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Ambiente. Il veleno della montagna

  •   Ruggero Calvano
Ambiente. Il veleno della montagna

Perché ci siamo fatti fare questo? E quanto altro male ancora lasceremo che ci facciano? Non ci è bastato lo schifo di quarant’anni fa della Liquichimica di Saline, lo scempio del quinto centro siderurgico di Gioia? Che oggi ritornano nelle forme del carbone e del rigassificatore.
Chi siamo, e che razza di cialtroni siamo diventati? Per capire la nostra pochezza basta scendere dai Campi di Bova, nell’ora di un tramonto colorato carico del profumo della ginestra spinosa. Lo sguardo s’intrappola in un mare a specchio che rimanda al cielo gli ultimi scampoli di luce, poi s’incastra nella cupola bianca dell’Etna e si avvinghia al pugno chiuso di Pentedattilo proteso a sfidare l’azzurro con la bellezza immensa che la natura ha dato ai nostri luoghi. Un attimo ancora ed ecco che il colpo arriva potente ad annullare tutto, a stringere lo stomaco e far montare la rabbia. Il fiele trasborda quando gli occhi si fermano ai Piani della Lopa e girano insieme alle pale d’acciaio di 26 mt. Montate su torri lucenti alte 55 mt. Il bello svanisce sommerso dalla mostruosità dei mulini a vento lunari del parco eolico costruito sui Piani della Lopa, nel comune di Bagaladi.

Certo tutto è sicuramente in regola, costruito nel rispetto delle leggi, ci saranno vantaggi economici per le popolazioni dei comuni del circondario. E noi? Noi che ritenevamo impagabile lo spettacolo della natura, noi che non siamo abitanti nei comuni del circondario? E voi, calabresi che non abitate nel triangolo Bagaladi-Melito-Montebello? Noi comunità reggina, che vantaggi avremo? E quali sono i vantaggi per i quali è legittimo barattare i capolavori unici che la natura ci ha donato? La vita si può sempre e continuamente ridurre a valori economici? Che faremo, ci lasceremo costruire addosso la centrale a carbone di Saline e poi il rigassificatore di Gioia Tauro? Ovvio che si.

Perché siamo un popolo in regressione culturale irreversibile, fenomeno tipico dei paesi colonizzati. Tutto ci faremo fare, contenti pure. Perché la nostra terra è diventata barattabile. Bastano le magiche paroline, sviluppo e occupazione e cediamo a tutto. Ma la distruzione non è né sviluppo né occupazione. Questo è quello a cui collaboriamo, lo scempio della nostra terra e in cambio di nulla perché qualche migliaio di posti di lavoro non possono valere perdite ambientali di valore incommensurabile. Non possiamo trattare la nostra terra da papponi, per avere qualcosa in tasca perché alla lunga non avremo nulla.

Dobbiamo decidere un modello di sviluppo che rispetti i beni che abbiamo, un modello che sia strutturale, che duri. La strada imboccata non è quella giusta e non bisogna essere degli antimoderni per non volerla. Per non volere le pale eoliche, le centrali a carbone, i rigassificatori, bisogna avere un po’ d’amore per se stessi, per la propria terra, per il futuro dei propri figli e avere un minimo di senso estetico. Rinunciamo all’uovo marcio che ci stanno rifilando e alleviamo una gallina che in futuro ci potrà dare uova fresche. Oggi ci stanno fregando e noi gente, dove siamo?


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