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Le offese di Lombroso, le sue "tragedie", le sue lacune

  •   Pino Gangemi
 Nella foto il cranio di Giuseppe Villella, esposto a Torino Nella foto il cranio di Giuseppe Villella, esposto a Torino

In data non chiara, probabilmente successiva al 1870, Lombroso scrive a lapis dentro il cranio di Villella, che presto finirà con il tenere sulla scrivania: “Individuo di anni 69 – alto 1 e 70 – Pelo nero, poca barba – ipocrita ladro per tre volte, l’ultima volta condannato a 7 anni di reclusione. Di carattere taciturno, violento, anche in prigione rubava a’ suoi compagni e negava sempre. Venne trasportato dalle carceri criminali affetto da tosse, tifo e diarrea scorbutica – moriva in Sala D si questo C[ivico] Spedale il giorno 16 agosto 1864. Fu condannato per aver distrutto un mulino e bruciato e rubatovi” (Milicia 2014, p. 20). 

NELL’ADUNANZA del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, il 12 gennaio 1871, Lombroso legge una comunicazione: «Occupandomi da qualche tempo dello studio dell’uomo criminale, nel visitare il penitenziario di..., fui colpito dalla vista di un tristissimo uomo, che vi degeva da pochi giorni. Era certo Villella di Motta Santa Lucia, circondario di Catanzaro, d’anni 69, sospetto di brigantaggio e condannato tre volte per furto, e da ultimo per incendio di un molino per scopo di furto. Uomo di cute oscura, scarsa e grigia la barba, folti i sopracigli e i capelli, di colore nero-grigiastri, naso arcuato, alto nella persona (1,70): però, in grazia \qtici, o che altro, era tutto stortillato, camminava a sgembo, ed aveva torcicollo, non so bene se a destra o a sinistra. Ipocrita, astuto, taciturno, ostentatore di religiose pratiche, negava di aver commesso alcuna disonesta azione, ma era in fatto così appassionato per furto, che derubava fino i compagni del carcere. Questi, cui interrogai a lungo, mi dissero, che nell’intimità loro non si mostrò punto libidinoso; raccontava, sì, di qualche oscenità commessa nella prima gioventù, e di aver usato con donne sodomiticamente, ma non più che nella prima gioventù, e non più che sogliano gli altri uomini di quella risma; del resto i suoi discorsi erano d’uomo di senno maturo e calmo di passioni; mai si mastrupò, giammai attentò ai compagni, e non mostrò agilità muscolare straordinaria, né ferocia, né spirito vendicativo. Morì in poco tempo per tisi, scorbuto e tifo” (Milicia 2014, pp. 35-36).

VI SONO alcuni elementi spiazzanti in questa comunicazione: la descrizione di Villella in vita, con dei particolari così caratterizzanti la figura che non possono essere dimenticati, suggerisce, ma non dice, che Lombroso avrebbe conosciuto il soggetto durante la sua degenza al Civico Spedale. Non è, come vedremo, affatto vero. Come in molti altri casi, ma non in tutti, la capacità di spiazzare il pubblico è la virtù del ricercatore impreparato. Lombroso, infatti, si presentava decisamente impreparato, cioè carente, rispetto al protocollo abituale dello scienziato. Nella sua completezza, questo protocollo prescrive che si individui un particolare anatomico nella struttura ossea, che si sia osservato cosa sorreggesse o ci fosse dentro quel particolare anatomico di carne, sangue e nervi, cioè che il ricercatore avesse fatto una autopsia o che avesse una relazione particolareggiata dell’autopsia e, infine, che si fosse fatta una indagine sul suo stile di vita prima della degenza. Al momento in cui scrive, su questi ultimi due punti, Lombroso è impreparato perché non è stato lui a fare l’autopsia. Chi l’ha fatta (Giovanni Zanini) è prematuramente morto nel 1867, prima che Lombroso scoprisse la fossetta occipitale e non sa ancora niente delle abitudini di vita del “sospetto di brigantaggio”, altro particolare spiazzante inventato da Lombroso. Esattamente negli stessi termini, la descrizione viene ripresa nei Rendiconti del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere (Esistenza di una fossa occipitale mediana nel cranio di un delinquente, S. II, vol. IV, parte I, pp. 17-41). 

NEL TESTO L’uomo bianco e l’uomo di colore, di fine 1871, così Lombroso descrive Villella: «d’anni 69, contadino, figlio di ladri, ozioso e ladro egli stesso, fino da giovani anni era famoso per l’agilità e gagliardia muscolare, cosicché si arrampicava per i monti con prede pesanti su ‘l capo, e vecchio settantenne resisteva all’assalto di tre robusti soldati: moriva nelle carceri, ove per la quarta volta era stato gettato e donde io potei esportare la testa. Uomo di cute oscura, di scarsa barba, di folti sopraccigli...” (Milicia 2014, pp. 42-3). Tra questo secondo testo pubblicato e i due precedenti c’è almeno una grossa contraddizione (camminava sgembo o era agile?). Inoltre, comincia a sorgere qualche dubbio tra i colleghi. Uno di questi chiede a Lombroso di mostrare le sue carte, cioè dimostrare che ha seguito un rigoroso protocollo scientifico e che, per usare una espressione del gioco del poker, non sta bluffando: nel 1872, dal momento che le tesi di Lombroso stanno prevalendo ed egli viene presentato come lo scopritore della “fossetta”, un luminare accademico, Andrea Verga, docente di Anatomia, ricorda al pubblico degli antropologi che la fossetta era nota agli studiosi, che egli la descriveva persino nelle sue lezioni di Anatomia agli studenti e che non l’aveva mai considerata così rilevante. 

