Menu
In Aspromonte
Cinema: Il docufilm “Terra mia” da San Luca ad Altamura

Cinema: Il docufilm “Terra mia…

di Cosimo Sframeli - ...

Recovery: UeCoop, per 80% imprese Calabria aiuti solo fra un anno

Recovery: UeCoop, per 80% impr…

C’è un clima di sfiduc...

Bovalino: La Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, dott.ssa Racco, scrive alle autorità competenti in merito alla situazione scuola, al fine di evitare un sacrificio ingiusto ai bambini calabresi

Bovalino: La Garante per l’Inf…

La Garante per l’infan...

Coldiretti, nubifragio nel crotonese: «dopo la grande paura il bilancio dei danni sarà pesante»

Coldiretti, nubifragio nel cro…

I violento nubifragio ...

Coldiretti, in vigore l’etichetta Made in Italy per i salumi. La trasparenza che tonifica l’economia calabrese ed è valore aggiunto per i suinicoltori

Coldiretti, in vigore l’etiche…

Adesso non conviene ba...

Bovalino, conclusi i lavori di ampliamento della Scuola dell’Infanzia di Borgo e di riqualificazione con messa in sicurezza del plesso scolastico

Bovalino, conclusi i lavori di…

L’Amministrazione Comu...

Federaccia e AA.VV. Calabria sulla VINCA al Calendario Venatorio 2020-2021

Federaccia e AA.VV. Calabria s…

Reggio Calabria 2 nove...

Coldiretti Calabria, i cinghiali sono troppi: la Regione intervenga con piani di abbattimento selettivi

Coldiretti Calabria, i cinghia…

Ci sono troppi cinghia...

Artigiani e produttori insieme al Parco dell’Aspromonte ad Artigiano in Fiera

Artigiani e produttori insieme…

Oltre un milione di vi...

Nel Parco dell’Aspromonte vive una delle querce più vecchie del mondo

Nel Parco dell’Aspromonte vive…

Una Quercia di oltre 5...

Prev Next

Il ricordo, 11 marzo1978. Dèjà vu di terre che tremano

  •   Gianfranco Marino
Bova 8 dicembre 1974 Bova 8 dicembre 1974

Dèjà vu, suona bene a pronunciarla questa parola, sarà per la cadenza francese che la rende dolce. La conosciamo tutti questa parolina che utilizziamo per indicare la strana sensazione che si prova durante un’esperienza che si avverte come già vissuta, già vista, una situazione che da qualche anno mi capita molto di sovente, assai più che in passato. Molti mi dicono che è normale, fisiologico perchè più passano gli anni più sono i ricordi a disposizione e forse sarà proprio per questo, forse anche perché il Dèjà vu richiede particolari stati d’animo, fatto sta che ci sono luoghi, volti, canzoni ma anche solo colori che più di altri mi suggeriscono situazioni già vissute.

Ecco ora, volendo indicare un colore che mi evoca storie già vissute, direi certamente il grigio, forse perchè mi ricorda l’ingresso di casa dove ci si sedeva davanti al braciere, di fronte a quella finestra da cui guardavo sempre il cielo che mi appariva il più delle volte plumbeo, quasi color quarzo, quel grigio non me lo sono mai tolto dalla mente e dagli occhi e oggi guardando quel cielo da quella stessa finestra ho la sensazione che tutto questo tempo non sia mai trascorso. Era l’11 marzo 1978, mio nonno era morto appena venti giorni prima e all’epoca la stretta osservanza del lutto era fissata in trenta giorni, senza deroghe neanche per i più piccoli. Dunque niente cartoni animati, niente tv che rimaneva rigorosamente spenta e poi quegli strani teli sugli specchi, che dovevi coprire in ossequio a non si sa quale arcaico retaggio.

