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Africo. Gli anarchici e la storia sperduta

  •   Rocco Palamara
Africo. Gli anarchici e la storia sperduta

Certuni si scherniscono con i silenzi oppure parlano a verso di banderuola facendo di doverosa testimonianza una questione di opportunità. Nel sostegno reciproco tra faziosi fanno sistema pensando di non doversi mai scontrare con la verità; ma a volte si sbagliano, come per questa storia iniziata nell’estate di 46 anni fa ad Africo quando fu affisso un manifesto contro la ‘ndrangheta, di giorno nelle piazze, da un esercito di ragazzini.

É la storia scomoda degli anarchici di Africo, nascosta e misconosciuta ai più sebbene raccontata (bene o male) in un libro celebre come “Africo” di Corrado Stajano nel 1979. Seguirono decenni di assoluto silenzio e poi le omissioni partigiane dei sopravvenuti “guru” della ‘ndranghitudine come Ciconte, Gratteri, Nicaso e Forgione, e dai buon Saviano e Don Ciotti, sebbene fu proprio quella la prima antimafia in Italia e tutti citano Stajano.

La storia ha ripreso luce negli ultimi anni grazie agli scritti di Francesca Viscone, Franco di Gioia, Alessio Neri, Alessio Magro, Danilo Quirico, Gioacchino Criaco, Giuliano Santoro, Isaia Sales, Simona Musco, Giuseppe Leuzzi e altri che mi scuso di non ricordare tutti. Recentemente ne ho parlato anche io in una intervista ad Antonella Italiano, per cui non voglio ripetermi salvo ricordare l’episodio degli arrestati durante la carica dei carabinieri contro gli studenti venuti a sostenerci davanti al tribunale di Locri il 3 maggio 1972. Ciò perché uno degli arrestati, tale Celentano(come lo chiamavamo allora), altri non è che l’attuale sindaco di Bianco Aldo Canturi.  

Celentano era allora un ragazzo speciale e molto apprezzato dagli anarchici di Africo perché malgrado fosse un attivista del PCI, disubbidiva in pratica al suo partito per solidarizzare con noi in lotta contro la mafia e perseguitati dalla giustizia.

Facendo ora un lungo salto nel tempo e di pochi chilometri nella costa veniamo ai nostri giorni, a Bianco,dove il 30 maggio scorso si è svolta una delle cosiddette “giornate della legalità e contro le mafie” patrocinata dalla dirigenza didattica della scuola del luogo e dal predetto sindaco Canturi; il   che se fosse quella una iniziativa di antimafia vera come quelle nostre di una volta farebbero di lui l’eroe di ben due generazioni e un uomo dalla coerenza eccezionale.

Ma quel tipo di giornate sono tutt’altra cosa, essendo in realtà iniziative pilotate da quelle stesse istituzioni parte del problema (come abbiamo sperimentato sulla nostra pelle noi per primi). Sorte di antimafia celebrativa e non operativa sostenuta a forza di eventi mediatici con liturgie che, come quelle religiose, girano intorno al culto dei “martiri”: eroi civili – in realtà – strumentalizzabili fino alle estreme contraddizioni proprio perché morti.

Per promuovere eventi così non serve un rivoluzionario risoluto, basta qualche impiegato servizievole e un po’ di retorica; a meno che, chi le organizza ha voglia, abilità e coraggio di dargli un altro taglio e, invece della solita e inutile messa in scena, imposti il tutto in modo da non fare sconti a nessuno (istituzioni comprese) e presentare qualcosa di vero ai ragazzi. Il Celentano di allora l’avrebbe fatto.

A Bianco però si optò per il solito martiriloquio e le banalità dell’antimafia d’ufficio. Il pezzo forte della giornata fu tale Suor Carolina Lavazzo arrivata appositamente da Palermo per parlare di Don Puglisi di cui seduta stante venne proiettato anche un film e – giacché c’era – anche di Peppino Impastato (che non si capisce che c’azzecca con una suora). In ogni caso – e con tutto il rispetto per la memoria di quegli eroi – trattasi di storie anacronistiche oggigiorno in Calabria dove la resistenza alla masso/‘ndrangheta ha i suoi punti di riferimento in persone vive che da decenni sono sotto il tiro della malavita nel silenzio e nell’abbandono anche in quanto non abbastanza “martiri” perché non uccisi.

