La leggenda di Pollischìo, città cancellata da un cataclisma
- Carmine Verduci
Luoghi, misteri, leggende, avvenimenti storici, e luoghi che la terra ha inghiottito nel silenzio e nell’oscurità, civiltà che diedero vita ai nostri paesi aspromontani e pedemontani.
Ci troviamo a sud della Calabria, e precisamente nel territorio di Staiti (borgo medievale, a 13 Km dalla costa jonica, e posto a 550mt s.l.m.). La località in questione si trova a pochi passi dall’abazia di S. Maria di Tridetti accanto al torrente Fiumarella (oggi un rigagnolo ma un tempo di portata consistente). Questo edificio sacro, di origine Bizantina, ma con chiare influenze normanne e motivi decorativi arabeggianti, risale probabilmente al VII-VIII secolo, o addirittura al XI secolo (come ritiene il grande archeologo Paolo Orsi, sovrintendente alle antichità e alle belle arti della Calabria, che scoprì la struttura nel 1912).
La leggenda vuole che l’abbazia sia stata costruita sui resti di un antico tempio dedicato al Dio Nettuno, edificato dai Locresi Zefhiri nel V-VI secolo A.C.; tesi resa attendibile (come hanno rilevato alcuni ritrovamenti di monete coniate in onore della divinità, con impresse l’immagine del Dio Nettuno), oltre che da testi antichissimi, opera di cronisti dell’epoca, che narrano di una importante statua raffigurante il Dio Nettuno, impreziosita da un mantello pregiatissimo con ricami in oro e pietre preziose che la ricoprivano; secondo alcuni infatti, pare che Annibale, passando da questo luogo (attraccato forse con la sua nave al porto di Capo Bruzzano (un tempo polo di scambio commerciale importantissimo) vedendo questo pregiatissimo mantello se ne impossessò, con la scusante “che la divinità avesse caldo e che lo avrebbe riportato alla divinità con l’arrivo del freddo”.
Intorno al VIII- IX Sec i monaci basiliani sfuggiti dall’oriente, a causa della persecuzione iconoclasta che aveva preso il sopravvento, approdarono sulle coste calabresi e spinti dalla necessità di trovare luoghi riparati dalle frequenti scorrerie barbariche, si spinsero in luoghi nascosti dell’entroterra, trovando rifugio in anfratti naturali e zone inaccessibili dove professare il loro culto ed il loro culto.
Ebbene, ritornando nella vallata di Tridetti detta (Badìa o Batìa), sul che fine abbia fatto il nucleo abitato di Pollischìo nella località denominata “Fracasso”, la questione sembra essere ammantata di mistero; la leggenda, che si tramanda oralmente da secoli, è ricca di affascinanti e misteriosi racconti.
Le ipotesi che si fanno meritano senz’altro una attenta analisi. Il dott. Francesco Giuseppe Romeo che pubblicò nel 1985 il libro S. Maria di Tridetti a Staiti, storia di una abbazia Basiliana, descrive questo luogo avvalendosi oltre che degli studi effettuati su registri e documenti di archivio, anche di testimonianze raccolte tra gli abitanti locali, e quindi di Staiti, sul libro scrive: “che in località denominata “Turco” i proprietari di una casa durante i lavori di restauro, rinvennero dei resti umani di scheletri, probabilmente resti di una necropoli appartenuti al vicino nucleo abitato Pollischìo”, in un’altra nota aggiunge “che un Signore di nome Giovanni Patti di Staiti mentre coltivava il suo appezzamento di terra, sempre in località Fracasso, rinvenne una croce metallica di ottima fattura artigianale”.
Visto che il testimone in questione morì in età avanzata (nel 1935), si suppone che l’episodio del ritrovamento avvenne sicuramente negli anni antecedenti la sua morte.
Il nome della Località detta “Fracasso” prenderebbe il nome da un violentissimo cataclisma, di difficile datazione, potrebbe trattarsi forse una frana, o meglio uno dei catastrofici terremoti che sconvolsero l’area della Calabria Ulteriore Prima, precedentemente al pesante e catastrofico terremoto del 1783, che potrebbe aver cancellato del tutto e per sempre l’antico abitato, formatosi probabilmente attorno al culto della Vergine di Tridetti.
Probabilmente questa località un tempo era ricca di un economia locale fiorente, gli abitanti erano disseminati sulla vallata chiamate “Badìa” , infatti alcune notizie storiche, rilevano molti nomi che ancora oggi riecheggiano in tutto il territorio, riconducendoci a quelli che furono sicuramente “insediamenti religiosi con annesse presenze laiche”, e per la maggior parte umili pastori e contadini, località come: San Cesareo, Magazzini, Stuppia, San Nicola, San Biagio, ci fanno pensare a numerose presenze umane, disseminate per questi luoghi, e quindi tutte testimonianze da non sottovalutare.
L’avvento di internet, per quanto discutibile possa essere, oggi dà l’opportunità di confrontare le notizie storiche con le varie analogie espresse dai frequentatori appassionati, ma anche dai conoscitori degli avvenimenti storici, spesso queste persone generano confronti e scambi di idee ed opinioni, che creano ed innescano interesse e curiosità su varie tematiche.
Ed è proprio da Facebook, che è nata questa mia riflessione, che da tempo mi aveva incuriosito leggendo proprio il volume pubblicato dal Dott. Francesco Giuseppe Romeo, libro, che da ragazzino conservo gelosamente nella mia personale biblioteca.
