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La nostra storia. Brancaleone 1943, la rivolta al rione Razzà

  •   Redazione
La nostra storia. Brancaleone 1943, la rivolta al rione Razzà

A proposito di rivolte popolari alla fine della Seconda guerra, vorrei raccontare la vicenda, avvenuta a Razzà, rione storico di Brancaleone, ai primi di ottobre del 1943, tra l’altro trattata anche nel libro "Brancaleone tra cronaca e storia" del dott. Vincenzo De Angelis, nipote dell'omonimo vecchio dirigente socialista e ripresa anche dal dottor Mauro Rechichi nel libro "Le cellule dell'Umanità sono le famiglie naturali e sociali".

Questa la storia che mi è stata tramandata dagli anziani della famiglia.

Il momento storico è evidentemente quello noto. L’invasione continentale era avvenuta il 3 settembre 1943 con il trasferimento indolore delle truppe alleate dalla Sicilia alla Calabria. Un paio di settimane e sporadici scontri a fuoco furono sufficienti agli alleati per fare arretrare oltre il Pollino l’esercito nazista in fuga, occupando così il territorio calabrese. La gente insorse e scese in piazza, con prioritarie motivazioni di ordine sociale: «vogliamo pane!», mentre gli attivisti antifascisti per cacciare podestà fascisti e per spazzare via le organizzazioni e gli apparati repressivi di regime ancora in piedi che continuavano la loro opera antidemocratica come se nulla fosse avvenuto.

In questi primi giorni di ottobre arrivarono a Brancaleone dei sacchi di farina mandati dagli alleati e parte di essi fu scaricata al forno di Razzà per panificare in favore del popolo. Giuseppe Errante, detto Peppino, commerciante e proprietario del forno, prese in consegna questi sacchi.

Mio nonno Peppino era attivista socialista, più volte segnalato alla polizia fascista per "atteggiamenti sospetti" e discepolo del dottor De Angelis.

Quando il comandante della guardia comunale Palermiti ed il maresciallo dei carabinieri Fiume si presentarono per sottrarre un paio di sacchi con la solita scusa che servivano per le milizie, Peppino Errante per la prima volta dopo aver subito per anni le angherie dei due graduati, gli si rivoltò contro: aizzò la folla di Razzà gridando «compagni, vogliono prendersi la nostra farina! » ed impedì che i sacchi di farina fossero presi.

Nottetempo il maresciallo Fiume con altri due carabinieri tornò, armi in pugno, ad esigere i sacchi. All'interno della casa di Peppino erano riunite alcune persone: i carabinieri si presentarono alla porta ad armi spianate. Mio nonno Peppino si avventò contro il milite più vicino, afferrò il fucile dalla canna per strapparglielo ma nella colluttazione  partì un colpo che lo colse al petto. Qualcuno all'interno della stanza spense subito la lampada per favorire la fuga, ma gli altri carabinieri presero a sparare all'impazzata all'interno contro persone disarmate che, infatti, non risposero al fuoco.

Con Peppino Errante a terra, morì anche Domenico Borrello. Rimasero feriti Vincenzo Borrello, Antonio Tuscano, Pietro Prestinicola, Carmelo Floccari e Domenico Maisano.

La mattina dopo, a causa della ferita, morì Giuseppe Errante.

Mia nonna Mariangela, su consiglio degli altri compagni di Peppino, presi da comprensibile timore, scavò una buca, vi ripose tutti i documenti, i carteggi ed altri effetti personali del marito, infine diede fuoco.

Di Giuseppe Errante, detto Peppino, non ne restò che qualche fotografia non compromettente.

Nessun provvedimento fu preso a carico dei responsabili della sparatoria.

Questo il tributo di sangue versato a Brancaleone per il conseguimento dei diritti civili e sociali all'alba della Repubblica.

Bruno Vigilante

 


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