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La nostra storia. La croce di Polsi nella Chanson D'Aspremont

  •   Pino Gangemi
La nostra storia. La croce di Polsi nella Chanson D'Aspremont

La Chanson d’Aspremont sta suscitando sempre più interesse in ambiente accademico. I miei amici di “in Aspromonte” sanno quante volte ho insistito, nel passato, sul significato del fatto che il governo belga abbia finanziato con oltre un milione e mezzo di euro la ricerca di nove università, nessuna delle quali calabresi, che stanno studiando tutte le versioni in lingua normanna della Chanson.

Le università coinvolte 

Direttore di questa ricerca è il professore Giovanni Palumbo, dell’Università di Namur, di origini italiane. Palumbo coordina il lavoro di ricerca delle seguenti nove Università italiane e straniere: Université Libre de Brusselles; Università della Basilicata; università di Bologna; Università di Chieti; Université de Namur; Università di Napoli Federico II; Università di Napoli L’Orientale; Université de Liege; Università di Parma. A questo gruppo di nove Università si è aggiunta, da poco, una decima: l’Università di Padova che ha finanziato con fondi propri una ricerca su tutte le opere in lingua franco-italiana del XIII-XIV secolo e, quindi, anche sulla Chanson d’Aspremont. Appena ho saputo di questa novità, esattamente il 10 luglio di quest’anno, ho subito preso informazioni con la responsabile del progetto, ho appreso che è una ricercatrice molto giovane, che è agli inizi della carriera accademica, e che è molto brava. Rassicurato da quest’ultima informazione, ho contattato la collega, Francesca Gambino, che insegna nella mia stessa Università, per avere notizie circa il come intendessero studiare la Chanson. 

Un’opera siciliana? 

Dallo scambio di e-mail è emerso che, effettivamente, non hanno nell’equipe padovana esperti della Chanson e che si sono affidati per questo a una collaboratrice del professore Palumbo, Anna Constantidinis, che è presente nell’elenco della dozzina di ricercatori che collaborano al progetto finanziato dal governo belga. Questa avrebbe compilato per loro una scheda nella quale si sostiene che la Chanson d’Aspremont sarebbe stata scritta in Sicilia. Siccome non sono affatto convinto di questa ipotesi, ho obiettato sull’argomento e mi sono sentito chiedere: perché non ci presenta per iscritto le ragioni del suo dubitare che sia stata scritta in Sicilia? Ho accettato pensando di cavarmela con una e-mail e una ventina di righe. La reazione alla mia accettazione è stata più accademica di quanto desiderassi: «Allora, professore, aspettiamo con impazienza di leggere il suo saggio!». Come a dire: saremo giovani, ma siamo anche tosti. Se ci vuole convincere, deve farlo con un saggio. Ed ecco qui che ho finito per essere praticamente costretto a passare metà luglio e tutto agosto a scrivere il saggio che mi è stato, simpaticamente, estorto. Ho subito cercato il professore Palumbo, con il quale ci siamo scambiati delle e-mail nel passato. Non ho ricevuto ancora risposta, ma ho trovato in internet un estimatore o forse un giovanissimo allievo di Palumbo, Paolo Di Luca. Nel suo corso di Filologia e linguistica romanza, che tiene all’Università di Napoli, illustra ai suoi studenti anche la Chanson d’Aspremont. Lo ho contattato via e-mail e mi ha confermato che Palumbo sta scrivendo un saggio sulla Chanson, nel quale affronta il tema del dove sia stata scritta, e che l’autore da cui parte è, probabilmente, Wolfang Van Emden, che insegna all’Università di Reading in Gran Bretagna e che questo autore, per primo, ha messo in discussione tre punti: 1) Che la Chanson sia stata scritta tra il 1187 e il 1891; 2) che sia una Chanson che invita all’Unità per la Terza crociata (altri sarebbero gli scopi di questa Chanson e Van Emden non aiuta a capirli); 3) che sia stata scritta in Sicilia, esattamente a Messina. 

Quando si parla di Chanson? 

