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  •   Bruno Salvatore Lucisano
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Dopo mangiato, l’appuntamento era lungo la fiumara e nel giardino accanto, dove, i ragazzi, in assenza del guardiano, mangiavano, a sbafo la frutta, in base alla stagione. Generalmente arance e mandarini, ma anche pere e mele che ora non si trovano più.

Peppe, ogni tanto si assentava per dedicarsi al suo sport preferito che era la caccia alle lucertole.

Munito di un cappio, preparato ad arte con un filo d’avena, passeggiava lungo il muro che faceva d’argine alla fiumara, finché non trovava la lucertola giusta. E per giusta s’intende bella grossa e colorata. Usava il cappio con assoluta destrezza, come il domatore fa con la frusta e, individuato l’animale, non gli dava scampo.
Poi arrivava il bello, anzi il brutto. Dopo aver giocato per ore con la lucertola fino a sfinirla, l’appoggiava di schiena al tronco di un ulivo e, a una a una, gli infilzava le zampette con una spina di aloe e lì, la lasciava morire. Lo scheletro della povera bestiola rimaneva attaccato all’albero per mesi, fino alla putrefazione.
Bruno che assisteva a queste scene, quasi giornaliere, ha chiesto più volte spiegazioni a Peppe di questo comportamento, ottenendo di risposta, una risatina macabra e lo sfrigolio del cappio d’avena sotto il naso.
Non che si comportassero meglio gli altri due amici della cricca, i quali, armati di carabina di marca Diana 4,5, nella sola mattinata di Pasquetta, di lucertole ne hanno ammazzate più di cento. Loro si giustificavano dicendo che in questa maniera le povere lucertole, colpite in piena testa, morivano subito senza sofferenze.
Altre vittime sacrificali erano i passeri che di notte, per dormire, andavano a riempire gli alberi alla fine del paese. Bruno e Pino, a turno si scambiavano carabina e pila e sparavano sulle povere bestioline indifese che, raggiunte dalla luce della lampada, sembrava li guardassero per chiedere pietà.
Una sera, ne uccisero talmente tanti, che per portarli a casa, Pino, che li mangiava fritti con patate e peperoni, li raccolse in due grandi tegole non avendo altro dove raccoglierli.
Altre vittime della carabina ad aria compressa erano i piccoli gechi che colpiti alla testa rimanevano per un bel pezzo attaccati al muro, prima di soccombere e precipitare a terra.
Durante le prime piogge di ottobre, quando nella fiumara si creavano delle pozzanghere e lì si facevano vive le prime rane, iniziava un altro sport preferito dai ragazzi che era la lapidazione dei ranocchi. Giù a colpi di pietra fino a stancarsi il braccio e, le povere bestie, venivano così sfracellate e lasciate seccare al sole d’autunno.
In quel periodo questi erano i giochi preferiti da questi bravi ragazzi, né righetta, né bottoni, né trottole col laccio, né scaricabarile, c’era il rischio di farsi male! Questione di gusti.
I ragazzi del racconto sono esistiti davvero e molti di loro ci sono ancora. Nessuno di questi è diventato un killer, anche se promettevano bene. Sarà che i troppi “omicidi” in gioventù, li hanno portati a più miti propositi.


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