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Alessandro Tommasini, il vescovo che amava Piminoro

  •   Francesco Barillaro
Alessandro Tommasini, il vescovo che amava Piminoro

Vide la luce in Diminniti il 9 febbraio 1756, fu battezzato lo stesso giorno col nome di Alessandro, Fortunato, Sebastiano. Famiglia agiata la sua. Il suo primo maestro fu il padre, dotto nelle materie giuridiche e letterarie. Iniziò gli studi di teologia nel 1774. Laureato all’università di Napoli, fu ordinato sacerdote il 19 dicembre 1778.

Designato vescovo di Oppido Mamertina il 3 settembre 1791, fece il suo ingresso in paese il 18 maggio 1792. Finalmente, dopo nove anni, la diocesi di Oppido, dopo la morte del vescovo Nicola Spedalieri (5 aprile 1783) e la rinuncia al vescovado di Domenico Giuseppe Barillaro, ritrovava il suo pastore.

Erano trascorsi pochi anni dal catastrofico terremoto (5 febbraio 1783) che devastò la piana di Gioia Tauro con migliaia di vittime, circa 1200 solo a Oppido.

Come scrive S. Rullo egli “trovò molte capanne, qualche abituro, qualche casa murata, una baracca denominata chiesa”. Una delle prime preoccupazioni del giovane vescovo, appena 35 anni, fu quella di assicurare al gregge affidatogli e gravemente provato, una dimora sicura al riparo dalla malaria, fece sua la decisione di traslocare in Pedavoli gli uffici curiali e la sede vescovile.

La distanza tra Oppido e la temporanea sede suggerisce al Tommasini altra soluzione: nel 1795 manifesta chiaramente il proposito di trovare una sistemazione più vicina; infatti alla fine della sua prima “Relatio ad limina” del 12 ottobre di quell’anno così scrive: «Devo confessare, Beatissimo Padre, che in ogni stagione estiva per le crudelissime epidemie (sparse) nell’intera diocesi, afflitto da malferma salute, macerato da continue febbri, per consiglio dei medici, sono costretto ad abbandonare la residenza e cambiare luogo, non senza intimo acuto dolore; e non mi è lecito ritornare qui, senza pericolo di vita, se non all’inizio delle piogge, finchè prosciugati gli stagni dell’acqua, l’aria oppidese mi permette una stabile dimora. Nella suddetta stagione, a difesa della salute, mi sia consentito dimorare in luoghi vicini, ai quali e dai quali sia facile l’accesso e il recesso, nello spazio di una giornata».

Le attenzioni del nuovo prelato cadono sul vicino sperone di roccia che sovrasta Oppido, descritto mirabilmente da S. Rullo: «Davanti allo sguardo estatico del vescovo, ogni volta che usciva dalla baracca-seminario o dall’episcopio si presentava una magnifica collina verde, accattivante per la selvetichezza della posizione e per la mitica forma di mostro, sporgente dal ventre della sovrastante montagna».

Dal desiderio del vescovo di trovare una sicura dimora estiva per il clero e gli alunni del seminario, alla realizzazione per volontà dello stesso di una piccola chiesetta in legno sullo sperone roccioso, intercorrono sei anni. Probabilmente il luogo era già abitato, occasionalmente, da pastori e carbonai e forse furono essi stessi a suggerire al Tommasini il luogo immune dalla malaria.

Successivamente il vescovo invoglia alcuni abitanti dei paesi delle Serre a ricongiungersi con i primi arrivati, con la promessa di un piccolo appezzamento di terreno. Tommasini, in particolar modo nei mesi estivi, amava trasferirsi insieme ai sacerdoti e ai seminaristi sul monte che Pietro Martire Mesdea, insegnante di greco e latino nel seminario di Oppido, denominò “Pimenoro”.

Sul “monte dei pastori” Tommasini creò le condizioni per una dignitosa dimora ai villici abitanti, increduli che il vescovo degnasse loro di attenzioni. Fece incanalare le acque fresche e cristalline della località Mulinari, a monte del paese, e dotò il villaggio di una fonte pubblica. Non poteva mancare un’icona da venerare, Tommasini anche in questo dimostrò genialità affidando al pittore Giuseppe Crestadoro la riproduzione di una madonna con fattezze da pastora.

