Capistrello "tra streghe, fantasmi e riti magici"
- Carmine Verduci
di Carmine Verduci - Nel territorio di Brancaleone si trovano gli antichissimi ruderi di Capistrello, le sue origini antichissime e sconosciute. Fino ad oggi nessuno ha mai trovato un documento che possa far luce con certezza sulla sua fondazione. Tutto ciò che sappiamo è che oggi, alle pendici della collina dove sorge la piccola frazione di Pressocito, a circa 260mt s.l.m. e posto sull’orrido del torrente Altalìa insistono ancora alcuni ruderi di questo antico maniero, che un tempo dominava imponente l’intera vallata.
Capistrello o Crapisteddhu (in dialetto locale), riportato sulle mappe IGM con il nome di “Pipistrello” conserva ancora il fascino di un antico maniero isolato e irraggiungibile se non con una certa fatica. Quel che sappiamo è che, un evento calamitoso ha cancellato gran parte del poggio originario che in tempi remoti pare sia franato per la sua gran parte.
Nel Novembre 2014 quando ci recammo con Sebastiano Stranges noto ricercatore e archeologo accreditato della zona e con Pasquale Callea (guida del Parco Nazionale del Parco d’Aspromonte), decidemmo di ridiscendere il fianco della collina dal cosiddetto “piano dei Ladri” che si trova nei pressi della piccola frazioncina di Pressocito, oggi abitata da una due persone e perlopiù anziani.
La discesa dal fianco della montagna è stata un impresa davvero ai limiti della gravità, ma trovandoci faccia a faccia con i resti murari di quelle che dovevano essere le mura di cinta del castello, abbiamo avuto sin da subito l’intuizione di trovarci di fronte a ruderi del 1300. Infatti ricordo che quella mattina mentre Sebastiano era intento ad ispezionare il luogo, arrivò una chiamata, era l’Arch. Carmine Laganà che da Milano seguiva con attenzione l’ardua impresa. La comunicazione è stata proprio quella di trovarci di fronte a muri del 1300, proprio come aveva constatato Sebastiano. Laganà però ha solo trovato qualche documento di tal periodo, che poi vennero pubblicati l’anno successivo, cui rimandano all’esistenza di Capistrello in quel periodo, come avamposto militare posto al confine con il territorio di Palizzi.
Il mistero di Capistrello non smette da secoli di alimentare storie e leggende, che gli abitanti di Brancaleone tramandano ancora con un certo sarcasmo che affascina, ci trascina in atmosfere di un passato sconosciuto e dai contorni indefiniti.
Si racconta che in questo luogo convivessero pacificamente con gli indigeni locali i Saraceni e che fosse collegato da un ponte sospeso che lo collegava all’antica “Sperlinga” (ovvero Brancaleone), questo ponte si dice, fosse costruito di giorno e distrutto di notte per paura che i Turchi saccheggiassero la città di Sperlinga. Ora, volendo analizzare questa storia, abbiamo ipotizzato che il ponte in questione fosse un ponte fatto di corde e legno (tipo tibetano) perché sarebbe assurdo pensare che un ponte in muratura potesse essere costruito e dismesso tutti i giorni da secoli. Ipotesi però che non può trovare altre spiegazioni se non usando il condizionale. Questa ipotesi ci impedisce infatti, di poter affermare con estrema certezza il quadro veritiero della situazione in quanto, non sono stati rilevati ad oggi tracce di murature che facessero pensare ad una simile teoria.
Un’altra leggenda che lega questo luogo al mistero, è quella che afferma la presenza di una gallina dalle uova o pulcini d’oro, protetta dalle streghe che abitavano questo castello e dalle sembianze ibride (ovvero mezze umane e mezze animali). Queste streghe pare, fossero solite frequentare il borgo di Brancaleone, esse, si racconta, erano solite preparare pozioni magiche e riti d’amore.
