L’editoriale. Ecologia aspromontana
- Gioacchino Criaco
Sarà stato per il fatto che si dipendeva da essa, ma c’è stato un tempo in cui gli Aspromontani avevano maggior rispetto della natura; erano virtuosi ambientalisti quando ancora questo termine non era stato coniato. Campioni del riciclo, prima che i soldi facessero fuori il principio di solidarietà che teneva in piedi le piccole comunità calabresi. Vi era un ciclo di smaltimento dei rifiuti perfettamente sostenibile e ognuno giocava un ruolo nella conservazione dell’ambiente.
Prendete il maiale: chi aveva spazio e possibilità di tenerlo, lo allevava con gli scarti dell’alimentazione umana; i resti alimentari della propria famiglia e quelli delle famiglie vicine che il porco non lo avevano. Non veniva buttato nulla di organico nel pattume; a fine pranzo e dopo cena, i residui alimentari finivano in un secchio che i ragazzini recapitavano a casa del porcaro. E quando arrivava il freddo chi allevava riconosceva il contributo degli altri e ogni famiglia aveva un po’ di carne, di frittole e poi qualche salame, un pezzo di pancetta e di capocollo. E tutti partecipavano al rito e alla festa della macellazione.
Lo dico con dispiacere per il maiale, ma le sue carni erano veramente genuine, ingrassate con alimenti naturali. Poi arrivò il soldo a comprare mangimi industriali e il maiale non fu più genuino né festeggiato da altre famiglie che non quella dell’allevatore egoista. Gli scarti alimentari riempirono i secchi e presero la via delle discariche.
É solo un piccolo e banale esempio di una pratica virtuosa e solidale, ma a essa se ne possono aggiungere altre: le latte degli alimenti, e qualsiasi metallo arrivasse in casa, venivano ceduti ai nomadi, da secoli stanziali in Calabria, che in cambio fornivano le massaie di tripodi, bracieri e attrezzi di cucina.
Anche i cartoni venivano barattati e le briciole del desco nutrivano prolifiche galline ovaiole. Le bottiglie di vetro si riempivano di salsa, olio, vino. Sul lavandino, nelle vasche e sulla mensola della doccia c’era un bel pezzo di sapone profumato agli agrumi, naturalmente fatto in casa. E la plastica degli imballaggi, delle buste, non la conosceva quasi nessuno. Dalle case non usciva spazzatura e lo sporco che c’era davanti all’uscio o nel tratto antistante le abitazioni, veniva tirato via, per punto d’onore. Da noi le discariche non erano state inventate, per rendersene conto basta girare intorno ai borghi montani abbandonati, al massimo si troveranno cocci di giare e null’altro.
Il soldo ha creato l’illusione che ognuno potesse fare da se, senza bisogno della comunità. Ha gonfiato le pance e riempito le case di spazzatura. E non è l’elogio della povertà che voglio farvi; nei tempi andati c’erano cose pessime e altre buone e il progresso serve a eliminare il brutto e tenersi il bello o l’utile. E quelli che ci hanno preceduto forse non sono stati grandissimi per la storia, ma sono stati rispettosi con la natura e hanno portato ai giorni nostri una Calabria quasi integra che noi abbiamo fortemente offeso in pochi decenni e rischiamo di insozzare nel tempo a venire.
E fate voi, non ve lo dico di tornare al porco, di portare l’alluminio agli zingari, di rioccuparvi della terra e di riprende il lavoro e la cultura che ci sono stati tramandati, prima che i dettami dell’economia che ci domina se li porti via per sempre. Fate voi, ma per andare avanti su certe scelte dobbiamo recuperare l’intelligenza del passato. Fate voi, ma una scelta fatela invece di aspettare il destino infilati in qualche bar a bere birra, per poi trovarsi, passata la sbornia, sopra un treno diretti a coltivare orti lontani e di proprietà altrui.
E ve lo dico, il soldo fra i poveri è solo di passaggio, ogni tanto se ne va in gita ma torna sempre nelle tasche dei ricchi.