Un giorno, conobbi il Sig. Giuseppe Micheletti proprio su un gruppo dedicato a Staiti appunto , sul quale un giorno mi colpì un “post”, che faceva riferimento sul caso (Pollischìo e Fracasso), argomento su cui stavo lavorando da settimane. Contattai dunque il Sig. Micheletti, al quale spiegai che stavo cercando di costruire la vicenda dal punto di vista leggendario, mi resi subito conto di aver avuto la possibilità di raccogliere la testimonianza di uno dei tanti emigrati in America originari di Staiti, il quale con molta cortesia, in privato mi scrisse: «quel che so di Fracasso è che certamente non si chiamava cosi, ma dal fatto che sia successo qualcosa di grave, più grande di quello che noi pensiamo. Allora forse si chiamava Pollischìo. Io credo che esistesse un piccolo paese, che viveva esclusivamente d’agricoltura, con lavorazione dei metalli, del legno e custureri (sarti). Intorno a questo paesello vi era gente che abitava in pagliai e qualche abitazione sparsa. Non dobbiamo dimenticare che era una zona molto boscosa e la fiumara di Bruzzano era un tempo navigabile. Forse Annibale è arrivato a Tridetti entrando da lì. I romani che avevano bisogno di legno hanno praticato il disboscamento di questi luoghi. Ritornando a Fracasso, mi ricordo che negli anni 50, il fosso zona limitrofa era molto attivo e coltivato dappertutto. Con case-fienili ricovero per gli animali d’allevamento, vacche, capre e pecore, maiali ecc. Si produceva tutto per il fabbisogno della famiglia dalla lana al grano, dalle fave all’avena. Questo paesello forse è scomparso a causa di un’alluvione, una frana ma soprattutto potrebbe essere stato cancellato a causa di violentissimo terremoto».
II motivi vanno sicuramente ricercati tra i racconti dei natii di queste zone, che di certo non avvalorano nessuna tesi a riguardo, ma alimentano altresì molta curiosità, alla quale servirebbe creare un interesse maggiore, approfondendo le analisi a riguardo. I territori di questa fascia di Calabria, ricchi di denominazioni ancora oggi usate per identificare un luogo, una zona, un punto preciso del territorio, richiamano i fasti d’un tempo, che rivivono attraverso le terminologie greco-calabre ancora oggi esistenti ed usate nonostante la modernità ed il miscuglio culturale abbia pervaso la nostra cervice.
Sul caso Pollischìo, è da considerare anche che l’antico abitato potrebbe essere stato di origine antecedente alla costruzione dell’abbazia di Tridetti e quindi di origine (Greca), arrivato alla sua prosperità negli anni in cui i monaci Basiliani, apportarono importanti contributi, sia morali, che istruttivi, nel campo anche dell’agricoltura, agli abitanti sparpagliati per le campagne, sono quindi questi religiosi provenienti dall’oriente che furono causa e conseguenza della formazione dei nuclei abitativi che oggi sono questi splendidi borghi, che resistono, nonostante l’abbandono e l’emigrazione, un’emorragia che ha indotto la Calabria, ad un lento ed inesorabile “spopolamento, specie dei paesi interni aspromontani”.
Dunque, la denominazione della località detta appunto: “Fracasso”, come abbiamo detto precedentemente, prenderebbe il nome da un catastrofico evento meteorologico o geofisico (appunto un fracasso). Un’ immane catastrofe che ne cancellò la sua storia, le sue origini, la sua gente, parte dei suoi abitanti – come spiega il Libro di Francesco Giuseppe Romeo – diede vita al nucleo abitativo di Stayti (oggi Staiti). Stando alle ricerche condotte dal Ricercatore Storico ed archivista “Carmine Laganà”, dato che il nucleo di Staiti prese il nome dalla Famiglia Stayte (di origine Messinese intorno al 1590), e che come dimostrano i registri esaminati, il Feudo risulta riscattato da Federico Stayte a causa dei debiti lasciati dalla Madre. Quindi, è ipotizzabile che Pollischìo, fu trasferito nell’attuale Staiti in questa occasione. È dunque tra i boschi che risalgono le colline fino alla montagna, in una fitta e rigogliosa vegetazione tipica mediterranea (forse resti di quella grande foresta che ammantava il territorio tra Bianco e Palizzi),che si nascondono clamorosi segreti ed importanti rivelazioni, nuclei abitativi antichissimi che varrebbero la pena essere studiati ed approfonditi, per comprenderne così la storia e le origini di questi luoghi, oggi divenuti un enorme patrimonio archeologico nascosto. È solo attraverso lo studio delle etimologie e denominazioni di questi luoghi, che si può approfondire l’origine ed il declino stesso di queste antiche civiltà, scomparse nel silenzio tra le montagne, divenuti ormai, luoghi inaccessibili che richiamano attraverso la leggenda, una sfrenata voglia di sapere, conoscere e ammirare. Sicuramente la storia di “Pollischìo”, merita di essere avvalorata da più certezze e meno da leggende, per far si che non si possano smarrire ulteriormente le tracce di questi nostri antenati, padri del nostro presente che hanno dato vita a quello che siamo noi oggi. Un popolo, con influenze fortemente radicate in un passato, tutto da scoprire, conoscere e comprendere.