Albus Mons, la montagna dei Siculi
- Ulderico Nisticó
“Monte arduo” per i Latini, “Monte bianco” per i Greci; e se la storia delle nostre genti fosse un’altra ancora?
I Siculi sono una popolazione indoeuropea che, attorno al II millennio, attraversò la Penisola italiana, lasciando tracce del suo passaggio e nelle memorie degli storici e nella toponomastica, in specie nella radice alb, su cui torneremo; e che troviamo frequentissima nelle fonti antiche e nella continuità moderna. È nota la presenza sicula nel Lazio prima di Roma; e l’antico nome del Tevere, come attestano Virgilio e Plinio il Vecchio, era Albula; e capitale dei Latini, prima che Roma crescesse con le sue rovine, è Alba detta Longa. Varrone Erudito è colpito da un accusativo leporim quasi identico a leporem latino. Le poche attestazioni soccorrono a far parlare di un gruppo linguistico latino – siculo, cui si aggiungono il falisco e forse il veneto; e che si distinguerebbe sostanzialmente dai gruppi oscoumbri. Dionigi di Alicarnasso ritiene i Siculi “aborigeni” del Lazio; ed è opportuno ricordare qui che Esiodo accenna a un re Latino “che regna sui Tirreni”.
CACCIATI DAL Lazio per mano degli Enotri, infine minacciati dagli Osci, i Siculi passarono lo Stretto, vinsero i Sicani e, ancora nel IV secolo, erano in qualche modo identitari e autonomi rispetto a Greci e Cartaginesi che combattevano per il dominio dell’isola. Tra il 488 e il 440 visse il re Ducezio, che, contro Siracusa e i Cartaginesi, rivendicò l’autonomia sicula. E chissà se “ducezio”, se ci lasciamo condurre dalle sensazioni di Varrone, non fosse un titolo come il latino dux. Gli storici greci non parlano più dei Siculi nell’isola dopo le vicende dei due Dionisio e di Dione; ma la testimonianza varroniana farebbe supporre che anche in età romana si riscontrasse qualche popolazione di lingua sicula. Ancora nel V secolo a. C., secondo Tucidide, c’erano nella nostra regione, poi detta Calabria, dei Siculi consapevoli di esserlo; e in Sicilia costituivano un’entità politica e militare. Lo stesso re Italo sarebbe stato un siculo; un enotrio, affermano però Aristotele e Dionigi di Alicarnasso. Sulla spiaggia di Soverato, in località San Nicola, sono state individuate tombe a grotticella che ricordano quelle sicule di Centuripe.
SECONDO POLIBIO e Polieno, quando i Locresi, dopo la permanenza sul promontorio Zefirio, passarono più a settentrione, sopra una collina chiamata Epopis trovarono dei Siculi ostili. Dopo un conflitto, e temendone la forza, fecero ricorso all’inganno (vedi sopra). Epopis, che, se greco, significa veduta, potrebbe essere l’attuale Gerace, il luogo sacro (Hierakion) e fortezza naturale così simile a Santa Severina (Siberene), Strongoli (Petelia), Cerenzia Vecchia (Acherenthia): queste tuttavia sono ritenute enotrie. Secondo Tucidide, i Siculi passarono nell’isola. Prendendo alla lettera il racconto dello storico, apprendiamo che i Siculi vennero “scacciati”, non annientati, e lasciarono alcune genti nell’attuale Calabria. Se è così, queste poterono trovare rifugio solo sull’Aspromonte più impervio; mentre i Locresi, lungo le più agevoli valli del Torbido e del Mesima, puntavano al Tirreno e fondavano Medma e Ipponio; il mito di Eutimo attesta che giunsero fino a Temesa. Dei nostri Siculi, quelli dell’Aspromonte, nessuno fa più parola dopo Tucidide, e, per cercarne traccia, dobbiamo far ricorso ad altri strumenti di indagine, senza dubbio più ipotetici, e che offriamo al lettore come occasioni di riflessione critica.
COSA SIGNIFICA Aspromonte? Se fosse tutto latino, il nome pare significare monte arduo, difficile: in verità generico, non essendo quel massiccio particolarmente più irto di moltissimi altri. Se, come si pensa da più parti, si fa riferimento al greco aspros, significherebbe Monte Bianco; anche questo, non specifico di una montagna come la nostra, che non è nemmeno troppo innevata. E se fosse invece un albus mons, dunque il monte dei Siculi, come gli altri toponimi di cui abbiamo discorso, e forse le stesse Alpi, e senza riferimento a un colore?
I LOCRESI veneravano i Dioscuri, dei della giovinezza luminosa, figli di Zeus; ma anche Persefone, dea della ciclicità di vita e morte e della reincarnazione. L’Aspromonte è una terra di oscuri miti, che vivono tuttora a Polsi nella Scibilia, la Sibilla nemica della Madonna, e che, sconfitta e rifugiatasi in una grotta, attira gli uomini con la sensualità. È un archetipo della mitopoiesi greca e poi cristiana, questa vittoria della luminosità e razionalità sulle energie possenti e arazionali; tanto più che si contrappongono due idee della femminilità, la carnale e la spirituale, Afrodite ctonia e Afrodite urania. A chi apparteneva quella credenza nella Sibilla, in un luogo quasi inaccessibile, e che la Chiesa cercò sempre di proteggere e sacralizzare?
L’inganno dei Locresi
“I Locresi avrebbero trattato benevolmente i Siculi e avrebbero condiviso con loro il territorio, fintanto che avessero camminato su quella terra e avessero avuto le teste sulle spalle. I Locresi, allora, secondo quanto si racconta, al momento di pronunciare questi giuramenti, misero della terra dentro le suole delle scarpe e poggiarono sulle loro spalle delle teste d’aglio coperte dai vestiti. Fu così che pronunciarono i giuramenti. Quindi, una volta tirata fuori la terra dalle scarpe e gettate via le teste d’aglio, avrebbero avuto non molto tempo dopo l’occasione di cacciare i Siculi dal loro territorio”.