Quel pomeriggio faceva davvero freddo e noi come al solito ci riscaldavamo al braciere, io lanciavo sulle braci bucce di mandarino, mamma e nonna chiacchieravano e l’immancabile gatto cercava di farsi largo tra le gambe per sfuggire ai rigori di un inverno che in quell’anno fu più duro del solito. Ricordo ancora distintamente quel grigio ma ricordo soprattutto quel tonfo che ci fece sobbalzare. Qualche minuto prima il gatto era scappato precipitosamente verso la porta sul retro, ma quelle erano fughe quasi normali che mai avrebbero lasciato presagire quello che sarebbe accaduto. Ricordo come in un flash back la soglia della porta d’ingresso che prese a fluttuare e il pavimento che si sollevo come attraversato da un enorme serpente, non so dire quanto duro ma ricordo le urla di nonna, mamma e zia Ninì dalla cucina, la figura di mio padre che precipitatosi al piano terra cercò in vano di aprire la porta per portarci in salvo. Finito quel trambusto uscimmo e mio padre mi portò in braccio fino in piazza avvolto in una coperta, una di quelle che faceva la nonna, pesantissime e pungenti. In piazza si era già radunata una folla enorme, io guardavo in giro e vedevo fumo e polvere che si alzavano da tutte le parti, facce stravolte, pianti e gente che correva in direzioni diverse. Poi calata la sera, in piazza arrivarono tante auto parcheggiate alla meno peggio e l’autobus di linea, la gente portava coperte, legna per accendere il fuoco e piatti fumanti e poi ancora bottiglie di vino, di grappa, anice, Cordiale e Vecchia Romagna, ricordo ancora le etichette. Quella fu la prima notte passata in auto in un clima surreale e soprattutto in un freddo che prima non avevo mai provato.

Il giorno dopo cercammo a più riprese di rientrare in casa, ma le scosse si alternavano anche violente con cadenza regolare, lo fecero per quasi due settimane. Capii solo a tanti anni di distanza che quelle giornate avevano cambiato per sempre il volto del paese, avevano riaperto ferite recenti, quelle lasciate dall’alluvione di sei anni prima. Erano molto diverse tra loro quelle ferite, c’erano quelle fisiche di un centro storico ormai martoriato e quelle nello spirito di una popolazione frastornata, avvilita, piena di paura e con la valigia ormai pronta sotto il letto, quasi quel terremoto fosse stato un segnale del destino o per molti uno straordinario pretesto per prendere la via della marina.

Tra i ricordi di quei giorni non c’è però solo il grigio, c’è anche una buona parte di bianco. Appena tre giorni dopo quel violento sciame sismico (scoprii solo qualche anno fa consultando l’archivio storico dell’Arpacal che la scossa più violenta, appunto quella dell’11 marzo fu un 5.5 della scala Richter) prese a nevicare in modo assai copioso, quella fu la prima nevicata che ricordo in vita mia e per ovvie ragioni una di quelle che non potrò mai dimenticare. Nevicò così tanto che dopo 24 ore fu necessario l’intervento di una pala meccanica per aprire una pista che permettesse alle macchine di transitare. La neve ammassata sul belvedere, casa Malavenda, aveva formato una montagna che durò per diversi giorni. Oltre a quella montagna bianca su cui i bambini giocavano ricordo bene anche le lunghe stalattiti che scendevano dalle tegole. La primavera cancellò tutto anche nella mia memoria, come se nulla fosse successo e la vita riprese. Oggi guardo la tv e come mi è capitato tante volte in una vita, rivedo le stesse scene di disperazione, macerie fisiche e psicologiche rese ancora più tristi da un inverno che sopraggiunge ad ampie falcate e penso a tutti quei bambini che come me vedranno le stalattiti, il bianco della neve e il colore grigio della polvere, lo faranno da dentro un container piuttosto che dai finestrini di un bus. Passato lo spavento, tutto riprenderà anche per loro, in attesa di quel Dèjà vu che a loro insaputa il destino si è divertito a riservare.


  • fb iconLog in with Facebook