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La natura calabrese e quel "popolo di merda" di Adinolfi

  •   Gioacchino Criaco
La natura calabrese e quel "popolo di merda" di Adinolfi

Se solo ci avesse riflettuto, Adinolfi l’ex deputato PD, quella frase (popolo di merda, riferita ai casertani della terra dei fuochi che si sono lasciati sommergere dai rifiuti tossici senza reagire) non l’avrebbe pronunciata, soprattutto se conoscesse le peculiarità, le condizioni e i condizionamenti ambientali campani e meridionali in generale. O, forse, l’avrebbe detta lo stesso, se il suo intento fosse stato quello di un po’ di notorietà. Una frase a effetto ma senza valore se solo si guardasse a come e a chi più spesso devasta il territorio. La maggior parte degli scempi ambientali nel sud, e in generale in Italia, sono stati commessi nel rispetto formale delle regole, di regole che ovviamente se ne fregavano dell’ambiente e della salute. Si pensi alle acciaierie dell’Ilva a Taranto, alle raffinerie di Gela, alle cementificazioni munite di regolare concessione edilizia, all’utilizzo massiccio dell’amianto quando già era nota la sua dannosità…La verità, è che il disastro ambientale del sud è stato perpetrato in parte da soggetti apparentemente “buoni”, nel rispetto di norme virtualmente “legittime”. In parte, poi, lo scempio si è realizzato grazie alla complicità di cialtroni che si sentivano più dritti degli altri in virtù di giuramenti di sangue, i mafiosi, i traditori del loro popolo e della loro terra. Nell’uno e nell’altro caso, però, gli scempi hanno risposto, e rispondono, alle esigenze di un modello economico e sociale che alla prova dei fatti si è dimostrato disastroso, quello Occidentale. Economia e mafia sono andati a braccetto, si sono ingrassati sulla pelle di uomini e ambiente, con lo Stato complice o, al limite, inetto. Certo che un popolo che non fosse stato di merda, quello italiano non solo casertano, avrebbe reagito, ma avrebbe dovuto combattere contro una economia manigolda, una mafia macellaia e uno Stato imbelle. Nemici non di poco conto per una battaglia tutt’altro che alla pari. Un popolo affamato, disgregato, disperso, educato per anni al parassitismo e al favore. Un popolo solo perché, diciamolo anche, con l’informazione e gli intellettuali leggermente distratti per decenni e arrivati a pontificare e accusare quando il danno oramai era fatto. Un popolo che ovviamente non può essere esentato dalle sue colpe, la cui puzza deve essere suddivisa da tanti. I migliori, i puri, i giusti, gli intelligenti, dov’erano, quando gli scempi iniziavano?  La verità è, che i tromboni dell’etica arrivano sempre a cose fatte, o a battaglie vinte. In Calabria ne abbiamo le prove. I grandi dell’informazione e dell’intellettualità calabrese, o i guru della società civile, in buona parte sono stati assenti e muti nella battaglia al no al carbone di Saline Joniche. Sono saltati fuori quanto la lotta s’è ritagliata, da se, uno spazio nell’informazione nazionale e battuto un colpo contribuendo a far vincere un referendum in Svizzera. Gli stessi, sono, in tanta parte con lodevoli eccezioni, silenti nell’opposizione al disastro ambientale che si realizzerà col costruendo rigassificatore di Gioia Tauro. E un mutismo generale affligge il progetto di realizzare una centrale idroelettrica nell’Allaro, con una petizione contraria che a oggi non supera le 160 firme.  La verità è che un popolo che non lotta ha tante colpe, ma spesso le lotte sono nascoste, taciute o, come in Val Susa, additate come criminali. La verità è che l’epiteto di Adinolfi sicuramente andrebbe attribuito a quell’economia cinica e criminale che produce il veleno, a quei malavitosi traditori che lo smaltiscono e a quella parte di uno Stato inadeguato che se lo fa passare sotto gli occhi. Lo meriterebbe anche una parte di popolo, ma qualche schizzo starebbe bene pure in faccia a chi con le idee e la penna la coscienza del popolo dovrebbe nutrirla e non distrarla con utili fantasmi per poi, a distanza di anni, scoprire i drammi e distribuire i rimbrotti.   


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