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La castagna: una manna per i montanari

  •   Francesco Tassone
La castagna: una manna per i montanari

La castagna in passato, ha rappresentato una risorsa economica rilevante per i territori montani e soprattutto per gli altipiani delle serre calabre. La forte emigrazione e lo stato di abbandono dei castagneti, hanno contribuito all’indebolimento delle piante, infatti non sono rimaste immuni alle avversità che negli anni si sono avvicendate, agli attacchi di Phytophthora cambivora meglio conosciuta come “mal di inchiostro” a quelle della Cryphonectria parasitic, nota anche come “cancro della corteccia” e agli attacchi di Dryocosmus kuriphilus Yasumatsu conosciuta anche come “cinipide galligeno” del castagno. La lavorazione delle castagne inizia già dal mese di agosto con la pulitura dei castagneti, per consentire una raccolta più agevole poi in autunno. Il castagno (Castanea sativa) è originario dell’Europa meridionale, Nord Africa e Asia occidentale, ed ha conquistato gran parte del continente al seguito delle legioni romane. È una “pianta monoica”, cioè che possiede sia le infiorescenze maschili che quelle femminili. Le infiorescenze maschili sono delle spighe lunghe 10-20 cm di color giallo-verdastro. Quelle femminili sono costituite da fiori singoli o riuniti a gruppi di 2 o 3 posizionati alla base delle infiorescenze maschili. La fioritura si ha in piena estate, ed il frutto è una noce detta castagna, interamente rivestita da una cupola spinosa, detta riccio. L’impollinazione può essere “anemofila”, cioè quando il polline viene veicolato dal vento o “entomofila”, invece quando il polline viene veicolato dagli insetti, per cui fondamentale è la presenza delle api. La pianta di castagno ama i terreni profondi, leggeri, permeabili, ricchi di elementi nutritivi, tendenzialmente acidi e con assenza di calcare. Non sopporta terreni pesanti e mal drenati. È una pianta “eliofila”, cioè che predilige la luce diretta del sole, ama i climi temperati, pur sopportando freddi invernali anche molto intensi. Nel mese di ottobre i ricci, ormai completamente aperti, lasciano cadere il loro frutto: le castagne. La raccolta dura circa fino alla metà di novembre ma, in alcuni casi, piante un po’ più tardive concedono frutti anche in prossimità del Natale. La castagna è un alimento sano e nutriente ed in passato, in molte regioni italiane e in particolare in Calabria, quando l’economia non girava e la carestia si imponeva in maniera preponderante, la farina di castagna rappresentava un ottimo surrogato di quella di frumento. Fino a qualche decennio fa ricopriva un ruolo fondamentale nell’alimentazione delle popolazioni e le castagne venivano consumate sia fresche che secche, oppure trasformate in farina, per la preparazione di pane o dolciumi. Per una corretta conservazione è necessaria l’asciugatura senza bucce, oppure la cottura in sciroppo di zucchero (marron glacè). Caratteristiche della zona sono le castagne al mosto cotto, oppure un dolce tipico, in dialetto chiamato graviuoli, fatto con farina di castagne impastata con vino e olio che, una volta cotta, viene cosparsa con miele di castagno. Le cultivar più diffuse sono: la Nserta, la Lucente, la Giacchettara e la Curcia, che hanno una forma più o meno rotondeggiante e sono di media grandezza. La Riggiola ha forma ovale ed è leggermente schiacciata, si presta bene per la canditura ma lo è altrettanto gustosa se cotta nel mosto di vino. Anche se non hanno una spiccata attitudine per il frutto, val la pena menzionare le cultivar la Mamma ed il Selvatico di Cenadi. Ottime varietà per la produzione di legname, forniscono comunque una discreta quantità di castagne che il più delle volte sfamano i selvatici.


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