Guerrino il meschino e l’antro della Sibilla
- Pino Gangemi
Mauro Cursietti, che ha curato l’edizione critica de Il Guerrin Meschino di Andrea da Barberino, fa, a proposito di dove si trovi l’antro della Sibilla, la più bella delle avventure del Meschino, due sorprendenti affermazioni (che metto in grassetto per evidenziarle) di cui cercherò di mostrare l’infondatezza.
“È il caso della figura della Sibilla, il cui antro fino ad oggi era stato pacificamente e unanimemente situato presso Norcia in Umbria. Eppure risulta chiaro dalla lettura del testo come invece, forse accogliendo una tradizione orale, Andrea lo collochi, scavalcando il rilievo dell’Aspromonte, in Puglia, presso Lucera, città di cui sono attestate nel Medioevo anche le denominazioni di Noceria e Norcia, che hanno evidentemente generato nei lettori la confusione con l’altra Norcia” (2005, p. XXIII).
La prima sorpresa è quel pacificamente e unanimemente che non corrisponde al dato di fatto che l’Aspromonte è pieno di leggende, compreso l’indicazione della valle della Sibilla, sulla presenza di Guerrino tra queste montagne. Ovviamente, per Cursietti, non fanno testo i nostri vecchi che riprendono la leggenda della Sibilla, della Madonna e di Guerrino, arricchita di ulteriori particolari non presenti nell’opera: lo schiaffo dato dalla Sibilla a Maria; l’arguzia con cui Maria si sarebbe difesa dalla Sibilla; il fatto che la Sibilla si trovi ancora incatenata al suo antro e che l’ingresso e l’uscita dalla chiesa della statua della Madonna di Polsi devono essere fatti in un dato modo, per evitare che la Sibilla si liberi; etc.
Se da questa parte si deve dare torto a Cursietti, dall’altra, però, si deve constatare che in Aspromonte non c’è nessun luogo che ricordi Guerrin Meschino o la Sibilla, a parte le leggende sempre meno note agli stessi Calabresi. Avendo quasi del tutto perso la memoria dei nostri miti, ci siamo fatti sottrarre le nostre leggende che vengono sfruttate, anche a fini turistici, da chi se ne è impadronito.
Nei monti Sibillini, dove, fino al saggio di Cursietti, veniva collocato l’antro della Sibilla, esistono da tempo immemorabile una “grotta della Sibilla” e una “fonte del Meschino” che sono diventati un punto di attrazione per turisti. E a Cuma, da dove la leggenda dice provenisse la Sibilla incontrata dal Meschino (ma la Sibilla nega al Guerrino che sia vero), scappata, secondo la leggenda, duemila anni fa per venire in Aspromonte, esiste una “grotta della Sibilla” visitatissima dai turisti. In Calabria, niente di tutto questo. Nessuna fonte! Nessuna grotta! Logico che nessuno possa pensare che Guerrino abbia potuto incontrare la Sibilla in Calabria. Colpa, quindi, anche nostra, di noi Calabresi che non siamo capaci di sfruttare l’enorme patrimonio di miti storicamente legati all’Aspromonte.
Senonché, malgrado tutte le argomentazioni “scientifiche”, Cursietti non è riuscito a risultare convincente nel cercare di sottrarre l’antro della Sibilla all’Aspromonte. Quali gli argomenti usati da Cursietti?
Il primo argomento è il fatto che Lucera sia diventata, nel XIII secolo, una città maledetta [Cursietti 2005, p. XXIII] adatta, perciò, “ad ospitare chi [la Sibilla] era relegata e isolata dal mondo per la sua presunzione di diventare la madre di Cristo” [Cursietti 2005, p. XXIV].
Il secondo argomento per la preferenza di Lucera-Norcia in Puglia è il fatto che questa città portava lo stesso nome di Norcia in Puglia e un secondo nome (Noceria) più vicino a Nocea che è l’altro termine in cui si denomina la città in cui Guerrino si ferma a cercare una guida verso l’antro.
Il terzo argomento a favore di Lucera è l’interpretazione secondo cui la localizzazione dell’antro nelle “Alpi d’Appennino nel mezzo d’Italia” “non indica perciò l’Italia centrale, ma semplicemente la collocazione mediana dei rilievi, interni rispetto alla costa” (Cursietti 2005, p.332, nota 3).