Sentendo questa leggenda, è facile trovare una certa analogia con le figure mitologiche dell’antica Grecia le Anarade. Il termine anarada o nadara deriva dal greco classico νηρείς -δος indicante la ninfa marina (nereide), tuttavia la voce grecanica si riferisce ad una creatura ben diversa, che si aggira nei boschi, un fantasma insomma, ma anche un di essere dall'aspetto di donna coi piedi di mula, inoltre secondo la tradizione questa ninfa si nutrirebbe divorando la gente. L'ambiente in cui si dice che queste creature vivano le avvicina piuttosto alle ninfe Oreadi e Orestiadi delle montagne o alle Driadi e le Amadriadi degli alberi, piuttosto che alle Nereidi.
Troviamo ad esempio queste figure mitologiche anche a Chorio di Roghudi, dove si racconta che di giorno, rimanevano nascoste tra le rupi e di notte cercavano di attirare con ogni stratagemma e con la trasformazione della voce le donne del luogo, con l'intento di ucciderle al fine di sedurre gli uomini del paese. Per proteggersi dunque, dalle loro irruzioni, vennero costruiti tre cancelli collocati in tre differenti entrate del paese; uno a “Plachi”, uno a “Pizzipiruni” e uno ad “Agriddhea”.
L’ipotesi fantasiosa della “gallina dalla uova d’oro” invece è molto più comune nel territorio, infatti tale storia la ritroviamo anche a Lazzaro, al castello di Stilo e in varie località della Calabria, noi abbiamo un ipotesi a tal proposito; se è vero che gli abitanti raccontano questa storia è anche vero che durante la nostra ricognizione con Sebastiano Stranges, ci siamo trovati di fronte a delle mura pietrificate, ciò significa che un altoforno era presente in questo luogo e probabilmente serviva per fondere metalli (quale potrebbe essere appunto “l’Oro”). Non a caso il costone a ridosso delle gole del torrente Altalìa conserva ancora il toponimo originario di “orocalcia” appunto, una semplice coincidenza oppure una certezza che avvalorerebbe ogni ipotesi?
Secondo lo storico e ricercatore Vincenzo De Angelis, Capistrello era un antico maniero Saraceno, poiché in molti luoghi come questo i Saraceni convivevano in pace con i locali abitanti. Secondo due studiosi tedeschi i due territori cioè Capistrello e Brancaleone, erano molto vicini e divisi dal torrente chiamato “Ziglia” e si passava da una parte all’altra tramite un ponte passerella (che veniva costruito di giorno e disfatto di notte) una frana più tardi allontanò i luoghi. Quando i Saraceni si recarono in paese per fare un pò di baldoria per la Pasqua, sbagliarono settimana e tornando indietro dicendo alle loro donne “scucinè scucinè ca non è pasca, ma è iornu i frasca” (cioè giorno delle Palme).
Ci troviamo proprio tra due colline, rispettivamente quella dove sorge la piccola frazioncina di Pressocito e l’altra dove sorge l’antica Brancaleone, le due colline sono separate dal torrente Altalìa che sorge ai “Piani di Campolico”, questo torrente è ungo circa 7,5km e durante il suo percorso compie tre salti, rispettivamente 6-18 e 28 metri, queste cascate oggi sono state esplorate ed anche attrezzate dal team di AspromonteWild che da anni si occupa di censire, scoprire ed attrezzare tutti i torrenti dell’entroterra Aspromontano regalandoci una possibilità in più di conoscere un entroterra altrimenti sconosciuto ai più.
Lungo il letto del torrente, sono ancora visibili ruderi di vecchi mulini che un tempo erano l’industria principale per la lavorazione e trasformazione del grano (fonte essenziale di vita), oltre a questi è facile notare grandi terrazzamenti con pietra a secco e varie briglie lungo il letto del torrente, che ci suggeriscono una ricca propensione alla cura del territorio che un tempo veniva sfruttata in tutto e per tutto, oggi purtroppo la modernità ha lasciato spazio ad incuria e abbandono queste terre, che spesso franano e fanno scomparire per sempre tracce di un passato glorioso.
