Il Maestro Barlaam di Seminara
- Pino Gangemi
«E se fosse Crotona?». Barlaam di Seminara, amante dei viaggi e di una vita che richiede entrate consistenti, si trova nella città di Gerace dove è stato da poco nominato vescovo e dove ha trovato, finalmente, una rendita adeguata ai propri bisogni. Nella nuova sede è tormentato dai seguaci del vecchio vescovo Nicola, morto pochi mesi dopo la nomina, prima di riuscire a compensare quanti lo avevano aiutato ad occupare la carica. Non hanno gradito l’arrivo da fuori di questo erudito che ha ricevuto la nomina da Papa Clemente VI solo perché amico e protetto di Francesco Petrarca, magnus poeta et historicus. I soli momenti in cui Barlaam si sente in pace sono quelle poche ore che riesce a ritagliarsi per gli studi.
QUELLA LUNGA SERA di domenica 26 gennaio 1343, non se l’è sentita di dedicarsi ai suoi raffinati, e pesanti, studi teologici o matematici e si sta rilassando con la lettura della Commedia, dal manoscritto regalategli da Giovanni Boccaccio, conosciuto a Napoli qualche anno prima. Deve a Boccaccio se è stato introdotto al Petrarca e, quindi, lo considera la fonte primigenia della sua attuale posizione. In segno di rispetto per il giovane toscano, ha iniziato a leggiucchiare la Commedia. Poi, si è innamorato del testo e quella poesia lo ha preso. A Gerace, legge il testo ogniqualvolta il suo animo è più preso e appesantito dalle polemiche e dai dispetti di chi dovrebbe collaborare alla gestione della diocesi.
NEL CANTO OTTAVO del Paradiso, versi 61-63, si imbatte in un riferimento ai confini dei possedimenti italiani di Carlo Martello d’Angiò, re d’Ungheria, morto giovane senza aver preso possesso delle terre meridionali della penisola: “... e quel corso d’Ausonia che s’imborga di Bari, di Gaeta e di Catona da dove Tronto e Verde in mare sgorga”. Disturba la mente matematica di Barlaam il fatto che Dante citi tre città posizionate su due dei principali mari e non su tutti i tre che bagnano le terre una volta di Carlo Martello: «Bari è sul mar Adriatico, Gaeta è sul mar Tirreno e Catona è sullo stretto di Messina, nel braccio di mare che mette in comunicazione Tirreno e Ionio, senza appartenere a nessuno dei due».
GLI E’ VENUTO subito in mente, leggendo. Ed è stato a questo punto che si è chiesto: «E se fosse Crotona?». Ha quindi proseguito nell’argomentare: «Crotona, o Crotone, sarebbe sullo Ionio e i tre più importanti mari che bagnano le terre di Carlo Martello sarebbero tutti rappresentati. Con Catona, invece, manca all’appello lo Ionio». A Barlaam sembra che manchi la simmetria, la completezza, la geometrica potenza della rappresentazione geografica completa. Poi, in parte, concede: «Vero che Catona è notissima come porto più comodo per arrivare in Sicilia e, in questo senso, è la punta estrema dei territori di Carlo Martello. Il che completerebbe il riferimento ai due fiumi: il Verde che sfocia nel Tirreno, non lontano da Gaeta, esattamente a Minturnae, e il Tronto che segna il confine adriatico dei possedimenti di Carlo Martello». Non è ancora convinto. Prosegue a pensare: «Il verso centrale fa tre riferimenti a città sui confini di acqua salata e, quindi, simmetria vorrebbe che, essendo tre i mari principali, ogni città sia su un mare diverso. L’ultimo verso segna i confini di acqua dolce e qui è giusto che ce ne siano solo due». Rimane ancora dubbioso e, quasi senza deciderlo, si alza a cercare tra i volumi della biblioteca della diocesi, i pochi rimasti dalle razzie dei religiosi delusi dalla sua elezione.
CERCA QUALCHE opera di Polibio. Si ricorda che Polibio elencava addirittura tre mari tra Scilla e Venezia: Siculo fino a Stilo, Ionio fino a Otranto e Adriatico fino a Venezia. Con il mar Tirreno, diventavano quattro. Rimane deluso. Pochissimi insignificanti libri in greco sono rimasti negli scaffali. E Polibio non c’è. Troppo prezioso! Motivo per cui non lo ha mai avuto nemmeno tra i suoi libri personali. Trova, in uno scaffale mezzo vuoto, una copia dell’Eneide, salvatasi dal saccheggio dei religiosi greci di Gerace, forse perché in latino. Si ricorda della descrizione di un incontro dei fuggiaschi di Troia, guidati da Enea, con Poliphemus, già accecato da Ulisse, come cantato nell’Odissea. La sua mente si illumina ad una nuova ipotesi. Grida: «È Virgilio che guida Dante nella Commedia! Cosa dice Virgilio?». Prende l’Eneide in mano e va a cercare i passi in cui viene descritto il tentato superamento dello Stretto che, con mare forte, implica il rischio di finire su Scilla o Cariddi. Legge le prime frasi di ogni libro e passa oltre. Arriva al quarto libro e trova che narra già dell’innamoramento di Didone per Enea. Si tratta, quindi, del libro terzo.
SCORRE LE PAGINE andando in cerca del nome di Poliphemus. Ne individua il primo e prosegue verso la conclusione scorrendo riga per riga con il dito, alla ricerca di parole, ma senza leggere. Trova, infine, la parola ionios (verso 671) e legge prima e dopo. Virgilio racconta di un tentativo di passare attraverso lo stretto, andando verso Scilla e Cariddi, per poi rinunciare e tornare indietro per circumnavigare la Sicilia. Enea racconta, con le parole messegli in bocca da Virgilio, che, andando verso Scilla, si trova nel mare Ionio. «Per Virgilio, la guida di Dante, il Tirreno finisce a Scilla e lo Ionio comincia da Scilla. Quindi tre sono i mari corrispondenti alle tre città: Gaeta per il Tirreno, Bari per l’Adriatico e Catona per lo Ionio». Soddisfatto il proprio bisogno di simmetria, e ancora più ammirato per l’opera e il Poeta, il vescovo Barlaam ritorna alla scrivania e ricomincia a leggere.
Barlaam di Seminara fu matematico, filosofo, vescovo , teologo e studioso di musica. Si formò nel Monastero greco ortodosso di S. Elia (Galatro) e dopo essere stato ordinato sacerdote, lasciò la Calabria alla volta di Bisanzio, dove finì gli studi. Il suo successo come filosofo fu la causa della gelosia dell'umanista bizantino Niceforo Gregorio. Nel 1333, nell'ambito delle trattative per la riunificazione tra le due chiese di oriente e di occidente, venne destinato a difendere le ragioni greche. Barlaam fu protagonista di una violenta polemica contro i metodi ascetici e mistici di alcuni monaci dell'Athos e del loro sostenitore Gregorio Palamas. Nel 1342 conobbe Petrarca ad Avignone a cui iniziò ad insegnare il greco. Il Petrarca si adoperò per fargli assegnare la diocesi di Gerace, così Barlaam fu nominato vescovo di Gerace da papa Clemente VI il 2 ottobre dello stesso 1342. La Bolla relativa alla sua elezione al vescovato di Gerace riporta: "Monachus monasteri Sancti Heliae de Capasino Ordinis Sancti Basilii Militensis Diocesis, in sacerdotio constitutum". Barlaam fu maestro di greco anche di Giovanni Boccaccio e diede un importante contributo, attraverso la riscoperta dei testi greci, anche a tutto ciò che non molto tempo dopo svilupperà il movimento umanista.