CONCLUDE sostenendo che le deduzioni di Lombroso erano arrischiate perché la fossetta da sola non bastava ed era necessario dimostrare che in quella fossetta “si annicchiasse un terzo lobo del cervelletto” (Milicia 2014, p. 40), cosa che solo con l’autopsia si poteva dimostrare. Nel passo successivo, Verga avanza una precisa richiesta: «Io pertanto non ho il coraggio di dividere un’opinione così arrischiata e... avrei bisogno che il Prof. Lombroso e il Prof. Zoja mi assicurassero di aver veduto questo terzo lobo, o lobo medio del cervelletto, con i loro occhi» (Milicia 2014, p. 40). Questa assicurazione Lombroso non poteva darla per via diretta (non è stato lui a fare l’autopsia di Villella) e nemmeno per via indiretta (la morte prematura di Zanini, che ha firmato il certificato di morte di Villella e, presumibilmente, ha fatto l’autopsia, gli impedisce di acquisire informazioni indirette su quanto chiede Verga). 

LOMBROSO capisce di dover sviluppare l’alternativa di rendere più autorevoli e precise le informazioni su Villella in vita. Lo fa nel 1874, negli Annali Universali di Medicina (Raccolta di casi attinenti alla medicina legale. VIII. Deformità cranica congenita in un vecchio delinquente, vol. 227): 

a) nella prima parte del testo, attribuisce al Villella 60 anni, non 69. Non potendosi fare, al tempo, operazioni di taglia e incolla, questo può anche essere un errore di stampa; 

b) come parte finale del testo, aggiunge la fonte delle sue informazioni su Villella in vita, una fonte che è autorevole perché si tratta del Procuratore del Re di Catanzaro; le informazioni ricavate da interviste ai suoi compagni di carcere, in particolare, e vedremo che la cosa è importante, sui suoi costumi sessuali; un particolare, l’ultimo, relativo a come lo hanno fermato i carabinieri, che ha tutta l’aria di essere stato direttamente ricavato dal verbale della cattura, tanto è particolare e difficile (a meno di una fervidissima fantasia) da inventare. 

LA PARTE aggiunta di testo è la seguente: «Questi [i suoi compagni di cella], cui interrogai a lungo, mi dissero, che nell’intimità loro non si mostrò libidinoso; raccontava, sì, di qualche oscenità commessa nella prima gioventù, e di aver usato con donna sodomiticamente, ma non più che nella prima gioventù, e non più che sogliano gli altri uomini di quella risma; del resto i suoi discorsi erano d’uomo di senno maturo e calmo di passioni; mai si mastrupò, giammai dimostrò ferocia né spirito vendicativo. Il Procuratore del Re di Catanzaro cortesemente m’informava risultargli che non erasi dimostrato libidinoso, che maritato ben trattava la sua donna, che dimostrò fin negli ultimi anni una grandissima agilità correndo pei monti colle pecore rubate sulle spalle e resistendo a tre robusti carabinieri che se ne poterono impadronire solo col comprimergli i testicoli» (Lombroso 1995, p. 236). 

NEL 1876, Lombroso descrive Villella ne L’uomo delinquente e lo presenta solo come ladro. Nelle edizioni de L’uomo delinquente, Villella non è più presentato come sospetto di brigantaggio (a differenza di come ha fatto nelle prime presentazioni di quell’opera).
Dopo trent’anni, nel sesto congresso di Antropologia criminale, tenutosi nel 1906, leggendo in francese il discorso inaugurale, Lombroso comincia a parlare di un brigante non più di un sospetto di brigantaggio; afferma di “avere trovato nel cranio di un brigante tutta una serie di anomalie ataviche, soprattutto una enorme fossetta occipitale mediana...” (Milicia 2014, p. 45). 

NEL 1906, nella Illustrazione Italiana (Il mio museo criminale, a. XXXIII, n. 13, 1° aprile, pp. 302-306), insiste: «Fu in una di queste macabre ricerche che mi vidi aprirsi d’un tratto i nuovi orizzonti dell’antropologia criminale; fu quando nel dicembre del 1870, facendo l’autopsia di un brigante calabrese nelle carceri di Pavia, vi rinvenni un cervelletto mediano ed una fossetta occipitale mediana così sviluppata come nei rosicchianti. E da qui partii (non senza audacia e non senza errore) all’ipotesi che tutti i fenomeni di criminale-nato, così i somatici come gli psicologici, tatuaggio, cannibalismo, impulsività, ecc. si dovessero al riprodursi in costoro di fenomeni normali presso popoli ed animali inferiori» (Lombroso 1995, p. 326). Dice una cosa nuova, che non aveva detto al prof. Verga: che ha fatto l’autopsia del cadavere di Villella (sappiamo, però, che non è vero).


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