Venuto il suo turno, il sindaco Canturi si comportò come certi avvocati d’ufficio che si “rimettono alla giustizia” facendo un elogio al giudice Gratteri e terminando con altre frasi di circostanza. Avrebbe potuto perlomeno – lui che c’era – rendere testimonianza ai ragazzi di come furono tanti dei loro stessi genitori e zii (e nonni) i protagonisti del primo grande movimento antimafia in Italia, restituendo loro un po’ della loro storia: che è madre di ogni consapevolezza e stimolo per i giovani … ma rimase abbottonato. Che delusione! Un altro gallo che canta… e non più un Celentano.

Siamo sopravvissuti a cose peggiori e ci faremo una ragione se gli uomini cambiano; ma di persone così ci sono legioni, come vedremo in seguito. Prima di continuare con loro però mi sia concesso un piccolo siparietto sui Carabinieri della Caserma di Bianco i cui rappresentanti parlarono nell’occasione ai ragazzi sul valore della legge. Ma che si vuole insegnare agli altri se non si fanno i conti con la propria storia? Proprio da quella caserma partivano, negli anni ’70, le spedizioni per venirci a perquisire, arrestare o rifilarci le diffide antimafia al posto dei veri mafiosi. E da sbirri veri lo facevano con soddisfazione.

Tra i tanti che in quegli anni militarono nei “gruppi” o nei “collettivi operai studenti” della Locride e della stessa Africo, ci sono pure quelli diventati nel tempo giornalisti, cantastorie, teatranti e persino “scrittori”e ”registi” ma dimentichi di tutto. Colpiti in massa da amnesie incredibili, scrissero libri e cianciarono sull’argomento in mille occasioni senza mai fare un riferimento agli anarchici di Africo. E ‘nsiamai nominare i fratelli Palamara! Anzi, per non “rischiare” proprio, tacquero sull’intero movimento della Locride rinnegando anche se stessi e andando ad aggiungersi a quella classe intellettuale calabrese assoggettata per tradizione a referenti lontani (da Roma in su): da eterni minorenni per scelta e furbizia.

Per la loro sciatteria vile, di quella primavera di speranze e di lotte di una generazione consapevole s’è persa anche la memoria e della persecuzione degli anarchici un sacrificio inutile.

Ma dove la congiura del silenzio assunse modalità tipo industriali, è col PCI-PDS-DS – PD: partito/i dalla proverbiale faziosità. Eccetto un piccolo encomio da parte del vecchio Giorgio Amendola nel 1979, poi più nulla di noi negli innumerevoli articoli e libri sul contrasto mafioso in Calabria. E men che meno lo fecero i notabili “comunisti” del mio paese, che in fatto di ‘ndrangheta hanno la coda di paglia quanto un grattacielo. Da loro mai una parola di chiarezza in più di 40 anni! E solo ultimamene, in occasione di un certo evento, la loro ambiguità e malafede ha trovato finalmente ferma e formale conclamazione sul nesso tipo: “gli anarchici di africo non sono mai esistiti” !

Mi pare impossibile (!), ma per “verificare” torniamo indietro di una anno recandoci il 16 luglio 2015 ad Africo Nuovo all’evento accennato, e precisamente all’inaugurazione della nuova CAMERA DEL LAVORO.

Con la NON partecipazione significativa del popolo sì è svolta dunque quella manifestazione. Mattatore della giornata un altro sindaco, anzi ex sindaco di Africo N. Bruzzaniti, insegnate, che in veste di anfitrione fece gli onori di casa sul tracciato di un papillo di ben 12 cartelle (rintracciabile in internet) che lesse dal palco davanti a qualche dozzina di paesani e a un più folto gruppo di addetti ai lavori forestieri, tra personalità dei sindacati e dell’apparato PD. Fu per quest’ultimi anche l’occasione per una adunata autocelebrativa sui loro “successi” politici, a sentire i salamelecchi dell’oratore. E cioè quelli inesistenti di una classe dirigente politico sindacale fatta di incapaci che dietro di sé lascia solo macerie e sfiducia in Calabria. A suggello di tanto delirio metafisico, sul palco c’era anche il Vescovo che fece (sic) la benedizione del locale.