Ma il nome Altalìa, secondo gli studi condotti dal noto ricercatore Giuseppe Cordiano starebbe a significare “vendetta” e deriverebbe dalla lingua Araba. Che sia stato teatro di una sanguinosa battaglia consumatasi in queste sponde? Non lo sappiamo! Ma quel che certo, è che l’enorme impatto visivo di questo corso d’acqua ricco di varietà floreali davvero variegato, ci trasmette un senso di comunione fra uomo e natura che un tempo è stato di sicuro fonte di vita e di vicissitudini, legate ad un territorio altrettanto generoso con l’uomo.
Ma questo torrente, nasconde ben altre credenze e toponimi, che ancora tramandano antiche leggende e misteriosi riti magici. Pare infatti che questo torrente sia conosciuto con il nome di “gole del diavolo”, e questo si riferisce ad un episodio in particolare davvero molto inquietante. Si narra che in tempi remoti tre persone del luogo si recarono in queste gole per leggere un “libro nero” che tradotto sarebbe “il libro dei morti”,alla lettura del contenuto di questo libro improvvisamente il cielo si oscurò di nuvole ed un vento impetuoso si abbatté su queste persone come un vortice, quando tutto cessò, ognuno di essi si ritrovò in tre luoghi diversi; una restò sul luogo, un’altra si ritrovò in una zona di Ferruzzano, l’altra in una zona di Staiti, tutte e tre pare che improvvisamente parlassero lingue diverse e sconosciute, inoltre si dice che su ognuno di questi tre luoghi si incise misteriosamente sulla roccia, una stella a cinque punte. (Sono fonti ovviamente non attendibili, per cui il condizionale ci sembra d’obligo).
Abbiamo provato a tracciare una specie di grafico del territorio ed abbiamo ipotizzato che i tre punti sopra citati (non ben definiti e sconosciuti a noi) potrebbero formare un triangolo, insomma un simbolo esoterico. Poi volendo parafrasare questa ennesima leggenda ci siamo chiesti; da dove viene fuori questa storia? Perché una stella a cinque punte (il tetragramma) venne rinvenuto sui luoghi dove si ritrovarono questi misteriosi oranti? Perché queste persone parlavano lingue antichissime e sconosciute?
Domande che ci siamo posti molte volte, avendo capito che un tempo non vi era molta istruzione fra la gente, ma alcuni di questi elementi raccontati nelle leggende hanno dei chiari riferimenti a simbologie alchemiche ed esoteriche. Chi aveva dunque la conoscenza di questi elementi? E perché usarli per costruire storie che se fossero vere sul serio, avrebbero un non so cosa di così grottesco e assurdo?!
Torniamo a noi, proprio ai piedi della collina di Capistrello troviamo anche la presenza di reperti antichissimi del periodo Magno-Greco, addirittura ancora esiste una fontana sulla strada verso Pressocito che sgorga da una maschera apotropaica di ispirazione Greca, alcune fonti riferirebbero essere una fontana appartenente ad una sontuosa villa romana ancora sepolta sotto terra (difficile stabilirne la sua originaria collocazione).
Non c’è dubbio, che questo territorio conserva ancora un fascino antico e misterioso dove leggende e mistero ancora aleggiano e intimoriscono la gente.
C’è una linea sottile che alimenta la fantasia della gente di questi luoghi, una linea che si fonde spesso con la realtà del passato, ed è impossibile non rimanere rapiti da queste storie fantasiose che ancora scrivono pagine di storia e cultura millenaria a cui è difficile sottrarsi.
Certamente queste storie alimentano in noi l’interesse verso questo territorio che ha molto da raccontare e svelarci, ma nel contempo non smette di regalarci squarci di un passato che spesso traduce la bassezza umana del nostro tempo, intenti a perderci tra cemento e indifferenza che ha creato di sicuro la morte di questi luoghi.