Discarica di Casignana. I lupi, i porci, "le iene"
- Antonella Italiano
I lupi
Come lupi, sui fianchi in pendio della montagna, camminavamo a passo svelto, giocando d’equilibrio. E stringevamo le braccia al busto, dinnanzi ai rovi, per attraversali di petto, come prue nell’acqua.
Terra, aria, odori misti di erbe e animali, e alberi e grandi pietre in ogni dove a fare, di piccoli angoli, esclusivi paradisi. Tenevamo gli occhi bassi, in queste veloci traversate da un punto all’altro, perché si acuissero l’olfatto e l’udito, convinti che la montagna prima ancora che guardata vada sentita, proprio come la sentono i lupi…
Fango che puzza di feci, e un silenzio colpevole in questa valle che accompagna il Rambotta fino al mare. Resto stupita a guardare, a tentare di convincermi che quella montagna difronte a me sia realmente fatta di scarti di ogni genere, putrefatti e compressi a vomitare umori dentro una vasca che cederà alla prossima pioggia.
La terra, quella dentro cui infilavo le mani a cercare il battito cardiaco dell’Aspromonte, ora non posso toccare, tanto è intrisa di veleni d’ogni sorta. Ed è erba questa, e questo è un albero, ma senza frutti e senza profumi che non siano compromessi dallo stesso veleno. Mentre una vacca, lassù, sulla cima del monte di scarti, pascola e sembra quasi non accorgersi di nulla. Bestie penso, siamo tutti bestie.
Siamo porci, lupi, iene.
Le iene
Si muovono con passo felpato, le iene. Scavando per giorni nell’ammasso decomposto di rifiuti. Dall’alba fino alla notte. Troppe cose non tornano, in questa faccenda che sembra uno show ma in realtà è un muro di calcestruzzo e acciaio. Se ne accorgono che già sono in ballo, quando ogni tesi, fondata che sia, si infrange senza pietà in risposte blindate. E nei silenzi compiacenti di coloro che, in un modo o nell’altro, si ritengono, se non colpevoli, complici dello scempio. Ma ogni muro ha una faglia, a guardarci bene, soprattutto se costruito senza regole d’ingegneria ma a gusto umano.
La faglia, con poche ore per rintracciare una verità affidabile, seppur sommaria, è un’intuizione, una prova già esistente ma mai verificata. Sta lì la prova, in quelle analisi che il Comitato No discarica produsse nel 2011 estraendo dei campioni di terreno lungo la valle del torrente Rambotta, accantonata tra foto, ordinanze del Tar, sentenze, dichiarazioni, delibere.
Se ne accorgono, la verificano, «Professore Laghi – chiedono leIene al primario dell’ospedale di Castrovillari e vicepresidente nazionale Medici per l’ambiente – cosa significano questi valori di nichel, cadmio, piombo?» «Sono pazzeschi, altissimi, segnalano che il percolato è fuoriuscito infettando i terreni, e che lo stesso non può essere prodotto esclusivamente da rifiuti solidi urbani».
Una corsa contro i tempi dettati dallo show per rispondere almeno a qualche domanda delle mille che ne sorgono ora. Perché l’allora amministrazione comunale non tenne conto delle analisi commissionate all’Unime e finanziate dal Comitato No discarica?
Perché l’Arpacal, sempre con l’università di Messina, produsse esami che portano la stessa data, la stessa zona, ma valori completamenti diversi, persino rassicuranti?
Perché non furono effettuati per tempo, pur essendo state segnalate le pecche della struttura, i lavori di messa in sicurezza delle due vasche di raccolta?
Dove sono finiti i soldi per gestire la discarica post mortem, cioè per trent’anni dopo la sua saturazione?
Ognuno ha avuto modo di spiegare le sue ragioni: dagli ex amministratori, al sindaco attuale di Casignana, all’Arpacal di Catanzaro, al Comitato No discarica; e poi ancora la procura di Reggio e quella di Locri, il Noe dei carabinieri, gli esperti e i tecnici. Nulla è lasciato al caso, nulla al giudizio o al gusto del soggetto, i dati vengono meticolosamente incrociati e verificati. Un lavoro che somiglia più all’inchiesta che allo show, e che come inchiesta, e non come show, ci auguriamo faccia chiarezza.
I porci
Nel frattempo al Consiglio regionale della Calabria, il 17 dicembre scorso, si è riunita per la terza volta (in meno di un mese) la Quarta commissione ambiente, e le famose Linee guida per la rimodulazione del Piano regionale di gestione dei rifiuti della Regione Calabria, sfornate dalla Giunta regionale con delibera numero 407 il 22 ottobre 2015, continuano a passare indisturbate con parere favorevole.