Il quarto argomento è che l’espressione “queste nostre terre di Calavria” si riferisce “evidentemente a rilievi situati nelle vicinanze” (Cursietti 2005, p. 332, nota 3).
Sul primo argomento, Lucera città maledetta e quindi ideale luogo di relegazione, va considerato che Lucera diventa una città maledetta perché colonizzata dai Musulmani, mentre la Sibilla è divinità pagana. Per non dire, poi, che Lucera diventa una città maledetta quattro secoli dopo l’anno in cui Guerrino è sostenuto essere entrato nell’antro della Sibilla. Guerrino, infatti, incontra la Sibilla nell’823 ed è nel 1223 che Federico II deporta a Lucera Musulmani provenienti dalla Sicilia. Prima di questa colonizzazione, erano rimasti pochissimi Cristiani nella città, ormai del tutto spopolata. Federico II fa costruire varie moschee. La presenza di Musulmani con i loro culti viene tollerata fino al 1268 quando il Papa, forse Clemente IV, lancia una Crociata contro la città di Lucera e, nel 1300, Carlo II d’Angiò, detto lo Zoppo, assedia la città, la espugna, abbatte le mura e le moschee, massacra i Musulmani e vende i sopravvissuti come schiavi. Dopo di che Lucera smette di essere una città maledetta e diventa una città ripopolata da Cristiani.
Il secondo argomento non mi sembra così convincente: Lucera viene dichiarata la città indicata come Noceria o Norcia perché, per questa città, vengono usati due nomi simili ai due nomi (Noceria e Norcia) con cui la città è indicata nell’opera (Nocea e Norcia). Non è convincente perché i due nomi alternativi di Lucera sono usati in poche cronache e non sempre.
La chiarezza dell’attribuzione dell’antro a Lucera non esiste affatto se si considera il terzo argomento (sulle Alpi in mezzo all’Italia) e il quarto (sulle nostre montagne di Calabria). Questi due argomenti vanno analizzati insieme, riportando tre diverse citazioni che traggo dall’opera curata da Cursietti e da tre altri manoscritti e incunaboli del XV secolo.
A questo proposito, Cursietti ci fa sapere che “Del Meschino sono stati individuati ben diciassette manoscritti, oltre a dodici incunaboli e sedici cinquecentine” (2005, p. XIII). I manoscritti sono successivi al 1410, anno della prima stesura da parte dell’autore del primo manoscritto. Gli incunaboli sono opere a stampa pubblicate tra la data dell’invenzione della stampa e l’anno 1500 compreso. Cinquecentine sono i libri pubblicati a stampa tra il 1501 e il 1600. Cursietti riporta l’elenco di queste versioni del Guerrin Meschino nella Nota al Testo in fondo al volume. Da questa nota risulta che le versioni più antiche sono: il Manoscritto ex Dyson Petrins 71 (quest’ultimo non consultabile perché nelle mani di un ignoto collezionista privato, anche se Cursietti ne possiede una copia in microfilm); il Manoscritto MA297 della Biblioteca Civica di Bergamo Angelo Mai. Questi due testi sono: del 1462 il primo; del 1467-68 il secondo. Il primo incunabolo è, invece, del 1473. Io sono riuscito a consultare (oltre al volume del 2005 curato da Cursietti) i seguenti quattro testi:
- Manoscritto MA 297 del 1467 (nella Biblioteca Angelo Mai di Bergamo);
- Manoscritto Ms. Pal. 0030 non datato da Cursietti ma datato 1473-1500 (indica una data qualsiasi dentro un intervallo di 27 anni) dalla biblioteca che lo possiede (Biblioteca Palatina di Parma);
- Incunabolo veneziano INC. V. 0541 del 1477 edito da Gerardus de Lisa de Flandria (Biblioteca Marciana di Venezia);
- Incunabolo veneziano INC. 479 del 1483 edito dalla Tip. Del Valla (Biblioteca Marciana di Venezia).