In attesa del mio saggio, alcune anticipazioni sullo stato dell’arte. Bisogna prima di tutto chiarire quando si parla di Chanson d’Aspremont. Le risposte a una domanda di questo genere sono più di una: 1) La Chanson è la prima stesura dell’opera, quella che si riteneva scritta per la Terza Crociata (questa è l’ipotesi di Van Emden) da cui hanno attinto tutti le altre versioni manoscritte in lingua normanna; 2) la Chanson è l’insieme dei manoscritti (tra completi e incompleti circa una ventina in normanno) che vengono studiati sotto la direzione di Palumbo. Ci sono circa altri venti versioni in italiano, solo molto più tardi, di cui solo due sono importanti (I Cantari d’Aspromonte di autore anonimo della fine del XIV secolo e il romanzo Aspramonte di Andrea da Barberino dell’inizio del XV secolo); 3) la Chanson è un testo a stampa che si trova alla biblioteca Ariostea di Ferrara e che è stato pubblicato nel 1527 (questa è la versione di Carmelina Sicari); 4) la Chanson è un insieme di racconti orali dai quali ha attinto sia l’autore anonimo della prima Chanson normanna (quella al punto 1) per le battaglie in Aspromonte e per la riconquista di Risa, sia l’anonimo autore dei Cantari e Andrea da Barberino per le vicende di Galiziella e per la resistenza dei Calabresi nella difesa di Risa. Chiariti questi punti, mi limiterei a presentare gli argomenti di Emden dai quali la nuova generazione di studiosi della Chanson (Palumbo, Gambino, Di Luca, Costantidinis, etc.) intende partire per offrire una collocazione più adeguata a quella che considera essere stata la Chanson d’Aspremont. 

Gli argomenti di Emden 

Al saggio di Emden aggiungerei delle mie personali riflessioni tendenti a riportare l’argomento verso l’ipotesi che mi interessa: che esista una versione orale, prettamente calabrese, della Chanson dalla quale tutti hanno attinto fino al XV secolo, cioè ad Andrea da Barberino. Questo, per chi non lo sapesse, è lo stesso trovatore che ha scritto quello stupendo romanzo, che è stato riedito e letto fino alla mia giovinezza (per 5 secoli, quindi), ambientato in Calabria e noto come Guerrino il Meschino. Wolfang van Emden, dell’Università di Reading in Inghilterra, ha scritto, per la rivista Reading Medieval Studies, un saggio dal titolo La Chanson d’Aspremont and the Third Crusade (1992, n. 18, pp. 57-80). Gli argomenti critici che egli usa, nei confronti delle generazioni precedenti di studiosi della Chanson, sono i seguenti. 

1) Dove è stata scritta? 

La prima citazione inequivocabile della Chanson si trova nella Estoire de la guerre sainte di Ambroise ai versi 4181, 188-555 e 8479. In effetti, al verso 516, Ambroise cita Agoland, protagonista de la Chanson d’Aspremont e, per togliere ogni dubbio, precisa che si tratta dello stesso che ha conquistato Risa; al verso 4181 cita il messaggio portato da Balan, altro protagonista della Chanson, e al verso 4188 ancora Agoland; ai versi 8491-8493 scrive ancora: “Quando Agolant con grande impresa è arrivato per mare a Risa, nella ricca terra di Calabria”. Questi sei versi sono sufficienti a confermare che la Chanson d’Aspremont è già stata scritta al 1196, data di pubblicazione dell’Estoire di Ambroise, ma non ci dicono che essa sia stata letta a Risa o a Messina. Quest’ultima è una deduzione: se Ambroise conosce la Chanson, è per averla sentita cantare a Risa o a Messina. Secondo van Emden, quella che abbiamo riferito, più che una deduzione, è un’illazione. Come lucidamente sintetizza Paolo Di Luca, giovane docente dell’Università di Napoli, è solo «Il realismo delle descrizioni geografiche porta a concludere che la canzone è stata composta in Italia, più precisamente alla corte normanna di Messina, da un normanno di Sicilia o da un poeta francese che soggiornava in quei luoghi» (Introduzione al corso di Filologia e Linguistica romanza I, a.a. 2014-15). 

2) Chi l’ha scritta? 