E con queste, i famosi 200mila metri cubi di rifiuti continuano ad essere designati come capacità residuale della discarica di Casignana; perché né la Giunta, né la Quarta commissione hanno provveduto a cancellarle.
Non è un atto di sfiducia verso il governatore Oliverio non farsi bastare l’ormai nota dichiarazione rilasciata in conferenza stampa a Locri il 16 novembre scorso: «A Casignana non arriverà più neanche un chilo di immondizia», considerato che i lavori di messa in sicurezza portano il nome “Ampliamento della discarica pubblica per rifiuti non pericolosi in località Petrosi del comune di Casignana”. Le carte, caro governatore, effettivamente ci terrorizzano.
Nel frattempo, la vecchia Arpacal continua a far parlare di sé. Stavolta è il Tar a richiamare l’organismo preposto, grazie alle istanze presentate dall’avvocato del comune di Bianco, Ferdinando Parisi, in un’ordinanza che porta la data del 3 dicembre 2015: “L’Arpacal a fronte dell’ordinanza cautelare n. 266/2015 con cui veniva nominato commissario ad acta un proprio funzionario, ne dichiarava l’incompatibilità rispetto il predetto incarico; a fronte del decreto cautelare n. 292/2015 con cui veniva alla stessa ordinata la messa in sicurezza del sito, rimaneva sostanzialmente inadempiente”; così “ravvisata la perdurante necessità di mettere in sicurezza il sito di cui in causa, divenuta ancor più impellente in conseguenza agli eventi alluvionali del mese scorso” il Tar nomina commissario ad acta della discarica il Prefetto di Reggio Calabria.
E gli atti del processo vengono impacchettati e spediti alla procura di Locri al fine di valutare la sussistenza di eventuali reati dell’Arpacal che rischia la condanna per omessa bonifica. Dopo anni di lotta, dunque, si inziano a districare i primi nodi, mentre il presidente del Comitato No discarica Antonio Pratticò raccoglie i frutti della sua perseveranza. Lui che venne a lungo screditato nonostante quelle analisi, costate più di mille euro, effettuate da un professore universitario di Messina, che fu accompagnato sui posti dai carabinieri di Caraffa del Bianco, affinchè la corretta procedura di estrazione dei campioni fosse testimoniata dalle forze dell’ordine.
No! Non da solo. Ma con accanto la famiglia più volte ferita dagli eventi, gli amici che in lui hanno creduto, gli angeli che lo guardano orgogliosi dal cielo, vincerà Pratticò. Una guerra che appartiene ad ognuno di noi, perché è di diritto alla vita che stiamo parlando, ma di cui Totò è bandiera indiscussa.
I lupi
«Non toccare niente, qua è tutto infetto». Non tocco nulla, penso, mentre cerco di indovinare la forma della costa allo sfocio del Rambotta. Riesco a seguire, da questa postazione, la linea del torrente per tutto il percorso, ma, proprio alla sfocio, una collina mi ostacola la vista, anche se dietro di essa, poi, il mare si apre azzurro e corre libero fino all’orizzonte. Un orizzonte antico, come antico è questo angolo di Calabria, oltraggiato, ripudiato, avvelenato dai suoi figli.
Non ebbe mai le bellezze dell’Aspromonte, questa valle al confine tra Bianco e Casignana, neanche prima di ricevere l’incresciosa ferita, ma ha sempre avuto una storia che senza uguali e il suo cuore è in quella statio a pochi chilometri dal Rambotta, e il suo sangue nei vigneti caratteristici, dolci come miele, che vegetano a valle. Secoli e secoli di storia, di cultura, di saggezza.
Cultura. Ecco cosa ci abbiamo costruito accanto alla villa che fu dei Romani, un immondezzaio alto decine di metri, terrazzato come fosse una montagna, mal coperto dalle geomembrane.
Saggezza. Un operaio, dall’alto del suo escavatore, prende il telefono e avverte i carabinieri della nostra presenza. Abbiamo troppo scritto, troppo fotografato, troppo parlato. Chiariamo ogni cosa alle forze dell’ordine, e ci lasciano andare.
Come lupi camminiamo a passo svelto, silenziosi, tenendo gli occhi bassi a contando i metri che ci porteranno lontani dallo schifo, su strade sempre meno fangose e sempre più profumate di erbe e di animali.
Passiamo attraverso i rovi stringendo le braccia al corpo, per sentirci come navi ondeggianti sul mare. E poi le apriamo come a prendere il volo, sui fianchi ripidi o sui precipizi, sfidando senza esitare questa forza di gravità che vorrebbe fermare la nostra corsa. Che vorrebbe fermare la nostra corsa!