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Ecomostri. L'assalto alla montagna

  •   Redazione
Ecomostri. L'assalto alla montagna

Non contenti di aver massacrato le coste, i Calabresi si stanno ingegnando per dare l’assalto ai monti e ai boschi della regione, perché della primitiva bellezza della regione non rimanga neppure il ricordo; salvo poi continuare a prendere in giro chi in Calabria non ci ha mai messo piede, con ridicoli spot pubblicitari che favoleggiano di una terra ancora vergine e accogliente, della serie “…che non ha niente da invidiare”.

Roba da denuncia per “pubblicità turistica ingannevole”.

Tra i tanti, tristi, primati di cui c’è poco da andare fieri, quello che ci vede ancora una volta in testa alla classifica, è la varietà dei metodi escogitati dalle fervide menti calabre per sfruttare, fino a distruggerlo, il patrimonio che la natura ci aveva dato.

Delle coste abbiamo già detto: ridotte ormai ad un ammasso caotico di cemento sotto forma di villette, case, condomini, locali estivi tirati su alla bell’e meglio, con cumuli di spazzatura disseminati un po’ dovunque e con l’immancabile sfondo di schiume fognarie, argomento irrinunciabile dell’infinita cronaca estiva che registra lo sfacelo dei mari calabresi.

Ma per fortuna ci sono altre risorse a cui attingere a piene mani, altre contrade da prendere di mira, altri luoghi da “valorizzare”, altri “volani” per l’economia effimera di chi vuole completare il pasto di un territorio e di un paesaggio che una volta lasciavano a bocca aperta chi aveva il coraggio di avventurarsi oltre la barriera del Pollino. Ora tocca ai boschi, a quelli che sono sopravvissuti a decenni di incendi, a quelli messi su da un’opera di rimboschimento che avrebbe evitato (e in parte c’era riuscita), le immani tragedie di interi paesi trasferiti a valle per sfuggire alla furia delle acque che trascinavano a mare le montagne.

E come se non bastassero i tagli più o meno autorizzati persino nelle aree per così dire protette ( in una regione in cui un permesso non si nega a nessuno), adesso si sono inventati le “centrali a biomasse”, naturalmente “ecocompatibili”, immancabilmente suscettibili (figuriamoci!) di rappresentare “un elemento di sviluppo e di occupazione per le popolazioni locali”.

Biomasse? Ah, potenza delle parole: la categoria comprende le potature e i cascami di legno, gli scarti agricoli e i residui delle falegnamerie, dell’industria del legno, delle cartiere, fino ad arrivare ai gusci e ai noccioli della frutta, come in Andalusia. Dimenticavo: si possono bruciare pure i fanghi dei depuratori e gli alberi ridotti in scaglie, il famoso cippato.

Confesso di non conoscere i dati sulla produzione agricola di mais o barbabietola della regione, né quelli sulla coltivazione a ciclo breve di pioppi o salici da destinare alle centrali in progetto, ma dubito che si possano alimentare tutte queste centrali con la potatura dell’uliveto del nonno. Al massimo il caminetto di casa.

E così i progetti per le suddette centrali spuntano come funghi (a San Nicola da Crissa, Filadelfia e Mongiana: tre nel raggio di poche decine di chilometri solo in provincia di Vibo), promettendo efficienza e pulizia dell’aria, in cambio dell’energia.

Già, l’energia. Ma quanta energia deve produrre questa regione? E per farci cosa? Con l’economia ridotta praticamente a zero, con gli indici di sviluppo a livelli di Burkina Faso, la Calabria sembra affetta da una sorta di schizofrenia energetica, neanche fossimo il Bacino della Ruhr o l’Inghilterra di James Watt. Perché qui accettiamo tutto e il contrario di tutto: combustibili fossili e fonti rinnovabili. Qualcuno vuole fare una mega centrale a carbone a Saline Joniche? Si accomodi. Gioia Tauro va bene per costruirci un rigassificatore? Perfetto. Al Mercure vogliono tagliare gli alberi del Parco del Pollino per produrre energia? E perché no? Idem per i Pini silani, con destinazione centrali crotonesi. E visto che ci siamo e che di alberi la Calabria ne ha tanti, perché non bruciarli pure a Sorbo San Basile e Panettieri? Tanto, di selve, ne stanno crescendo altre, quelle eoliche, che non producono ossigeno, va bè, ma in compenso ci danno (anch’esse), un po’ di energia “alternativa”. Cosa non farebbero infatti i nostri sindaci per contrastare l’effetto serra, loro, già così attenti al risparmio energetico nelle scuole e negli edifici pubblici, costruiti così bene da fare invidia alle Passivhaus tedesche o olandesi. Dopo tutto basta chiedere ai tecnici del settore per allontanare le preoccupazioni dei soliti allarmisti, per cui il nero carbone di Saline diventa “pulito”, le meganavi metaniere di Gioia sono le più sicure del mondo, i filtri delle centrali a biomasse sono il non plus ultra della tecnologia e se i tumori sono in aumento è colpa delle sigarette o del traffico automobilistico che, come è noto, in certi paesini dell’hinterland calabrese, raggiunge dei livelli da fare invidia al Grande Raccordo Anulare della Capitale.

Tanto, alla fine, come è successo a Praia o a Taranto, a Marghera o Casale Monferrato, chi inquina non paga e i morti non sono i suoi.

L’importante nel frattempo è moltiplicare le iniziative per la cosiddetta valorizzazione del nostro patrimonio culturale, storico, architettonico, paesaggistico, enogastronomico e naturalistico, incapaci come siamo di ammettere che potevamo vivere di bellezza, e stiamo morendo di degrado.

Pino Paolillo


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