Van Emden riparte dai dati certi, che sono i seguenti: siccome la Chanson cita la lettera di Prete Gianni, che è del 1165, questa è la data a quo e poiché Ambroise cita più volte protagonisti della Chanson, il 1196 è sicuramente la data ad quem. Sono quindi 30 gli anni nel cui intervallo di tempo la Chanson può essere stata composta. Di conseguenza, il dove sia stata composta non è più dato sapere. E, perlomeno, ci siamo liberati fatto che sia stata scritta in Sicilia (a Messina). L’ipotesi è che sia stata scritta da un normanno di Normandia che ha usato una lingua che viene definita anglonormanna. Aggiungerei, come personale considerazione, che rimane da spiegare il nome (d’Aspremont) e il fatto che l’opera non sia tutta di fantasia, ma rivela che l’ha scritta qualcuno che conosceva i posti (in particolare i panorami dello stretto visti da sopra la città di Risa). L’ipotesi che fosse stato qualcuno che ha seguito Riccardo Cuor di Leone a Messina risolveva questa questione: giurando in quegli otto mesi di permanenza, avrebbe potuto catturare panorami da inserire nella sua Chanson. Lasciata cadere l’ipotesi del normanno in partenza per la Terza crociata, il problema della spiegazione del come e perché di questa conoscenza dei luoghi resta. La soluzione più facile è che la abbia scritta non qualcuno che si trovava a Messina, al seguito di Riccardo, ma qualche normanno che viveva a Risa (dato che egli descrive i panorami dello stretto dalla parte della Calabria e non dalla parte di Messina). 

3) I riferimenti alla Calabria e alla Sicilia 

Van Emden sottolinea che «La stessa Aspremont contiene precisi - e più generali - riferimenti alla Calabria e alla Sicilia, che sarebbero stati di poco interesse per i francesi» (1992, p. 58). Per questo, avendo studiato soprattutto gli studiosi di lingua francese questa Chanson, essi si sarebbero poco curati di questi riferimenti a paesaggi. Van Emden sottolinea, in particolare, un passo al v. 10585 in cui si fa riferimento alla tomba di Agolant e a un pilastro che viene presentato come ancora esistente. Mio commento: questa circostanza del dire che la tomba è ancora visibile (a più di 300 anni dalla morte di Carlomagno e, di conseguenza, ad ancora più anni dalla morte del personaggio immaginario Agoland), è molto importante e significativa con riferimento al fatto che l’autore è sicuro di quello che dice. Come vedremo, ancora più significativo è che anche nei Cantari d’Aspromonte, scritti da un autore toscano, che evidentemente conosce bene la Calabria, più di due secoli dopo la stesura della prima versione della Chanson, è ancora più importante se si pensa che i Cantari riportano parti inedite della Chanson, non comprese nelle stesure normanne. Questo fatto, della conoscenza dei luoghi di almeno due autori -entrambi anonimi - della Chanson e dei Cantari, è stato trascurato, come ricorda van Emden, dagli studiosi di lingua francese, ma è importantissimo per una lettura italiana e calabrese dell’opera. 

4) Una versione Old French 

Van Emden (1992, p. 64) nega che la versione sia favorevole a Riccardo Cuor di Leone e, quindi, alla dinastia dei Plantageneti e suggerisce l’ipotesi che non sia corretto definirla versione anglonormanna, ma semplicemente una versione Normanna o di Old French, la versione antica dell’attuale lingua francese (Van Emden 1992, p. 60). In altri termini, la Chanson nella prima versione non appartiene alla genesi della lingua inglese, ma alla genesi della lingua francese. Anche per questo, il gruppo di ricerca internazionale, coordinato da Giovanni Palumbo dell’Université de Namur, ha assunto come autore guida il saggio di Van Emden e, da quello che ci è dato sapere, è in corso di pubblicazione, da parte di Palumbo, un nuovo saggio che sviluppa in questa direzione la lettura della Chanson. 

5) Un’opera composta tra il 1165 e il 1187 

Van Emden osserva che l’idea presente nella Chanson di un Dio vendicatore, normalmente adottato per indicare gli ebrei che avevano mandato Gesù sulla croce, è presente nella Chanson ma non in altri scritti del periodo della Terza crociata (1992, p. 66). Egli consiglia di osservare come sia presente anche l’idea che combattendo per liberare la Terra santa, ci si salva l’anima perché si ottiene la remissione dei peccati. Questo secondo concetto egli lo attribuisce alla predicazione di papa Urbano II per la Prima crociata e di san Bernardo per la Seconda (1992, p. 67), non per la Terza. Questo concetto, legato alle prime due crociate, in Aspremont è più forte (1992, p. 67) che nelle altre epiche di Old French (Francese Antico). Infine, vi è nella Chanson un tono trionfalistico che è in contrasto con la sensazione di disastro colossale che segue alla caduta di Gerusalemme nel 1187. Tutti questi elementi, conclude Emden, tendono ad accreditare l’ipotesi che la Chanson sia stata scritta dopo il 1165 e prima del 1187, con preferenza per una data più vicina al 1165 rispetto al 1187. 

