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L'arte non populista di Strati

  •   Domenico Stranieri
L'arte non populista di Strati

Ci sono scrittori che hanno scelto di non ritornare, eppure non sono mai partiti. Ci sono memorie di passati che non passano, perché hanno segnato per sempre la storia di un popolo. In un certo senso, anche Saverio Strati, il grande scrittore recentemente scomparso, non si è mai allontanato dal suo paese. Eppure io che sono cresciuto a Sant’agata del Bianco non l’ho mai incontrato. Ho sentito, però, che gli veniva rimproverato, dalla nostra gente, il fatto di essersi dimenticato delle sue origini, di essere andato via senza preoccuparsi di niente e di nessuno. Strati sapeva tutto questo, tuttavia non faceva nulla per mitigare tali dicerie, non riusciva a scrivere cose che non pensava, non era proprio capace di incensare persone e cose. Era come lo si scorgeva, quasi che la sua acuta intelligenza e sensibilità non riuscisse ad avere la meglio sulla sua natura schiva e riservata. Ecco perché non ha mai cercato il facile consenso. La sua onestà intellettuale lo spingeva dentro la verità dei problemi. Nel 1979, ad esempio, fece scalpore un’intervista rilasciata a Famiglia Cristiana dove lo scrittore evidenziava il tormentato rapporto tra i calabresi e la natura, pur consapevole che il nostro è “un paesaggio selvaggio che può incantare un poeta”. «Ricordo un viaggio in auto da Firenze a Sant’Agata – raccontava Strati – attraverso la Puglia: ebbene le Marche, l’Abruzzo, la Puglia presentano un paesaggio che pare un continuo giardino, in cui si sente costantemente la presenza della mano dell’uomo; la natura calabrese è invece selvaggia: ha una sua bellezza nella sua desolazione, ma è desolata appunto, abbandonata a se stessa, dà una sensazione di sfascio, che è dell’uomo, non della natura». I calabresi (ed i “santagatesi”) non glielo perdonarono mai, e nel suo paese si creò inesorabilmente il preconcetto che Strati non era uno di loro, “che aveva scelto di vivere altrove e pensava solo a se stesso”. Non era così, ovviamente. Lo scrittore con la sua mente, i suoi personaggi, le sue storie, non è mai partito. Per tutta la vita ha raccontato il suo mondo, e non ha smesso di farlo nemmeno quando nessuno (di quel mondo) pensò che valesse la pena congratularsi con lui per la vittoria del premio Campiello. Ma egli rimase sempre se stesso, chiuso nell’ostinata integrità di chi non si immedesima mai nella parte della “vittima”; persino negli anni in cui la casa editrice Mondadori decise di non pubblicare più i suoi libri (tanto che le motivazioni di questa scelta rimangono tuttora misteriose, ed anche tra gli E-Book Mondadori non esiste un solo testo di Strati). Naturalmente la speranza è che, in futuro, lo scrittore di Sant’agata del Bianco possa “risorgere” attraverso la lettura delle sue opere, soprattutto tra i giovani. Ma è solo una speranza, perché la ragione, a volte, mi porta ad essere più pessimista dello stesso Strati.


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