Gli antichi mestieri. Il vasaio, u mastri pignaturi
- Bruno Palamara
Quella del vasaio è un’arte che si tramanda da millenni, un’usanza antichissima che ancora oggi è in voga con la produzione di oggetti di uso quotidiano utilizzati in cucina o come elementi d’arredo e decoro. Ma come è nata quest’arte che ci ha lasciato un mestiere che ancora adesso, a differenza di altri, resiste “alla grande”?
La storia
Tutto scaturisce, nel Neolitico, quando avviene il passaggio dal nomadismo alla sedentarizzazione e dall’economia di sussistenza basata sulla caccia, sulla pesca e sulla raccolta di frutti e radici, all’economia produttiva fondata sulla cerealicoltura e l’allevamento. La coltivazione della terra (l’agricoltura) e la vita sedentaria nel villaggio trasformano radicalmente la vita degli esseri umani, fino ad allora riuniti in piccoli gruppi nomadi, senza fissa dimora, portando a nuovi bisogni e necessità. Servono strumenti sempre più specifici e perfezionati sia per lavorare le campagne sia per conservare e trasportare il cibo e l’acqua, sia per fabbricare indumenti: tutto ciò fa, in una parola, sbocciare l’artigianato con la nascita dei primi telai per la tessitura, ma anche dei primi recipienti, costruiti e congegnati per conservare i prodotti agricoli e per cuocere il cibo sul fuoco. Adatta e rispondente a queste esigenze, sconosciute all’uomo nomade e cacciatore, si dimostra la ceramica, dal greco “kèramos”, argilla, probabilmente, scoperta in maniera casuale: l’uomo, infatti, si accorge che l’argilla cruda può essere facilmente modellata e che, avvicinandola ad una fonte di calore, si consolida, mantenendo nel contempo la forma che le ha dato. Nasce l’arte del vasaio!
L’argilla
In epoca pre e protostorica il vasaio usa l’argilla così come la trova in natura e, dopo una depurazione sommaria, passa direttamente alla modellazione. In epoca storica, invece, si pone maggior attenzione alla granulometria dell’argilla, in quanto il prodotto finito non deve essere solamente funzionale, ma anche gradevole alla vista. E, così, dagli impasti molto grossolani con cui sono realizzati i vasi più antichi, ottenuti direttamente con l’argilla estratta dalle cave senza operare nessuna scelta qualitativa, si passa ad impasti meno rozzi che contengono argilla “più pulita”, fino ad arrivare alla cosiddetta “argilla figulina”, cioè ad un amalgama che, prima della modellazione, viene sottoposto ad una serie di operazioni finalizzate all’eliminazione di qualunque particella estranea (pietruzze e detriti vari) presente nelle zolle di argilla, attraverso sistemi quali la setacciatura, la levigazione in acqua corrente e la sedimentazione in acqua ferma.
La modellatura
Si procede poi alla modellazione, oggi chiamata “foggiatura a mano”, con l’ausilio delle sole mani senza alcuna attrezzatura, perché era sufficiente rendere concavo, attraverso la pressione delle mani, un pane di argilla, che era poi ulteriormente sagomato e rifinito. Da queste prime ed elementari tecniche si passa a quella molto più precisa del tornio (greco “trochos”; latino “rota figularis”): solitamente verticale, esso è costituito da un asse che collega un piatto circolare superiore con un disco inferiore in legno che viene fatto ruotare con i piedi, dandogli la velocità necessaria per far “montare” il pezzo.
Essiccatura e cottura
A foggiatura finita il vaso è posto ad essiccare, per fargli perdere l’acqua in eccesso. Si applicano successivamente eventuali rivestimenti e la decorazione, praticando con un arnese appuntito delle incisioni più o meno profonde. Si passa, quindi, alla cottura, che avviene in appositi forni ad una temperatura, che, spesso, oltrepassa i 1000 °C. I risultati di questo processo produttivo sono di una bellezza che lascia a bocca aperta. I primi manufatti in ceramica appartengono al periodo Neolitico, risalenti al secolo XI a.C. e rinvenuti in Giappone e in Cina. Tra il IX e l’VIII secolo a.C. la ceramica viene prodotta prima nell’area mediorientale, nella cosiddetta “mezzaluna fertile” (le moderne Iran, Irak, Turchia e Palestina), poi si diffonde nel “mondo mediterraneo”, specialmente nell’antica Grecia, che ha prodotto una notevole influenza su tutto l’Occidente e, quindi anche sulla nostra Calabria. Grande e variegata è stata la produzione di ceramica, con la quale sono stati realizzati ornamenti, opere d’arte e di culto (statue, sarcofagi), materiali per l’edilizia (mattoni, tegole, piastrelle, tubature), attrezzi da lavoro (pesi da telaio, fornelli, anfore, mortai, lo stesso pentolame, scodelle, brocche).
Il grande Vasaio
La Bibbia menziona spesso il vasaio e usa più volte l’immagine del vaso per rappresentare l’essere umano: «Il Signore formò l’uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale e l’uomo divenne un essere vivente» (Genesi 2,7). Lo stesso Dio è descritto come il “grande e potente Vasaio” che modella e trasforma la nostra umanità. «Dice il Signore: ecco, quel che l’argilla è in mano al vasaio, voi lo siete in mano mia» (Geremia 18,6). Anche i proverbi si sono interessati del vasaio, quando in uno dei più famosi si dice: «‘U mastru pignataru menti a manica aundi a voli» (il “mastro” vasaio mette il manico dove vuole): il bravo vasaio conosce bene l’oggetto del proprio lavoro.
In Calabria
In Calabria i principali centri in cui si producevano manufatti tipici e tradizionali sono stati Seminara, Gerace, Bagnara calabra, ma anche Gerocarne e Squillace. La loro produzione è stata fortemente contraddistinta e influenzata dalla tradizione e dalla cultura magnogreca, oltre che dalla lavorazione bizantina e musulmana del Medioevo. Soprattutto Gerace, non a torto definita la “Firenze del Sud”, si è distinta nel ‘600, quando è riuscita a diventare un centro ceramico di notevole importanza artistica e commerciale grazie all’opera dei suoi grandi maestri vasai, esportando i suoi prodotti, vasellame e maioliche, in Sicilia, a Napoli, persino in Spagna, e oggi alcuni suoi prodotti superstiti possono essere ammirati presso il Museo nazionale di Palermo ed in collezioni private di famiglie napoletane.
I maestri geracesi
I maestri vasai geracesi vengono simpaticamente chiamati argagnari e creano le famose tradizionali “ceramiche di Gerace”, che ricordano i vasi degli antichi Greci. Li realizzano nelle botteghe e nelle officine ubicate in grotte artificiali site nel Borgo maggiore. In esse i maestri vasai realizzano i caratteristici pinakes (tavolette ex-voto, recanti a bassorilievo scene mitologiche o di vita quotidiana che gli antichi Locresi dedicavano alla dea infera Persefone), bumbulelle e quartare (giare destinate alla conservazione di alimenti), comuni stoviglie. Esse risultano, però, insufficienti a soddisfare le continue e pressanti richieste che giungono da ogni parte non solo d’Italia. Quanto sarebbe utile per l’intero territorio recuperare e valorizzare la tradizione degli argagnari, incentivando soprattutto nei giovani la consapevolezza della propria identità culturale anche attraverso la riscoperta di un mestiere, come il vasaio, che ha fatto la storia del nostro territorio, riscoprendo, contemporaneamente, un mondo ormai dimenticato!