Le varie versioni delle tre citazioni considerate sono:
- “e fugli detto ch’ell’era nell’alpi d’Appennino nel mezzo d’Italia” (2005, p. 332) e, ancora, che “lle montagne dov’è la savia Sibilla sono nel mezzo d’Italia” (2005, p. 333); la città è chiamata “Norza la quale per lunghezza è nel mezzo d’Italia” (MS 297 p. 131r); la Sibilla era “nelle alpi de pennino in mezo ditalia sopra una città chiamata noccea alchuni dichono ch’ella se chiama norza ma in tutto questo libro la chiamo noccea” (Ms. Pal. 0030, ultime parole del libro quarto, senza numero pagina); la Sibilla “era in li monti de pinino in lo mezzo de Italia sopra una cita chiamata norza alcuni dicono come la è chiamata Norsia ma in tuto questo libro è scrito Norza” (INC 149, cap. CXXXVII). Tuttavia, già basta a indicare che Norza e l’antro si trovano entrambe in montagna, nello stesso gruppo di montagne, anche se l’antro è molto più in alto tra rupi ripidissime.
- “Io sono da Nocea ed ebbi nome Maco, e andai sempre mai acattando per insino da piccolino e mai non volli durare fatica; e none imparai nessuna virtù, e sempre dieii all’ozio” (Andrea da Barberino 2005, p. 248); “io sono da norza et hebi nome macho” (MS 297 p. 137r); “io sono de noccea ed ebi nome macho” (Ms. Pal. 0030, Libro V, cap. 7); “io sono dannato ed hebe nome Macho” (INC 149, Cap. CXLIIII). Maco è un abitante di Nocea o Norza ed è a proposito di Maco che la Sibilla fa l’osservazione relativa alla citazione che segue.
- Guerrino chiede alla Sibilla chi fosse Maco, questa risponde: “Quello era, nella vita in che tu ssè ora tùe al mondo, un piccolo signore in queste nostre terre di Calavria ed era il più superbio uomo del mondo e pieno de’ sette peccati mortali” (Andrea da Barberino 2005, p. 366); “uno picholo signore in queste nostre montagne” (MA 297, p. 144v) senza riferimento alla Calabria; “uno piccholo signiore in queste nostre montagne di chalabria” (Ms. Pal. 0030, Libro V, cap. XV); “uno picolo segnore in queste nostre montagne de calabria” (INC. V. 0541, Cap. CLI); su Maco si legge: “uno picolo signore in queste nostre montagne de Calabria” (INC 149, Cap. CLI). La Sibilla sostiene chiaramente che Nocea e l’antro si trovano in Calabria, a distanza di dodici miglia l’una dall’altro.
Data quest’ultima affermazione presente in quasi tutti i testi antichi, e nello stesso testo di Cursietti, questo dovrebbe essere accettato naturalmente e unanimemente: che l’antro della Sibilla e Nocea si trovino in Calabria, non a Lucera, provincia di Foggia o a Norcia in Umbria. Ma dove, esattamente? Tutti partono dal presupposto che, dal momento che Guerrino supera l’Aspromonte per arrivare a Nocea, l’antro si trovi oltre l’Aspromonte.
I calcoli che, normalmente fanno gli studiosi sono i seguenti: Nocea si trova oltre l’Aspromonte, ma non si dice di quanto. Quindi, Nocea può essere in Umbria o in Puglia. Entrambe sono oltre, ma molto oltre l’Aspromonte. In questo caso, il “nostre montagne” va inteso come “nostre di noi Italiani” (del resto si dice che Nocea è nel mezzo d’Italia e il centro d’Italia è l’Umbria). Cursietti interpreta quel “nel mezzo d’Italia” come “nel mezzo tra il mare Tirreno e il Mare Adriatico” e propone Lucera. Ma Lucera non si trova nel mezzo tra i due mari. È, infatti, molto più vicina all’Adriatico che al Tirreno.
Un terzo problema, su cui si riflette poco, è che l’Appennino è chiamato anche Alpe. Questo viene normalmente assunto come conseguenza che Alpe, in questo caso, è usato come sinonimo di montagna.
