Il racconto. Ascendant ad montes
- Pino Gangemi
«Il vostro linguaggio sia: “Si, si, no, no”. Ciò che si dice, in più, vien dal maligno» (Vangeli, Matteo, 3, 37). Elia il Giovane, monaco di santa vita recita a memoria questo breve passo della Sacra Bibbia. Nella sua città di adozione, Risa, per ben due volte, nell’888 e nel 901, ha predetto ai concittadini che, continuando a vivere come vivevano, sarebbero stati assediati e uccisi dai Saraceni. La prima volta ha rivolto agli abitanti di Risa accorate e sofferte parole: «Ho avuto una visione e Dio mi è testimone che è veritiera. Ho visto la vostra città attaccata dai Saraceni e conquistata con facilità. Ho visto la calamità che si abbatterà sui cristiani. I guerrieri saraceni si riverseranno per le vie, con le scimitarre sguainate, trafiggendo tutti coloro che incontreranno e saccheggiando le case e le chiese. Nel giro di due giorni, tutto sarà compiuto. Non rimarrà alcun cristiano vivo nella città. Pochi riusciranno a fuggire, molti saranno caricati sulle navi e portati in Sicilia o in Africa, per essere venduti come schiavi. I più giaceranno a migliaia in pozze di sangue sulla soglia delle loro case, vicino alle chiese dove hanno cercato salvezza o dentro i luoghi sacri dove si sono illusi di poter trovare scampo». Impressionati dalle sue parole, gli abitanti di Risa hanno promesso, ma poi non hanno mostrato, con azioni e scelte coerenti, di mantenere l’impegno di fede assunto. E allora Elia, monaco di santa vita, è uscito dalla città, ha scosso la polvere dai suoi calzari e si è diretto al suo monastero, sul monte Aulinas. Come da lui predetto, Risa venne assediata, conquistata e i suoi abitanti massacrati. La seconda volta, 23 anni dopo, Elia si trova ancora a Risa ad ammonire e minacciare. Più sbrigativo, però: «Se non cambierete vita, sarete assediati dai Saraceni e la vostra città verrà di nuovo distrutta! Molti di voi saranno uccisi, altri venduti come schiavi. Pentitevi e organizzatevi per la difesa di voi e della vostra fede!». Anche questa volta, deluso dai suoi concittadini di adozione, egli lascia la città di Risa e si dirige in Aspromonte. Qui trova la popolazione che ha seguito l’invito dell’ascendant ad montes e si appresta a difendersi dentro ben muniti castelli. Questi, finanziati per il materiale con le tasse dell’Imperatore, vengono costruiti con il lavoro dei cittadini. Si dirige al castello di Santa Cristina dove trova i cittadini che si stanno preparando all’imminente offensiva saracena. E li elogia. L’anno dopo, come da lui predetto, Risa viene di nuovo assediata e saccheggiata. Dopo questo secondo disastro, rivediamo Elia il Giovane nelle colline intorno a Skylletion, che predica e spiega ai monaci che lo ascoltano rapiti il perché del doppio saccheggio di Risa, della conquista di Cosenza e della resistenza vittoriosa della gente delle montagne. «I cittadini delle colte città di Risa e di Cosenza sono combattuti da parole prestigiose e contraddittorie - le parole della Santa Bibbia dei filosofi greci, dei giuristi, degli storici e degli oratori romani - e non sanno che cosa trattenere e che cosa eliminare». Le parole sono, per loro, disgiunte o sono solo leggermente unite all’azione ed essi si sentono bloccati senza azione. «Voi monaci di Skylletion, dove ancora forte è il ricordo del grande Cassiodoro, dovete leggere tutte le vostre fonti e non rinunciare a niente dei vostri studi. Ma, poi, dovete andare al nucleo dell’azione che conta per un Cristiano». La trasformazione della natura, l’organizzazione della produzione agricola, la riproduzione degli esseri umani, sono tutti progetti in sé importanti ed essenziali. Ma sono nulla senza il progetto della costruzione delle anime intorno all’azione. E questo ultimo progetto, ha una sola e semplice regola: «Il vostro linguaggio sia: “Si, si, no, no”». Il linguaggio dei cittadini di Risa è stato, per due volte, un inganno. E la città è stata distrutta. Questo inganno ha risparmiato le popolazioni che si sono rifugiate in montagna e la loro lotta sarà vittoriosa. «“Si, si, no, no”. Ciò che si dice, in più, vien dal maligno». Il giorno dopo, il monaco di santa vita salpa verso la capitale, da dove è stato chiamato dall’Imperatore. Non arriverà mai a Costantinopoli. A Tessalonica, prossimo alla meta, Elia muore. Il suo corpo viene riportato nel monastero del monte Aulinas, a picco sul mare, e sepolto in vista della sua natia Sicilia.