In viaggio dalla Sila all'Aspromonte: il racconto di due esploratori
- Redazione
«Io e Simona non riusciamo a credere quanto affascinante sia questa temuta terra d’Aspromonte. Eppure la Sila sembrava averci abituati alle magie montane. Nel territorio reggino giungiamo che è ormai sera. In lontananza scorgiamo le dita di Pentedattilo, un paese avvolto dal mistero, soprattutto a quest’ora della notte. Gli abitanti della costa ci avevano preannunciato che sarebbe stato difficile avvicinarci all’antico borgo in macchina, quindi ci fermiamo il più vicino possibile e montiamo le tende.
La vallata che ci ospita è solo la prima di una serie di terrazze naturali che salgono alle spalle del paese, il vento si fa sentire, suona sulle pareti scoscese dei monti e nonostante sia piena estate ci raggela il sangue. Rassicuro la mia amica esploratrice, dovrò proteggerla dai fantasmi della notte, dai demoni che controllano ogni nostro movimento, dalle ombre che mai come ora mi erano sembrate così pericolose e l’accompagno alla tenda ma, per me, è ancora presto. Seduto sull’erba osservo lo strano gioco naturale che vede questo paese racchiuso da cinque dita rocciose, là, lontane, nettamente definite dalla luce notturna. Poi un fantastico cielo stellato mi rasserena. La battaglia è finita. L’odore del bestiame giunge a ricordarmi che non sono poi così solo su queste montagne, qualche creatura inquieta come me starà passeggiando per i boschi, e trascinato da questo buffo pensiero perdo le mie tracce nella notte. Saranno da poco passate le cinque e già Simona mi costringe a rialzarmi. Pentedattilo ci aspetta. Le luci dell’alba si portano via paure e spettri, solo il vento persiste. Quello c’è sempre. Ci addentriamo tra le vie pietrose, qualcuno per strada ci fornisce indicazioni. Nonostante il paese sia ormai abbandonato molta gente ama frequentarlo ancora e, abituati ad eroi come noi, ci accolgono tutti sorridenti. Visitiamo la Chiesa, anch’essa danneggiata dal vento come le insegne di porte e finestre di quasi tutte le case che osservavo camminando.
E, mentre Simona ascolta da grigi Ciceroni doc alcune vecchie leggende, la mia attenzione è catturata da un grande palazzo accanto alla chiesa. Un portone in legno chiude l’ingresso ma, questo, non può essere un ostacolo per un esploratore come me. Ed è Simona che, mentre raccolgo la sfida, se ne accorge e mi richiama all’ordine. Ah, la donne! Quando visitiamo Bova superiore è, per noi, il terzo giorno di vacanza. Le coste ioniche ci hanno praticamente rapiti. Anche Bova è caratterizzata da vie molto strette e case vecchie di pietra. Gli anziani si chiamano e si radunano per strada. Per noi sono proprio incomprensibili perché il dialetto che si parla in queste zone conserva le tracce dell’antica lingua greca. Sono certo, però, che non siamo passati inosservati. Tappa obbligata alla Chiesa di Santa Maria Theotoca, del IV secolo e alla Cattedrale, rifatta nel XVIII, poi di volata al castello. Di quest’ultimo è rimasto davvero poco. Una leggenda racconta che sulla sommità c’è una traccia, simile all’impronta di un piede, che è stata attribuita alla regina. Se un intrepido, di notte, entra nel castello e ci mette malauguratamente il piede viene subito ucciso da un serpente. Simona è fin troppo affascinata da questa storia e, temendo per la mia incolumità, sono adesso io a richiamarla. Ultima tappa del viaggio, dopo una rapida visita alle cascate Maesano, è Palizzi superiore. Ci giungiamo di sera, tramite una scorciatoia che taglia da Brancaleone, e nonostante la strada sia sterrata ci arriviamo tranquillamente in macchina. A Palizzi antico e moderno stanno in perfetto equilibrio. I segni del passato non simboleggiano degrado, ma sono delle vere e proprie decorazioni, astutamente messe in mostra.
I campetti sono affollati dai ragazzi che ci indirizzano al castello dei Colonna e alla parrocchiale di sant’Anna, consigliandoci di non perdere la serata di musica popolare che si sarebbe tenuta da lì a poco sulla piazza del paese. Ed è qui che tra una tarantella e l’altra si conclude il nostro viaggio. Simona è distratta dalla gente ed io mi concedo un’ultima passeggiata da solo. Se c’è una cosa che voglio portare con me è la voce di queste montagne, curiosamente caratterizzata dal brontolio di un mare vicinissimo. Le macchine passano sulla statale, vedo le luci dall’alto. Saranno ragazzi che vanno a ballare o gente che si sposta da un paese all’altro in cerca di nuovi locali. Ma questi pensieri si ammorbidiscono e per un attimo, o forse più, l’Aspromonte mi cattura. Il mio corpo resta teso, con gli occhi rivolti verso il mare e il mio sguardo si perde… respiro lentamente aria fresca e vento».
È il nostro amico della Pro Loco di Cerenzia, Domenico Anania, a raccontarci questa storia.
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