La nostra storia. L’origine della parola “brigante”
- Pino Macrì
Breve storia del Brigantaggio in Calabria, dalle origini all’Unità d’Italia.
1 – L’origine della parola “brigante”.
L’Unità d’Italia, come noto, non fu certamente esente da errori e forzature., e le narrazioni che la accompagnarono spesso non furono neanch’esse esenti da alcune mistificazioni, spesso dettate da ingenuità e fretta di chiudere un doloroso periodo storico.
Da decenni la storiografia seria è duramente impegnata nella ricostruzione basata sulle verità documentali, che possono piacere o non piacere, ma sono l’unica via per fare pienamente luce sul periodo che, appunto, ha riportato all’unità una terra che per secoli è stata spettatrice passiva di depredazioni, crudeltà, saccheggi e, soprattutto, privazioni di libertà, anche delle più elementari.
Da qualche decennio a questa parte, però, si è fatta strada una corrente di pensiero, eufemisticamente definibile “revisionista”, che ha operato, ed opera tuttora, ricostruzioni spesso al limite del fantasioso, basate su riletture largamente parziali delle risorse documentali via via emerse dagli archivi.
Uno degli esempi più maldestri e fuorvianti riguarda la definizione della vera natura del cosiddetto brigantaggio, fenomeno che imperversò in ogni epoca in tutta Italia, ma che negli anni post-unitari finì col concentrarsi nel solo Meridione.
Probabilmente, la prima sterzata deviante dalle evidenze documentali, quella da cui, cioè, discendono molte delle impostazioni dei neo-revisionisti odierni, è individuabile nella posizione tenuta dalla rivista “la Civiltà cattolica”, organo più o meno ufficiale dello Stato Pontificio al tempo di Pio IX, il Papa-Re.
In una querelle con Bianco di Saint-Joriotz, autore di una peraltro discutibile opera sulle origini del brigantaggio, infatti, l’anonimo estensore della feroce critica al Bianco arrivò ad asserire che “esso [il brigantaggio] sorse a quei tempi [durante il Decennio Francese, dal 1806 al 1815, ndr] contro l’invasione francese, quando appunto la Dinastia [dei Borbone, ndr] fu costretta ad esulare, e cessò col ritorno della medesima.[…] Ora, in sì lunga durata di possesso dei legittimi principi, qual esempio di brigantaggio può allegarsi? Se alcun malvivente per isfuggire al supplizio, come accade in tutti i paesi di questo mondo, si diede alla campagna, ciò non costituì che un fatto isolato, a terminare il quale in brevissimo spazio bastò la solerzia dei carabinieri e delle guardie urbane”.
In sostanza, secondo il foglio pontificio (e questa è tuttora, guarda caso, la medesima visione di molti degli storici neo-revisionisti) il brigantaggio nel Regno di Napoli non è mai esistito, se non come “reazione” alle invasioni straniere (francese, prima, e “piemontese”, poi), e i “pochi” casi di criminalità manifestatisi durante il “legittimo” regno dei Borbone furono del tutto isolati, di pochissima rilevanza e immediatamente risolti con il tempestivo intervento delle forze dell’ordine. In questa visione, pertanto, il brigantaggio, in quanto reazione ad un’invasione straniera, era da ritenersi un fenomeno patriottico, e, per conseguenza, i suoi protagonisti devono essere innalzati al rango di Eroi.
Per sostanziare ulteriormente, poi, questa impostazione così clamorosamente di parte, gli stessi odierni fans hanno ormai da tempo messo in giro una delle (tante) mezze-verità, forse con la speranza che, a forza di parlarne, si trasformasse da sola in piena-verità. Si tratta, cioè della ineffabile affermazione secondo cui, addirittura, la stessa parola “brigante” nemmeno esistesse nel vocabolario italiano, e, quindi, la sua introduzione si deve ai francesi, che tradussero in italiano il loro etimo “brigand”.
Come si vedrà fra poco, si tratta soltanto di una volgare invenzione, che, purtroppo, ha coinvolto anche qualche nome di grido al di fuori dalla cerchia dei neo-revisionisti(fra gli altri G. B. Guerri, l’autore de “Il sangue del Sud”), forse distrattamente alla ricerca più del successo editoriale che della verità documentale e documentata.
