Niente croci sui nostri monti
- Ruggero Calvano
Le nostre montagne ne sono piene, croci, statue e una miriade di simboli religiosi, così alcune associazioni ambientaliste hanno lanciato un appello pubblico per far finire lo scempio insensato. Mountain Wilderness Italia ha emesso un comunicato sottoscritto anche da WWF Italia, Pro natura, Amici della Terra, Comitato per la bellezza, Italia nostra, Altura, Comitato nazionale per il paesaggio. Mountain Wilderness afferma che «in questi ultimi anni con sempre maggiore frequenza, il tradizionale uso di segnalare con una modesta croce il culmine delle montagne ha assunto un carattere sempre più vistoso e autoreferenziale, allontanandosi dal significato originario al punto da destare ragionevoli perplessità. La montagna viene usata come palcoscenico di ambizioni personali o di gruppo, per imporre aggressivamente convinzioni religiose, marcare il territorio con un proprio segno inconfondibile, o per costruire business». Il comunicato è stato ripreso da Repubblica, che ha fatto alcuni esempi eclatanti, come il gigantesco dinosauro di tre metri d’altezza realizzato dallo scultore e alpinista Mauro Olivotto, e piazzato sulla cima del Pelmo, sopra Cortina D’Ampezzo, dove sarebbero stati trovati resti preistorici. La statua del “Cristo pensante”, un pesantissimo blocco di marmo sovrastato da una croce metallica trasportata con un elicottero sulla cima del monte Castellazzo nel giugno del 2010. Il Castellazzo si trova nel parco naturale Paneveggio-Pale di san Martino, dunque in un’area protetta. Le aziende di promozione turistica delle valli circostanti hanno appoggiato l’iniziativa e brindato al suo successo: l’invasione dei pellegrini che percorrono i sentieri fino alla croce ha ridato ossigeno all’economia locale, prima in crisi, causando però dei danni e minacciando l’integrità dell’ambiente su cui la doppia scultura è stata calata. La lista degli eccessi che hanno causato danni all’ambiente alle montagne è lungo, e il pericolo che incombe è il possibile uso delle vette come basamento dei piloni eolici, molto più dannoso di antiestetiche croci e altri ammennicoli. «Ormai non si occupano solo le vette più significative», prosegue il comunicato di Mountain Wilderness. «Questa discutibile abitudine sta tracimando su ogni cima, purché visibile dal fondovalle, e sta insidiando l’integrità naturale di crinali magari poco battuti ma reputati favorevoli alla promozione turistica del luogo. E’ sufficiente che singole associazioni o perfino singoli personaggi chiedano l’autorizzazione e ogni cosa viene concessa, spesso a prescindere dai valori qualitativi dell’opera, dall’impatto paesaggistico ed ambientale, dai negativi risvolti psicologici, etici e culturali che il progetto porterà come conseguenza, una volta realizzato. Ai frequentatori viene di fatto negata la possibilità di attribuire liberamente alle loro esperienze in natura i valori interiori che sentono più affini, sopraffatti come sono dall’aggressività monocorde di tali installazioni, le quali, a nostro avviso, privatizzano e ipotecano indebitamente il “senso” di un bene comune. Siamo convinti che le montagne non abbiano bisogno di crocifissi e madonne per invitarci a pregare. Si può trovare la propria silenziosa preghiera anche appoggiandosi a un sasso o indugiando ad ammirare la torsione di un larice, i riflessi del tramonto sui rami di un pino mugo, meditando sulle sofferenze della prima guerra mondiale, ricordando il sorriso di amici scomparsi con cui un tempo si erano frequentati quegli stessi luoghi, o semplicemente concentrandosi sul ritmo del proprio respiro. Il rapporto spirituale degli esseri umani con gli spazi incontaminati della montagna non viene mai arricchito da strutture artificiali che tendono ad orientarne in una direzione o in un’altra il significato».