Nel suo lungo excursus storico sulle lotte del paese e con tutti gli accostamenti possibili e immaginabili del politichese, l’ex sindaco ebbe modo man mano di ringraziare, salutare e omaggiare se presenti o nella memoria:

Mimma Pacifici, Stefania Crogi,Giuseppe Bombino, Mons. Francesco Oliva, Sebi Romeo, Aldo Canturi, Gregorio Bruzzaniti, Gaetano Morabito, Salvatore Marte, Edoardo Nucera, Pietro Romeo, Umberto Zanotti Bianco, Carlo Levi, Tino Petrelli, Elio Ruffo, Antonio GRAMSCI, Franco Costabile, Mommo Tripodi, Pasquino Crupi, Pietro Criaco, Susanna Camusso, Eugenio Musolino, Enzo Misefari, Adolfo Fiumanò, Rocco Minasi, Giacomo Mancini, Paolo Cinanni, Francesco Catanzariti, Tommaso Rossi, Peppino Lavorato, Giuseppe Fragomeni, Quirino Ledda, Gaetano Lamanna, Franco Politanò, Massimo D’Alema, Fabio Mussi, Italo Falcomatà, Gianni Alvaro , Peppino Fragomeni, Gioacchino Criaco, Enrico Berlinguer; Giuditta Levato, Angelina Mauro e Francesco Nigro ( uccisi dalla polizia nell’occupazione delle terre), Giovanni Zito, Rocco Scotellaro, Rocco Palamara (barbiere), Lelè Morabito, Mino Reitano, Bruno Palamara, Corrado Alvaro, Francesco Jovine, don Lorenzo Milani, Papa Francesco, Altiero Spinelli e Ernesto Rossi.

E poi ancora: Pasquale Moio, Peppe Scordo, Gianni Bruzzaniti, Costantino Romeo, Pietro Gagliardi, Santoro Maviglia (don Santoro), Rosario Bruzzaniti, Leo Morabito, Giuseppe Palamara, Paolo Modafferi, Nino Priolo, Domenico Romeo, Bruno Romeo, Leo Criaco, Andrea Morabito e Francesco Gagliardi.

Quest’ultimi tutti della stessa Africo e che, tranne qualcuno di troppo, si sono effettivamente distinti nelle lotte e dato l’anima per il benessere del paese.

Tra quelli nel gruppo precedente vi sono – come elencato – anche i martiri di Melissa degli anni ’50 e persino PAPA FRANCESCO (!); ma arrivato al punto di dover nominare qualcuno degli anarchici per le lotte e il sangue versato nella stessa Africo, l’emerito sindaco venne preso come da improvvisa e totale amnesia. In compenso si produsse in un maldestro tentativo di appropriarsi per il suo partito delle lotte degli anarchici, con una frase che calza a pennello quella che fu invece la nostra triste situazione: “…. all’epoca, era netta la percezione di una strana unità d’intenti, tra certi settori delle forze dell’ ordine ed ambienti malavitosi locali, nel mettere in difficoltà e nel cercare d’intimidire l’avanguardia del movimento di lotta”.… E sarebbe stato come aggiungere danno alla beffa se non fosse che lui proprio non ce la fece a pronunciarla la fatidica parola“‘ndrangheta” (o mafia) limitandosi a quel pusillanime “…ambienti malavitosi locali”: e con ciò svelandosi per quello che NON ha veramente fatto lui con i suoi.

Un altro piccolo sforzetto e potrebbe anche riuscirci; magari fra altri QUARANT’ANNI,…. salvo il piccolo particolare che non siamo immortali e il tempo è scaduto.


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