Boschi. Forti come querce
- Leo Criaco
L’Aspromonte ha un patrimonio boschivo di inestimabile valore ambientale che va tutelato, migliorato e sviluppato. Le essenze forestali più diffuse nei nostri ambienti sono il faggio, il pino, l’abete, il castagno e la quercia.
Oltre alle suddette specie arboree sul nostro massiccio montano sono presenti esemplari, spesso isolati o riuniti in piccoli boschi, di ontano, pioppo, tasso, carpino, acero, salice e tante altre specie a carattere residuale.
Il faggio vegeta sulla fascia montana che va dai 1000 metri slm fino alla sommità di Montalto, dove assume un portamento arbustivo; occupa vaste estensioni di territorio montano e tende, normalmente, a formare dei boschi puri, spesso però lo troviamo consociato al pino e all’abete, raramente alle querce.
Scendendo a quote medio alte sotto i 1400-1500 metri sono frequenti, soprattutto sul versante orientale, le pinete costituite principalmente da pino laricio.
A quote più basse troviamo i castagneti e i querceti. A formare questi ultimi boschi concorrono varie specie del genere Quercus.
Tra queste ricordiamo la quercia castagnara, il farnetto, la quercia congesta, la rovere meridionale, il leccio e la sugara.
Fino a quando le campagne e le montagne del nostro Aspromonte erano ancora popolate, i pastori e i contadini facevano buon uso di queste piante, da esse ricavavano legna da ardere e da opera (con il legno duro, elastico e resistente del farnetto venivano costruiti i carri e le ruote, per questo motivo gli aspromontani la chiamano quercia carrigna o carru), rami per il forno e frutti (ghiande) da usare come mangime per gli animali. Nelle annate di carestia, le ghiande, previa essiccazione e macinazione, spesso venivano mangiate dai nostri antenati.
Tutte le specie di quercia sono a foglia caduca (perdono le foglie nel tardo autunno), fanno eccezione le sempreverdi leccio e sughera.
Il leccio (nome locale: ilici) è la specie più diffusa del genere Quercus, forma spesso boschi puri e concorre quasi sempre a formare la macchia mediterranea. A causa dei disboscamenti insensati, attuati dall’uomo nella prima metà del secolo scorso, la superficie dei lecceti è diminuita drasticamente.
La sughera o quercia da sughero (Quercus suber) è poco conosciuta dagli aspromontani in quanto non è diffusa su tutto il territorio ma è localizzata in poche aree con formazioni boschive importanti sul versante occidentale (monte Scrisi e San Giorgio Morgeto, sughereta di 60 ettari) e su quello orientale (presso Sant’Agata del Bianco e in località Passo di Ropolà di Gerace). Sempre a Gerace, in località monte Campanaro, vegeta un maestoso esemplare di sughera di circa 500 anni.
La quercia da sughero è una pianta spontanea, alta fino a 25 metri con il fusto spesso contorto con corteccia molto sugheroso, foglie piccole e dentate di colore verde scuro. È presente in Sicilia, Calabria, Lazio, Toscana e soprattutto in Sardegna dove forma immensi boschi. Famoso e ricercato in tutto il mondo è il sughero sardo in quanto è molto compatto, elastico e omogeneo.
Il sughero si estrae quando la pianta ha raggiunto circa 30 cm di diametro;l’operazione si ripete ogni dieci anni per 8-9 volte, poi la pianta viene estirpata. Lo scortecciamento della pianta, normalmente, viene fatto in primavera da personale specializzato per eventuali danni fisiologici alla sughera. La quercia di sughero (nome locale: sugarara), oltre al sughero, fornisce discreto legno da combustibile e una buona produzione di ghiande.
Quando la pianta viene attaccata da alcuni parassiti vegetali (muffe) come la Aspergillus niger e Penicillium Crustaceum: il sughero danneggiato conferisce al vino il caratteristico odore di tappo. Nei mesi di settembre e ottobre, a seguito delle piogge, il sottobosco della sughera ci regala copiose nascite di Boletus aereus (nome locale: porcinu nigru), Amanita caesarea (ovulo) ed altre specie funginee meno ricercate.