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Il racconto. La notte degli "spirdi"

  •   Franco Borrello
Il racconto. La notte degli "spirdi"

Senza luna era la notte e senza stelle e tempestosa pure, e le preghiere e le bestemmie andavano per niente. Un buio fitto come nelle viscere dell’inferno. Quell’inferno dove il cornuto del diavolo aveva raschiato le caldaie della pece e col negrofumo aveva avvolto la montagna. E ora, dispettoso, con quelle stesse caldaie gettava giù acqua a più non posso per spegnere i lampi che offrivano al viandante la loro breve luce. Rideva, il diavolo, dello smarrimento del viandante ed alla sua agghiacciante risata prestava voce l’ahchò delle fiumare che cominciavano a calare e, da dietro i monti, preannunciavano il loro impetuoso arrivo. Ma i lampi erano troppi per poterli spegnere tutti e santa Barbara, continuamente invocata, non sapeva dove correre per prima.

Anche compare Nino, che saliva a piedi dalla marina tutto intabarrato nella sua mantella militare, invocava di continuo: «Santa Barbara beneditta, c’allu celu siti scritta, tantu santu è lu vosciu nomu, tantu luntanu mi vai lu tronu!», come recitando un monotono rosario ad una sola posta. Aveva paura. Paura che qualcuno di quei fulmini che gli rischiaravano la strada gli abbrustolisse pure la punta dei mustacchi. Perciò non si riparava sotto gli alberi: glielo avevano insegnato sotto le armi che era pericoloso. Tanto oramai era arrivato all’Annunziata e si poteva rifugiare nella chiesetta del cimitero.

Esitò prima di entrare. Il vento soffiavaimpetuoso e gli ricordava il fischio con cui la buonanima di suo padre lo chiamava quand’era ragazzo. Ma si fece coraggio e, pian piano, cominciò ad aprire la porta. Un colpo di vento improvviso gliela richiuse in faccia. Riprese a spingere e la porta di nuovo si richiuse. Provò ancora un paio di volte ma pareva che il vento ce l’avesse con lui e si divertisse a non farlo entrare. Infine diede un colpo deciso ed aprì.

Quello che vide gli fece rizzare i capelli in testa: altro che vento, ecco chi gli teneva chiusa la porta! In un lampo la tirò a sé e la serrò con forza. Staccò con un colpo secco la corda della campana che era all’esterno e, con quella, legò fitte le due maniglie. Poi, mentre la campana suonava come il campanaccio di un caprone impazzito, scappò alla volta di Bova. Con quattro ancate fu a Tamburino e si infilò nella prima porta che trovò aperta.

E lì raccontò che aveva visto lo spirdu. Uno spirdu con un lungo mantello bianco ed una candela in mano che si era accesa da sola. Uno spirdu che voleva prenderselo ed aveva pure cercato aiuto agli altri morti. Meno male che era riuscito a chiuderlo in chiesa. E il vino che gli davano per riprendersi lo mandava giù come fosse acquasanta per tenere lontani diavoli e malispirdi.

Anche ‘mpari ‘Ndria non la dimenticò più quella notte e la raccontò fino alla vecchiaia. Stava tornando dalla marina con un tempo da lupi e si era rifugiato nella chiesetta del cimitero, tanto lui non credeva agli spirdi. Si era tolto il cappotto bagnato e si era coperto con la tovaglia bianca dell’altare. A un certo punto vide la porta che si apriva ed un’ombra nera che cercava di entrare. Si oppose con tutte le sue forze ma quello aveva la forza di cento diavoli ed entrò lo stesso. Allora atterrito grido: «Santi morti mei, jutatimi!» ed accese la macchinetta a petrolio. Così vide lo spirdu, tutto avvolto in un mantello nero, che, spaventato dalla luce, scappava via. E poi quello lo aveva chiuso dentro mentre la campana suonava sola e aveva buttato sangue per poter uscire.

Non passò più di notte davanti al cimitero ‘mpari ‘Ndria. Dopo averli visti coi suoi occhi, ora sì che ci credeva agli spirdi!


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