Aspromonte. L'anima di un popolo e la sua risorsa
- Gioacchino Criaco
A parlare di anima, di popolo si rischia la retorica. Ma dire d’Aspromonte senza far ricorso a iperbole, sentimenti, concetti alti e desueti è come non parlarne. C’è poi il rischio di richiamare termini vischiosi, insidiosi, persino pericolosi oltre che nobili: appartenenza, comunità, identità. Tutto è ambivalente, come l’uomo, bene e male insieme. Bisogna essere chiari quando ci si richiama a principi che possono distruggere o costruire. Se una comunità è chiusa, se l’appartenenza separa, l’identità divide, la società invece di avanzare arretra limitando l’orizzonte alla soddisfazione di bisogni egoistici. L’Aspromonte, al contrario, unisce per aprire, dà radici per portare in alto la vita e il passato nel futuro. Storicamente l’Aspromonte è stato un mondo aperto all’amicizia e inesorabilmente chiuso e imprendibile alle ostilità e agli attacchi esterni. Culla di popoli diversi per un popolo unico. Nel suo grembo sono cresciuti insieme ebrei, arabi, armeni, greci e romani, fusi col suo popolo autoctono, osco-brettio. Per millenni il monte Splendente è stato un mondo aperto, il cuore di una vita mista che gli è girata intorno. Il principio fondante e unificante di un popolo composito e unico. Una terra alta che si è fusa col mare, o una distesa liquida che ha raggiunto il cielo nella vetta di Montalto. Un insieme di acqua, terra e uomini, di Dei e Dio, di spirito e pane. Questo è l’Aspromonte, anima e materia, gioia e fatica. Tenere staccate le due dimensioni è impossibile, tentare di farlo è stato l’errore che ha trasformato il massiccio da storia a fatto di cronaca e ha precipitato la Calabria meridionale nel limbo delle realtà marginali. Ricostruire l’anima di quel mondo, la sua spiritualità, la forza unificante è essenziale. Farlo senza tenere conto della materialità del monte è pura arroganza. Anima e corpo, di questo sono fatte le vette del nostro massiccio. Meglio, di linfa per lo spirito e cibo per il corpo. L’Aspromonte è un’ostia consacrata che mette in circolo sacro e profano. Recuperarne la cultura, la storia, la memoria è fatto imprescindibile. Accanto a ciò va costruita da subito l’opportunità. Va dato, immediatamente, un esempio pratico della capacità della montagna di sfamare la sua gente. Serve un progetto concreto che produca ricchezza. Qualcosa da fare in tempi brevi. Se ai calabresi riusciamo a dare le opportunità economiche che mancano loro, poi ci seguiranno sulle piste spirituali. Se si perderà tempo a vagheggiare solo di idee, il popolo calabrese continuerà a essere la gente sparsa e dispersa degli ulti tempi. Il parco d’Aspromonte ha un’occasione storica, se investirà, velocemente, in opere, potrà ridare alla montagna quella funzione di motore che le è appartenuta. Se ci si attarderà soltanto nella narrazione della sua nobiltà, i discorsi più belli verranno scambiati per chiacchiere, il popolo invece di ruotare intorno a Montalto riprenderà strade che lo porteranno a vagare fra le nebbie padane, come è stato per tanto tempo. Un progetto, anche uno solo, che sia legato all’acqua, al legno, all’energia, al biologico, al turismo. Fatelo, facciamolo, in fretta. Smettiamola di pensare che ognuno dei 37 comuni del parco abbia l’albero più alto, e finiamola di chiedere per pochi o per noi stessi. Quello che si deve fare va fatto per tutti, per quel popolo che a occidente e a oriente gira intorno all’anima che lo ha creato.