Solo l’Aspromonte risponde alle due caratteristiche dichiarate nella storia: 1) si trova nel mezzo di due mari più di Lucera. Per quanto riguarda l’Umbria, si può anche concedere che si trova sia nel mezzo di due mari, sia nel mezzo d’Italia, come la conosciamo adesso. L’Aspromonte si trova, invece, nel mezzo d’Italia come era originariamente: il nome Italia proviene da Ouitalos, toro sacrificale di un anno, inseguito da Ercole perché fuggito e si riferiva, inizialmente, al territorio tra Reggio Calabria e l’istmo di Squillace. Territorio nel mezzo del quale si trova l’Aspromonte; 2) si è sempre saputo che l’Aspromonte ha caratteristiche geologiche simili a quelle delle Alpi, e diverse da quelle dell’Appennino, al punto che i geologi sostengono che è emerso dal mare nello steso periodo delle Alpi. In questo senso non è improprio dire che l’Aspromonte è un’Alpe che si troiva nell’Appennino e lo conclude.
A queste due, se ne può aggiungere una terza che viene normalmente ignorata da tutti i commentatori. Una caratteristica collegabile a un’altra opera di Andrea da Barberino. Per ben due volte, in Guerrin Meschino si legge che nelle montagne dove c’è l’antro della Sibilla si riproducono ancora i grifoni. Questa affermazione è riscontrabile in tutti i testi consultati, compresa l’edizione critica di Cursietti. “lle montagne dov’è la savia Sibilla sono nel mezzo d’Italia, dove possono tutti e venti perché egli è molto alto luogo, e dicesi che vi figliavano e grifoni” (2005, p. 334);
Primo passo: “sono nel mezo de Italia dove passano li venti p. la loro altezza e disse che già li filgiavano i grifoni” (MS 297, p. 132v); “che le montagne dove la savia sibilla sono nel mezo ditalia ove possono tutti i venti perche ghe molto alto luogo e dice che gia vi figlio i grifoni” (Ms. Pal. 0030, Libro V, cap. 1); “E che le montagne dove e la Sibilla e in mezo de italia dove sono tuti venti per che sono alte e za li stavano li grifoni” (INC 149, CXXXVIII).
Secondo passo: “E ho udito dire che appena li uccelli salvati chi vi [nell’antro] possono andare, e non v’ha se nonne falconi e aquile e avoltoi, e già v’ebbe de’ grifoni; e altre che fiere salvatiche non vi stanno” (2005, p. 335); “et io ho uditto dire che apena li urieli salvatichi ui possono andare enon uistano senon falconi aquile et avoltoi et altro che fiere salvatiche” (MS 297, p. 132v); “e gia vebbe grifoni e altre che fiere fantastiche non vi stanno” (ms. Pal. 0030, Libro V, cap. 1); “e che apena li ucelli ge possano volare e no ge se non falconi e aquile a avoltoi e za li so grifoni et altre fiere saluatiche non ge sono” (INC 149, CXXXVIII).
Ma dove in Calabria ci sono i grifoni? Ce lo dice lo stesso Andrea da Barberino in una famosa canzone che ancora si cantava al tempo in cui egli scriveva il Guerrin Meschino: La Chanson d’Aspremont, racconta che ci sono grifoni nelle montagne d’Aspromonte. In questa Chanson si racconta che il duca Namo ambasciatore del re Carlo [Magno] presso Agolante, imperatore musulmano che ha conquistato Risa, cioè Reggio Calabria, fu assalito da e uccise un grifone.
La Chanson è certamente nota al giovane Andrea, se non nelle prime versioni in normanno, certamente nella versione in volgare toscano con titolo Cantari d’Aspramonte. Anni dopo aver scritto il Guerrino, infatti, Andrea scriverà una versione in volgare e in prosa di questi Cantari (L’Aspramonte, pubblicato a stampa nel 1951). In questo testo, Andrea sostiene che in Aspromonte ci siano i grifoni: “uno grande uccellaccio lo [al duca Namo] percosse per la fame, e, come l’astore ne porta la pernice, così l’uccello nel portò via…. E dicono molti che quello uccello fusse uno grifone” (1951, p. 80). Ed Duca Namo sta attraversando l’Aspromonte, si perde e viene assalito dal grifone alato.
