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L’antica via delle stelle

  •   Mimmo Catanzariti
L’antica via delle stelle

Le recenti scoperte di grandi pietre o megaliti, nell’area meridionale calabrese,non sono avvenute con clamore, ma in sordina, come succede spesso per le cose che cambiano la vita e la storia dell’uomo. Gli studi classici ci insegnano che l’evoluzione umana ha avuto un andamento storico abbastanza lineare; i primi uomini, nostri antenati, abitavano nelle caverne, e vivevano con quello che raccoglievano e cacciavano, più o meno dalla comparsa dell’Homo Sapiens (200.000 anni fa) fino alla fine dell’Età della pietra (circa 5000 anni fa).

Intorno a 7/8 mila anni fa i nostri antenati hanno cominciato ad erigere maestosi monumenti megalitici denominati Menhir e Dolmen. Distribuiti in Europa, Africa ed Asia, queste opere sono più numerose in Bretagna e nelle isole britanniche. Il termine megaliti deriva dal greco mega, grande, e lithos, pietra, e con esso si identificano tutte quelle strutture costituite da grandi pietre poste verticalmente nel terreno e disposte in modo da creare circoli, allineamenti o costruzioni particolari. Diversi siti si trovano anche in Italia, in Puglia, Liguria, Piemonte, Lombardia e in Sardegna, dove i menhir, ad esempio, prendono il nome di “pedras fittas” (pietre conficcate). Una delle prime domande che ci si pone osservando un monumento megalitico è in che modo degli uomini, che non possedevano conoscenze sofisticate di ingegneria, potessero erigere pietre così grandi e trasportarle nei luoghi prescelti per l’edificazione.

Le lastre di pietra, del peso di diverse tonnellate, per essere trascinate per chilometri ed essere erette, richiedevano la presenza di centinaia di uomini, per cui è possibile che interi villaggi, se non addirittura abitanti di diversi territori, cooperassero allo scopo. Certo è che, per organizzare una simile impresa, si trattava di genti straordinarie, probabilmente spinte da una grande idea religiosa. L’idea di una vita che si prolunga oltre il mistero della morte influenzò tutta la loro attività, e fu il culto dei defunti a mantenerne viva la fede. Il credo di un popolo che riconosceva il carattere sacro del rapporto con la natura, venerata come Madre Terra, che era dedito ai culti riferiti agli elementi dei cicli naturali: il sole, la luna, le stelle. Difatti, all’erezione di queste sorprendenti opere megalitiche, i ricercatori associano lo sviluppo delle prime riflessioni sul rapporto tra materia e spirito e sul senso della vita e della morte. I megaliti scoperti recentemente in Calabria, a Nardodipace, nell’agosto del 2002, costituiscono un unicum in terra italiana. Queste pietre, studiate dai dipartimenti di Archeologia e di Astrofisica dell’università di Torino e dalla Commissione per lo studio e la catalogazione del megalitismo, risultano essere astronomicamente allineate con il famoso sito inglese di Stonehenge, e “parlano” per così dire la stessa lingua, utilizzando il medesimo alfabeto fatto di rune e di simboli, comuni a tutti, come rombi, losanghe e spirali. Questa scoperta di un luogo di culto preellenico, e di un santuario monumentale di cui nessuno ipotizzava l’esistenza, ci fa capire che anche i nostri predecessori, già svariate migliaia di anni fa, erano in grado di realizzare opere d’arte e di architettura di grande portata.

Chi ha visitato di persona queste pietre a Nardodipace o in posti meno conosciuti come alla “Rocca del Drako” sopra Roghudi, o al borgo abbandonato di Africo antica, si pone degli interrogativi. Qual è la loro provenienza, chi li ha lavorati in modo così meticoloso, chi ha inciso quelle evidenti anomalie? qual è il loro scopo? Le risposte geologiche sono mancanti o incomplete e lasciano grosse perplessità agli studiosi. Purtroppo c’è stata scarsa attenzione da parte degli organi preposti, e l’origine e il significato dei megaliti diffusi sul territorio calabrese, in cui si evincono tracce notevoli di modellamenti artificiali, sono ancora tutti da scoprire. Con Nardodipace si aprono però nuovi scenari e, grazie alle ultime scoperte, la prospettiva storica ufficiale cambierà. Parlare di civilizzazioni umane, datate più di 10 mila anni fa, non sarà considerata un’eresia. La datazione al radiocarbonio dei reperti fossili calabresi ci potrà dire, aldilà di ogni dubbio, se il complesso è stato edificato, come qualcuno ipotizza, addirittura nel cuore della preistoria! Se così fosse la “storia ufficiale” andrebbe riscritta, non potendo essa ignorare questi indizi. Finalmente si potrà sapere quali forze propulsive si siano manifestate in uno dei momenti più importanti per la storia della civiltà umana anche in terra di Calabria.


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