La rosa di montagna: l’erba di luna che brilla di notte come gli astri
- Redazione
Non è raro, tra maggio e giugno, imbattersi in territorio africese (ed aspromontano in generale) nella rosa di montagna, un fiore che predilige come habitat le "terre alte". Per colore e forma assomiglia alle rose, ma da queste si differenzia per l’assenza di spine. Non appartiene, infatti, alla famiglia delle Rosaceae: ma a quella delle Paeoniaceae.
Nota per annunciare la primavera fiorisce presto e per appena 15 giorni. I suoi fiori ermafroditi hanno un colore che varia dal rosa al rosso porpora, mentre i frutti sono piccoli, neri e lucenti.
La peonia è una piantina a rischio di estinzione allo stato selvatico, poiché la sola raccolta dei fiori impedisce la formazione dei semi e quindi la produzione di nuove piante.
Già nota ai romani, la peonia rosa è stata catalogata tra “le erbe della luna che brillano la notte come astri”. Secondo la medicina antica era capace di curare malattie considerate lunari, come l’epilessia, la follia, i disturbi nervosi, le invasazioni demoniache. Scacciava infine gli incubi e proteggeva dai sortilegi.
Il fiore è legato alla leggenda di Peone figlio di Asclepio, dio della medicina, salvato da Ade, dio greco dell’oltretomba, dalle ire del suo stesso padre che lo voleva morto. La colpa di Peone fu quella di aver guarito Ade - colpito da Eracle sceso negli inferi per catturare Cerbero – e di averlo curato così bene che il padre ebbe un rigurgito di invidia e Ade, per salvare Peone, dovette tramutarlo in una bellissima pianta.
Alla peonia venivano attribuite proprietà magiche: efficace contro ogni demone e sortilegio, scacciava gli incubi notturni e, posta sul guanciale oppure portata al collo come collana, favoriva sogni piacevoli.
Un’altra delle credenze popolari dice che se le ragazze avessero fatto uso della peonia per dodici giorni consecutivi le loro guance sarebbero diventate dello stesso colore del fiore. Ciò sarebbe successo anche mescolando i fiori all’acqua del bagno. La portavano con sé anche le meretrici perché credevano avesse delle doti anticoncezionali molto potenti.
Nel linguaggio d’amore è simbolo di vergogna e timidezza.
Progetto di recupero di Africo antica