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Brancaleone e l’alluvione del ’53. Un falso storico?

  •   Carmine Verduci
Nella foto un’abitazione di Brancaleone superiore Nella foto un’abitazione di Brancaleone superiore

Doveroso precisare che Brancaleone Superiore non subì l’abbandono per nessuna alluvione riferita al 1953, in quanto questa non provocò danni ingenti, o tali da rendere il paese “inabitabile”. I danni, come riportano oralmente alcuni anziani (ex abitanti del borgo), si ebbero in modo consistente a valle, dove le fiumare strariparono mettendo in ginocchio l’economia dei campi coltivati a grano, ulivi, e vitigni di cui tutti i brancaleonesi beneficiavano.

LA QUESTIONE dello sfollamento dell’abitato è da ricondurre con molta probabilità nell’interesse politico di quel tempo che, in sintonia con gli interessi economici degli Istituti case popolari, fece costruire dei nuclei abitativi (scatole di 20-25mq) in tutto il territorio, certamente per consentire una vita più degna alle famiglie, che vivevano in precarie condizioni igienico sanitarie. Questi nuclei abitativi, all’avanguardia per il periodo e con tutti i servizi necessari ad una vita sana (allaccio idrico e fognario, energia elettrica e predisposizione al gas), crearono purtroppo un disorientamento iniziale per cui vi fu molta resistenza, da parte degli abitanti di Brancaleone, a prendere possesso delle nuove abitazioni. Una sorte che toccò a tanti paesi di montagna, i cui abitanti vennero predisposti sistematicamente dentro le nuove case, rafforzando così il processo di ripopolazione delle zone costiere, sino all’epoca utilizzate a campi coltivati.

DA BAMBINO, sono stato messo al corrente di una vicenda alquanto strana, che riguardava l’abbandono di Brancaleone. Gli ultimi abitanti, rimasti nel paese vecchio con le famiglie ed i bambini, che ormai per andare a scuola facevano km a piedi, vennero sollecitati ad abbandonare il borgo, con opere di convincimento verbale e persuasione che anno dopo anno li resero sempre più deboli. Si racconta che una notte alcuni ignoti scavarono delle buche nella piazzetta Vittorio Emanuele (o piazza del Ponte) portando alla luce le antiche cisterne poste al di sotto del lastricato di pietra che abbelliva la piazzetta, erano le antiche cisterne scavate nella roccia d’arenaria utilizzate probabilmente nel medioevo per l’approvvigionamento idrico e per la conservazione di granaglie e cereali. Una forte pressione psicologica che volle far sembrare il paese instabile sotto l’aspetto geologico.

UN GIOCO architettato da chi aveva interessi, che con il decreto municipale, che sentenziò già da prima l’inagibilità di Brancaleone, gettarono le basi per il “vero” sfollamento dell’abitato (non certo per alcuna alluvione)! Sicuramente le ultime famiglie rimasero, sino ai primi anni ‘60, per un senso di attaccamento al proprio luogo d’origine, o per testardaggine. Tipica dei popoli dell’entroterra. Questi vennero in un certo senso isolati dal resto della civiltà, che piano piano muoveva i passi sulle coste già dai primi del ‘900 (teniamo in considerazione che l’energia elettrica a Brancaleone non arrivò mai, se non recentemente nel 2010), per cui gli abitanti vennero messi nella condizione di scegliere o la civiltà e la modernizzazione o l’isolamento e l’arretratezza. Queste vicende certo accomunano tutti gli antichi centri della Locride, dell’Area grecanica e di tutto il meridione d’Italia, ma la storia scritta e trascritta sino ad oggi riporta notizie mascherate da altre motivazioni: una sorta di “occultamento della verità”. É opportuno, oggi, riflettere su come e perché questo borgo venne abbandonanto, se pur gradualmente.

BRANCALEONE Superiore conserva ancora un fascino irreale, ed al tempo stesso unico nel suo genere. Fu forse grazie all’abbandono che mantenne la sua originalità, salvandosi così dall’inquietante sovrapposizione di stili post-moderni che hanno rovinato gran parte dei paesi dell’entroterra calabrese. Ne esistono molti esempi, tristi testimonianze di un insano gusto “posticcio ed approssimativo”. Quando la modernizzazione, i nuovi materiali di costruzione e le tecniche più all’avanguardia arrivarono a contaminare le più antiche popolazioni, si ebbe uno sradicamento delle tradizioni e delle tecniche di costruzione, ereditate dagli avi bizantini e greci. Questo processo, ove maturò, cancellò l’identità dei luoghi cari ai nostri antenati. Brancaleone Superiore non subì questo scempio, per cui oggi è possibile intuire le sue antiche viuzze ed i suoi spiazzi (o larghi) quasi assaporando l’amara sconfitta del tempo, che qui ha snocciolato muri antichissimi, sventrato interi palazzi, pur sopravvissuti a terremoti ed alluvioni davvero importanti.

LE GROTTE-CHIESE di Brancaleone, uniche in Calabria, sono in gran parte ancora visitabili. Per la loro unicità, tecnici, esperti ed appassionati vengono ogni anno a studiarle, verificando la rarità di tali specie di romitori e grotte-chiese, che di simili se ne trovano solo in Armenia e Cappadocia. Brancaleone Superiore (come piace a noi chiamarlo) è un gioiello della struttura medioevale, che spicca sul colle sacro dominato dal monte pellegrino, dalla particolare conformazione conica. Il paese si trova arroccato interamente a 310 mt s.l.m., e sembra osservare silenzioso ed inerme i suoi figli che ancora credono alla storiella dell’alluvione come causa del suo spopolamento. L’alluvione in sostanza fu solo un pretesto per arricchire i politici locali, le ditte appaltatrici, e si potrebbe persino azzardare la complicità di qualche ‘ndrina locale (cosa comune a tutti i processi di pseudo-urbanizzazione dei paesi), che puntò a creare nuova economia mediante l’attuazione di grandi progetti atti, ufficialmente, a migliorare la vita del popolo nei suoi aspetti sociali e civili.

NEL CONTEMPO, però, questi micro-centri urbani, che arrivarono in epoche più antiche a toccare e superare anche i 1.000 abitanti, subirono un lento degrado di cui complici furono gli episodi di sciacallaggio. Le abitazioni furono depredate di ogni bene, non solo dai ladri ma anche dai locali, proprietari e non, e i materiali riutilizzati per costruire altri fabbricati nelle campagne circostanti. Lo storico e ricercatore Vincenzo De Angelis ritiene che: «in realtà conveniva a tutti scendere a valle, e tutti lo vollero senza nessuna costrizione. Ogni famiglia successivamente ha abbandonato totalmente l’abitazione senza più farvi ritorno e quindi non conservarla quando ancora era in ottime condizioni. La stessa cosa sta accadendo a Ferruzzano, infatti, molti proprietari di case ancora in buono stato le hanno abbandonate totalmente».


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