Casignana. I predatori della città perduta
- Domenico Stranieri
Quasi quotidianamente ci sono visitatori alla Villa Romana di Palazzi Casignana, che sorge sul mar jonio calabrese, davanti la parte orientale del mediterraneo. Non considerando i turisti dell’Urbe, nel periodo romano proprio il mondo ellenico-orientale era la meta preferita dei viaggiatori. E come sbarazzini escursionisti di oggi, anche i giovani romani “in gita” lasciavano le loro scritte nelle vicinanze dei monumenti. Alberto Angela, ad esempio, nel suo libro “Impero” (Mondadori, 2010) ci racconta che la tomba di Ramesse VI ha 1759 graffiti tra firme, date, battute e frasi (tra le quali un modernissimo “ma la mamma lo sa che sei qui?”). Insomma erano grafomani questi romani.
In un articolo apparso sulla Gazzetta del Sud nel 2008, ad esempio, Giuseppe Italiano sostiene che tutto converge a far pensare che il luogo del ritrovamento della “sfinge egiziana, che si trova oggi ad Anacapri (isola di Capri), tana per ben 56 anni di Axel Munthe (1857-1949), straordinario medico svedese, nonché scrittore e filantropo” sia la Villa Romana di Casignana. Nel suo libro La Storia di San Michele, difatti, parlando del suo viaggio in Calabria (1908),Munthe, come ci ricorda Italiano, scrive: «conoscevo anche il suo meraviglioso interno, un tempo la Magna Grecia dell’età d’oro dell’arte e della cultura ellenica, ora la più desolata provincia d’Italia, abbandonata dall’uomo alla malaria e al terremoto …. Chi diresse il battello verso questa nascosta e solitaria insenatura? Chi mi condusse alle ignote rovine di una villa romana? Non fatemi domande. Interrogate la grande sfinge di granito, che sta accovacciata sul parapetto della cappella di San Michele. Ma domanderete invano. La sfinge ha mantenuto il suo segreto per cinquemila anni. La sfinge manterrà il mio».
Ma ancor prima, esattamente nel 1987, alcuni giornalisti tra cui Antonio Delfino su La Gazzetta del Sud, Aldo Varano su l’Unità e Giuseppe Zaccaria su la Stampa mettevano in guardia le autorità calabresi contro “i predatori del cavallo alato”.
Ma come aveva pronosticato Aldo Varano su l’Unità dell’1 aprile 1987 la sovrintendenza lavora solo per qualche settimana, senza coordinate precise e fin quando durano i finanziamenti a disposizione, “tutto il resto è in mano agli abusivi, compresi quelli stranieri”.
Un ordine della Procura di Reggio, difatti, dopo poco tempo bloccò il lavoro dei sommozzatori, anche se furono individuati tratti di muri che proseguivano in mare continuando il percorso di quelli della Villa. Il Sostituto Procuratore Rizzo dichiarò di essere certo che nella zona ci fossero inestimabili tesori archeologici e si dimostrò sicuro anche dell’esistenza di complesse strutture sommerse. Non per niente, da un maggiore inglese della Raf (subito dopo la seconda guerra mondiale) ai numerosi studiosi tedeschi sono state diverse le immersioni e gli scavi nella zona di Casignana (basti pensare che ci sono almeno 2 necropoli).
Scrive sempre Delfino: “Negli ultimi anni pescherecci siciliani hanno rastrellato la zona mentre un vasto commercio d’anfore si svolgeva liberamente senza l’intervento di alcuno. Una preziosa statuetta bronzea, anni fa, fu venduta per poche migliaia di lire”.
Forse è vero, come scrisse in una prefazione del suo libro Axel Munthe nel 1931, che “oggi nessuna sfinge di granito si accovaccia sotto le rovine di una villa di Nerone in Calabria”, eppure nulla hanno potuto i predatori, nel tempo, contro la suprema legge della storia: per quanto si è potuto saccheggiare la Villa è rimasta ugualmente maestosa. I Romani, difatti, costruivano per l’eternità.