6) La cultura greco-romana 

Van Emden sottolinea un altro elemento di diversità di Aspremont rispetto alle altre composizioni letterarie che hanno per oggetto le leggendarie, non veritiere, imprese di Carlomagno: vi è un forte ottimismo nella Chanson sulla possibilità di convertire i nemici islamici con l’argomentazione (1992, p. 67). Inoltre, c’è una sensazione generale di cavalleria, di rispetto reciproco, che aleggia nelle pagine della Chanson. E ci riferiamo solo alla versione normanna. Come è noto, nei Cantari di un anonimo e nel romanzo Aspramonte di Andrea da Barberino, appare la figura di Galiziella, figlia bastarda di re Agoland, grande guerriera che viene sconfitta in duello da Ruggieri, figlio del re di Risa, e lo sposa. La metafora del matrimonio tra nemici è il punto più alto di una concezione del rapporto con gli islamici che non è di origine barbara. Più facile che sia di origine bizantina. È la cultura greocoromana delle terre bizantine che mostra, al tempo delle “prime guerre calabresi” (il senso di questa espressione sarà chiarito più avanti), un grande ottimismo della ragione, cioè della capacità della dialettica di portare alla verità (in questo caso non la verità filosofica, ma quella religiosa). 

7) La croce di Polsi? 

Ultimo aspetto della diversità di Aspremont è il fatto che si fa un gran parlare della croce, un argomento che viene poco curato in tutte le altre composizioni relative alle leggende di Carlomagno o comunque coeve della Chanson (Van Emden 1992, pp. 69-70). Originale è il fatto che sia detto che i cristiani la portino come una reliquia nella battaglia, come hanno effettivamente fatto in tre battaglie in Terra santa: nella prima battaglia di Ramleh del 1101, nella seconda battaglia di Ramleh del 1177 e nella battaglia di Hattin del 1187). L’ipotesi dalla quale Van Emden non riesce a liberarsi è quella secondo cui la Santa croce sia quella su cui sarebbe stato crocifisso Gesù. Questa Croce, dall’anno 637 all’anno 1099, era in mano musulmana e ci ritorna dopo il 1187. Come poteva essere portata in battaglia in Calabria da Carlomagno e, poi, non essere stata portata in battaglia da nessuna altra parte fuori della Calabria, a parte la Terra santa negli 88 anni in cui Gerusalemme era stata liberata dai crociati? Eppure nella Chanson si mette molta enfasi intorno a questa croce: “La croce è prima introdotta e poi è sovraccaricata da una tecnica di drammatizzazione, dal momento che il papa cerca (8379 e segg., 8403 e segg.) di trovare qualcuno per trasportarla in battaglia: due uomini rifiutano perché essi preferivano combattere, quindi per far partire per contrasto l’azione dell’arcivescovo Turpino nell’offrirsi volontario appena i saraceni si avvicinano (8417-89 – la situazione è resa più drammatica dall’esitazione del papa a permettere a un arcivescovo di trasformarsi in cavaliere e portare la reliquia, finché la sua mano non è forzata dall’avvicinarsi del nemico)” (Van Emden 1992, p. 69). Appena Turpino mostra la croce all’esercito, appaiono i tre santi guerrieri (Giorgio, Mercurio e Demetrio). “La cosa più degna di nota a proposito dell’uso della croce è il modo in cui questa splende con una luce soprannaturale (9295, 9402, 9759-60) e appare al nemico crescere e toccare il cielo (9757). Questo è molto più potente e meraviglioso che lo stesso motivo” (Van Emden 1992, p. 70) dal momento che presenta la luce della croce come più splendente del sole. Per quanto mi riguarda, tuttavia, ritengo che la cosa più degna di nota è il fatto che, nella Chanson, la croce, che siamo abituati a immaginare come pesantissima e molto più alta di un uomo, viene rappresentata come qualcosa che si può trasportare a cavallo nel mezzo della battaglia. Cosa che, a mio avviso, si potrebbe fare solo con la croce di Polsi che ha la lunghezza di una spada, cioè di un oggetto facilmente trasportabile da un cavaliere.


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