La tela (1803) infatti ritrae un’immagine atipica di madonna, con paglietta in testa a larghe tese, vincastro a custodire le sottostanti pecorelle: la Divina pastora, che tiene assiso sulle ginocchia il Bambino, graziosamente sorridente, che regge con la manina sinistra il laccio di un’agnellina, la quale viene accarezzata dalla mano della madonna. Fissa anche una data, per la festa annuale, la seconda domenica di luglio che si protrae fino ai nostri giorni. Non mancò l’iscrizione biblica in latino inneggiante a Maria:

Habeto

O pulcherrima inter mulieres

Quae abis post vestigia gregum

Et pascis oves tuas iuxta tabernacula

Pastorum

Sub umbra illius quem desideravas

Piminori sedens

Quam

Tibi matri clementissimae

Patronae potissimae

Pastorali et amictu et munere heic visendae

In grati animi tesseram,

Alexander Episcopus Oppidem

Pietati tuae semper devotissimus

Aedem cum suis ornamentis

De suo constituit dedicavitque

Anno aerae vulgaris MDCCC.

“O bellissima tra le donne che vai dietro le orme del gregge e pascoli le tue pecore presso le capanne dei pastori sedendo sotto l’ombra di quel Piminoro che tanto avevi desiderato, accetta quale segno di animo grato a te Madre clementissima, patrona potentissima per la veste pastorale e l’ufficio degna di essere venerata qui questo sacro tempio con i suoi ornamenti che Alessandro Vescovo di Oppido tuo fedele sempre devotissimo nell’anno 1800 a sue spese eresse e dedicò”.

Il clima rilassante, la simpatia, l’accoglienza calorosa degli umili abitanti creavano le condizioni ideali per una serena permanenza. Quest’oasi di pace, serenità e meditazione, tanto cara al Tommasini, venne bruscamente interrotta con un’azione infame.

Il 14 febbraio 1806 l’esercito francese occupò il meridione e Giuseppe Napoleone, fratello del Bonaparte, si insediò sul trono dei Borboni. Spirava, finalmente, il vento del cambiamento e il Tommasini sensibile e angosciato per le precarie condizioni delle classi deboli, non esitò a sostenere gli ideali di libertà e di cambiamento fomentati dai francesi. Le mosse del vescovo erano seguite con gelosia dalla regina Carolina che preparava la vendetta.

Il 15 aprile dello stesso anno, a Gioia Tauro, in onore del re Giuseppe Bonaparte vennero preparati grandiosi festeggiamenti e vari indirizzi di saluto, non mancò quello tenuto dal vescovo Tommasini con elogi calorosi al re, da lui successivamente accompagnato a Palmi e Reggio.

Il 25 ottobre del 1806, dopo un’irruzione nel palazzo vescovile di un gruppo di uomini armati tra questi il malvivente Michelangelo Gerace, Alessandro Tommasini venne catturato e condotto nella notte a Bagnara da dove, a bordo di una feluca, fu trasportato a Messina e rinchiuso nel monastero del Carmine. La notizia rattristò gli abitanti del nascente villaggio.

Trascorsero nove lunghi anni di esilio, il vescovo ritornò in Oppido nel 1815 ma nulla era più come prima. Tommasini trascorse due anni in Oppido, ma si assentava continuamente, desiderava lasciare la diocesi.

Nell’aprile del 1817 il re propose la sua promozione. Il papa, nel concistoro del 16 febbraio 1818, lo trasferì a Reggio Calabria.

Il 16 febbraio 1818, senza salutare nessuno, lasciò definitivamente Oppido. Tommasini ebbe pubblico annuncio della sua promozione l’8 maggio 1818.

Il 27 giugno prese possesso dell’Arcidiocesi di Reggio, fece la professione di fede e ricevette il Pallio di Metropolita il 12 luglio.

Alessandro Tommasini, il vescovo che amava Piminoro, oltre a reggere la diocesi di Oppido per ben ventisei anni, fu arcivescovo di Reggio e Metropolita della Calabria per otto anni. Il Signore lo ha chiamato a sé, all’età di settanta anni, il 18 settembre del 1826. A Piminoro, in sua memoria, è intitolata la scuola elementare.


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