di San Bartolomeo di Trigona, nel comune dell’odierna Sant’Eufemia d’Aspromonte, il rito greco fu abbandonato solo nel 1748. Un ambito così vasto e totalizzante come la vita religiosa dei nostri avi aspromontani ha portato avanti per secoli un dialogo con la cultura greca in una lingua che oggi disconosciamo. Ma non per questo si è estranei a quella cultura. Anzi, se si alza lo sguardo oltre il mar Ionio, cercando di seguire al contrario la traiettoria che tre secoli fa compì la parola Gorgoepìkoos, probabilmente si troveranno molti punti in comune con un popolo che le vicissitudini della storia hanno relegato lontano da noi aspromontani, figli di una patria lontana, passata e spesso dimenticata, perciò alla continua ricerca di un’identità.

L’Aspromonte è chiuso da 150 anni in una scatola chiamata Italia, la quale fa di tutto per convincerci che italiani lo siamo sempre stati: ma cosa sono 150 anni di fronte a più dieci secoli di cultura greca e bizantina da cui abbiamo ereditato la forma mentis?


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