In questa breve storia del brigantaggio in Calabria si cercherà di dar voce esclusivamente ai documenti, per smentire o confermare, di volta in volta, alcune leggende messe in circolazione talvolta dalla vecchia e paludata storiografia risorgimentale, e molto più spesso da quella rampante e disinvolta dei neo-revisionisti.
A cominciare, appunto, da quella riguardante l’origine vera della parola “brigante”.
Se, infatti, è certamente vero che in tutta la produzione legislativa borbonica l’etimo non è mai utilizzato, al contrario di quanto avvenne per quella francese del Decennio, ciò non è segno alcuno che lo stesso etimo prima non esistesse.
Per farsene convincimento, dovrebbe poter bastare il far ricorso alla “Bibbia” della lingua italiana, cioè al Vocabolario degli Accademici della Crusca, di cui, ad oggi, si contano cinque diverse edizioni: 1612, 1623, 1691, 1729-38 e 1863-1923. Cioè, ben quattro edizioni antecedenti al 1806, ed una successiva.
Orbene, una semplice ricerca sul sito web dell’Accademia, porta a vedere che l’etimo “brigante” è presente sin dalla prima edizione del 1621.
“Ma” – ribatte l’irriducibile scettico, che “come ogni buon generale non si arrende mai, nemmeno di fronte all’evidenza” – se ciò è anche vero, lo è perché anticamente la parola non aveva lo stesso significato, valendo per un innocuo “colui che briga, che si industria, che si dà da fare”, giusta la prima interpretazione della parola latina da cui deriva (brigare).
Non è però dello stesso avviso il Vocabolario della Crusca, che puntigliosamente elenca TUTTI i significati assunti nel tempo dalla parola:
1) – nella 1ª edizione (1612): da BRIGA, lite. vale eziandio sedizioso, che cerca brighe, cui aggiunge il sinonimo “Sgherro”: Brigante, che fa del bravo, che anche diremmo TAGLIACANTONI, MANGIAFERRO;
2) – nella 3ª edizione (1691, nella 2ª è invariato), vengono aggiunte sia la variante “benevola” (“Era questo Frate Cipolla di persona piccolo, di pelo rosso, lieto nel viso, ed il miglior brigante del mondo”, ripreso dal Boccaccio), sia altre più “cruente” (“Fu detto, ch’era indemoniato, e sammaritano, cioè senza legge, e che era bevitore, e brigante, e bestemmiatore”, da Cavalcanti, e “Fece pigliare Paolo di Francesco del Manzecca, orrevol popolano di porta San Piero, tutto fosse brigante”, da G. Villani);
3) – Nella 4ª (1729-38), addirittura, se ne specifica la particolare e precisa corrispondenza: “[sta] Per Sedizioso, Perturbatore dello stato. Lat. seditiosus. Gr. Στασιώδης”.
Naturalmente, il Vocabolario della Crusca è solamente un custode e passivo testimone dell’evoluzione della lingua, ed è comunque costretto alla sintesi, non potendo registrare TUTTE le ricorrenze esistenti.
Cionondimeno, una ulteriore ricerca ha portato lo scrivente a reperire un “lo sequente die curze li campi de Roma, co li sui arcieri, e Briganti, e lo vestiame menava” (da “Vita di Cola di Rienzo”, Bracciano, 1624); oppure un “Aveva Antea menati due Giganti/ ch’eran venuti del mare della rena/ che non si vide mai maggior BRIGANTI/ dodici braccia lunga era la schiena” (dal “Morgante Maggiore”, di M. Pulci, 1450 circa, ma qui nell’edizione del 1778), o, infine, un “fecero finalmente a suggestione deiBRIGANTI, che non avean che perdere, aperta ribellione” (da “Annali della Città dell’Aquila”, di B. Cirillo, Roma, 1570).
L’elenco potrebbe anche continuare, ad esempio, con l’enumerazione, addirittura, di parole derivate da “brigante”, presenti in idiomi esteri (Bergante in spagnolo antico) e col medesimo significato che OGGI ad essa si attribuisce, ma ci sembra che, al momento, possa ritenersi quanto sin qui esposto bastevole a convincere anche gli “irriducibili” di cui prima si diceva, rimandando alle prossime puntate la storia vera e propria del brigantaggio in Calabria.