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Le Narade, le ninfe dell’Aspromonte

  •   Mimmo Catanzariti
Le Narade, le ninfe dell’Aspromonte

La tradizione delle Naràde o Anaràde è molto importante nei racconti grecanici. È stata sempre narrata da centinaia di anni nelle famiglie, un po’ per tradizione, un po’ per superstizione, un po’ perché le donne e i bambini specialmente nelle serate invernali, rimanessero affascinati e spaventati ad ascoltare. Le Narade, nella leggenda, per gli abitanti dell’isola ellenofona calabrese, hanno sempre rappresentato l’essere crudele per antonomasia. Il loro tallone d’Achille erano i piedi: infatti il rumore degli zoccoli e la forma asinina tradivano la loro presenza, le Narade avevano due piedi di asina e due di essere umano, per  metà erano esseri umani, l’altra metà  asini.

Ma le mitologiche Nereidi e le Narade dei racconti che ritroviamo nella Calabria greca sono gli stessi personaggi? Non è facile saperlo! Esse non vivono nelle acque del mare, anche se spesso invitano le ignare donne grecaniche ad andare nei ruscelli con loro, per lavare i panni; erano quindi le Nereidi, o forse le mitologiche Naiadi, ninfe delle acque sorgive e delle fonti? 

Nei racconti grecanici le Narade abitano i boschi e le montagne; potevano perciò essere le Oreadi e le Orestiadi (delle montagne), le Driadi e le Amadriadi (degli alberi), o, piuttosto ancora, le Ninfe “agronomoi” (dei campi)?

È chiaro che scavare in questo campo per trovare affinità tra il mondo grecanico e la mitologia greca non è certamente facile. Nei racconti grecanici non si fa mai cenno ad una loro particolare bellezza o immortalità, anzi la loro conformazione fisica (donne con i piedi di asina) sembrerebbe farci propendere per tutt’altra tesi. Se a tutto questo si aggiunge che in un racconto grecanico, l’unico che si differenzia dai racconti comuni, si segnala la presenza del Narado maschio, la questione relativa alla loro identificazione si complica. 

La Anarade erano donne con i piedi di asina e solevano andare a cavalcioni di un ramo di sambuco, e si dice vivessero nella contrada di “Ghalipò”. Di giorno solitamente stavano nascoste, la sera uscivano cercando di attirare le donne del paese, usando tra l’altro la capacità di cambiare voce, affinché si recassero al fiume a lavare i panni, con l’intento di ucciderle, e gli uomini del paese potessero accoppiarsi  con loro. Stavano accanto alle persone, bussavano alle porte, chiedevano favori, facevano dispetti; si salvava solo chi aveva l’accortezza di offrire loro dei latticini di cui le Anarade andavano ghiotte. Per fortuna le condizioni orografiche di Roghudi erano tali che bastava chiudere l’accesso a Pizzipiruni, Agriddhèa e Plache, le porte di accesso al paese, affinché le Anarade non potessero entrare.

I roghudesi sostengono che le Narade si nascondevano tra le rupi di Sporiscena (toponimo di Roghudi) e che poi morirono tutte dirupate, dopo la scomunica del papa.Mostri ingenui comunque le Narade, che rimangono però, alla fine, vittime della furbizia contadina, l’unica arma che i  paesani avevano dalla loro parte per poter beffare quegli esseri dai poteri sovrumani.

Nelle tradizioni popolari grecaniche il mondo animato da mostri e folletti è un elemento che ricorre spesso: i folletti, gli gnomi e le fate delle tradizioni grecaniche abitavano i boschi, si nascondevano nelle grotte, sull’aia, finanche nelle case.

Chi più chi meno, buoni o cattivi spiriti, essi erano gli eredi dei miti greci, e si nutrivano di quel clima animistico che da sempre attraversava le credenze del popolo grecanico. Lo  stesso mondo che animava la mitologia tradizionale dell’ambiente rurale greco. 


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