Al 1410, anno della stesura di Guerrin Meschino, Andrea conosceva già la Chanson o i Cantari? Certamente! Perché egli ci racconta che Guerrino è figlio di Milone che è, a sua volta, figlio di Gherardo de la Fratta, uno dei principali personaggi della Chanson e dei Cantari. Gherardo de la Fratta viene in Aspromonte a combattere i Saraceni alleato di Carlo Magno, malgrado sia nemico di questi, e vince la seconda battaglia d’Aspromonte. Gherardo ha quattro figlioli e due li ha fatti cavalieri prima di partire per la guerra (Arnaldo e Raineri). Gli altri due li fa cavalieri Carlo Magno (Guicciardo e Milone) che fa il primo di questi due re di Puglia e il secondo principe di Taranto. Milone è il padre di Guerrino e tutta la storia di quest’ultimo è la storia della ricerca del padre e della madre.
Quali sono le conseguenza dell’ipotesi che le montagne in cui si trova l’antro della Sibilla sono quelle d’Aspromonte? Una sola: supera l’Aspromonte (espressione che indica che va oltre, ma di poco in riferimento al punto di partenza, non all’altro capo del mondo), rimane comunque in Calabria e arriva a Norza. Da qui torna indietro: sei miglia per arrivare a una fortezza (quella di Sabina), altre quattro miglia per arrivare a un romitorio, un miglio in mezzo ad alte rupi nelle montagne e un altro miglio ad arrampicarsi con mani e piedi per arrivare alla bocca dell’antro della Sibilla.
Ci sono abbastanza elementi, ricavati tutti dalle opere di Andrea da Barberino, per giustificare l’ipotesi di collocare all’interno dell’Aspromonte dell’antro della Sibilla, come del resto hanno sempre sostenuto i nostri vecchi che ancora raccontano la leggenda di Guerrino, quella della Sibilla e quella dei suoi rapporti con Maria, madre di Gesù, ma anche tanti altri particolari che in Guerrin Meschino non sono raccontati e che fanno pensare che queste leggende sono nate in Aspromonte e che qui le ha raccolte Andrea da Barberino per scrivere il capitolo quinto del suo immortale racconto.
Se questo è vero, è evidente che Andrea ha largamente attinto da un corpus di leggende e di miti aspromontani: lo ha fatto per I reali di Francia dove si legge che Costantino il Grande ha cercato in Aspromonte Papa Silvestro dopo essersi preso la peste perché i santi Pietro e Paolo, venutegli in sogno, gli hanno raccontato che Silvestro ha un’acqua miracolosa per salvarlo dalla peste (è l’acqua del battesimo che verrà dato a Costantino per salvarlo dalla morte). Costantino manda a cercare Silvestro fuggito da Roma, per le persecuzioni ordinate da Costantino, e rifugiatesi in Aspromonte. L’imperatore manda, a cercare Silvestro, “un suo barone che aveva nome Lucio Albanio, ed era capitano de’ suoi cavalieri” (I reali di Francia, Libro I, cap. II) alla testa di mille cavalieri. Questi circondano l’Aspromonte e costringono Silvestro a consegnarsi. Il Papa è convinto che sarà ucciso. Invece, gli si dice che è voluto a Roma. Opera un miracolo, facendo maturare una rapa appena seminata e questo convince Lucio Albanio a convertirsi (I reali di Francia, Libro I, cap. II) e a farsi battezzare in Aspromonte, probabilmente ad una fonte di cui parla nella sua versione in prosa (Aspramonte) dei Cantari d’Aspramonte. Silvestro, in Aspromonte, ha costruito una fonte, mettendogli accanto un pino e un ulivo. A questa fonte, si svolge il duello tra Almonte, figlio dell’imperatore saraceno, e Carlo Magno e, mentre il secondo sta per soccombere, arriva il giovane Orlando e uccide Almonte (Andrea da Barberino 1951, pp. 143-50).
La ricostruzione è finita. La Sibilla, Nocea, San Silvestro Papa, Gherardo de la Fratta, Guerrino, Carlo Magno etc. sono tutti personaggi che, secondo Andrea da Barberino, hanno avventure in Aspromonte che sono notissime da secoli. Basta pensare che, per secoli, Guerrin Meschino è stato più noto della Divina Commedia.
Abbiamo un patrimonio culturale enorme, fatto di miti potenti che durano da secoli e che altri stanno rilanciando o si contendono, non noi Calabresi. Non siamo capaci di sfruttarlo? Pazienza! Cerchiamo, però, almeno di difenderne la paternità!