«Gallicianò martire di un genocidio culturale in corso»
- Redazione
«La festa del patrono di Gallicianò è adesso divenuta un’anonima sagra calabrese, di quelle grigie e senza identità, il cui nome scorre tra i tanti riportati in appendice della terza pagina dei giornali o su internet, sperduta tra un “tuttoqui” ed un “tuttoqua”. La processione stessa è divenuta un mero accessorio al panino con la salsiccia, ma per questo l’arcidiocesi non sembra nutrire alcuno scandalo, per essa scandaloso è stato quando una comunità ha chiesto di pregare come aveva sempre fatto.
L’Ammendolea grecofona non può permettersi ulteriori tagli e censure alla propria identità. Dopo l’aspra diatriba che ha portato le Pupazze di Bova ad essere prima vietate, e solo con forti interventi e pressioni popolari, ad essere poi ripristinate col compromesso di rinominarle palme, quest’anno è toccato alla processione di san Giovanni Battista in Gallicianò subire un’ingiustificata punizione.
La processione si fondava su tre momenti: le litanie mattutine, le quali con preghiere e canti chiedevano al santo le grazie; l’adornare la statua del santo con nastri rossi simboleggianti il martirio, a cui venivano apposte banconote e monili a mo’ di ex voto; la processione pomeridiana vera e propria, caratterizzata dalla la benedizione che san Giovanni elargiva ai fedeli, attraverso una roteazione per tre volte a destra e per tre volte a sinistra al suono di una tarantella, e con un abbraccio, che si conclude con l’elevazione della vara, il tutto in due luoghi precisi: nella parte alta del paese, dove prima dell’alluvione sorgeva la chiesa di san Leonardo, ed innanzi la chiesa ancora in piedi. Tutto ciò il 29 agosto 2018 è venuto meno, dopo circa sei secoli di continuità.
Tutto è iniziato nel 2014 quando il vescovo vietò l’apposizione degli ex voto, una disposizione a cui la comunità si è a malincuore uniformata. Poi sono giunte disposizioni per la diminuzione dei nastri, i quali sono diminuiti sino a arrivare ad uno solo, che oggi solitario adorna la vara. Nel 2017 l’ultimatum: niente tarantella per san Giovanni. La comunità ha reagito con un atto di disobbedienza civile, ma la corda tirata sempre più si era ormai fatalmente spezzata. Dall’arcidiocesi quest’anno sono state mobilitate le forze dell’ordine per garantire la fine di questo rito. Gallicianò ha avuto una processione blindata, otto agenti tra poliziotti e carabinieri in un borgo che fa una trentina di abitanti, portatori della vara schedati preliminarmente, il tutto in un clima da caccia alle streghe.
L’arcivescovo perseguendo una politica di “purificazione dei riti” ha snaturato, offeso ed umiliato una devozione autentica. Il sacerdote di Gallicianò ha solo eseguito degli ordini, attenendosi ad un non meglio identificato decreto vescovile. Vi è stato poi l’ignobile tentativo mediatico di sminuire quanto accaduto, etichettando il tutto come “un balletto”. San Giovanni è l’emblema di un genocidio culturale in atto, perché questo è il nome di ciò che sta accadendo nell’Ammendolea, dove si cambiano i nomi a Bova e si annientano le tradizioni a Gallicianò. Ciò è dittatura, è medioevo è eticamente e moralmente inaccettabile! Non è roba da cristiani. E chi vuole intendere, intenda e rifletta per il 2019».
Francesco Ventura