Lombroso, gli Zingari e la Calabria
- Redazione
Secondo Lombroso, gli Zingari appartengono a una etnia in cui il delinquente atavico si presenta come regola. Alcune popolazioni della Calabria sono, sempre secondo Lombroso, esattamente nella stessa situazione degli Zingari.
Le tesi razziste di Lombroso vengono riaffermate in due articoli scritti sul caso del brigante Giuseppe Musolino, Calabrese dell’Aspromonte.
Nel primo scritto, Lombroso sostiene: “Dai ritratti che si posseggono non trovo in lui il tipo criminale. È una fisionomia la sua che riproduce quella dei suoi conterranei, salvo forse una maggiore vivacità ed energia nello sguardo” (Lombroso 2014, pp. 257-8). Questo perché Musolino è un uomo di grande intelligenza e in questo tipo di delinquente manca sovente il tipo criminale (cioè le caratteristiche del criminale non traspaiono dai suoi tratti somatici).
Questa affermazione circa il tipo che non traspare fece scalpore tra i suoi avversari i quali si misero a proclamare che Lombroso aveva smentito i presupposti della sua antropologia (in particolare, la riconoscibilità nei tratti somatici del delinquente nato). Per smentire questa deduzione che ha definito impropria, Lombroso ha usato due argomenti: 1) genio e criminalità sono due degenerazioni che, se compresenti in un unico individuo, non autorizzano a pensare che i caratteri delle due degenerazioni si debbano sommare. Infatti, i caratteri della genialità possono sovrastare e larvare quelli della criminalità; 2) “i rei di genio non hanno naturalmente il tipo quando sorgono in mezzo a popolazioni barbare, o quasi barbare, perché allora, in fondo, la loro non è una criminalità morbosa, ma fisiologica; il delitto per essi, come pei loro convalligiani, è soltanto un’azione che al più trova una occasione od un aiuto speciale nella loro maggior forza ed intelligenza, e così mi spiego, come molti capi-briganti sardi, siculi o calabresi, non mostrarono il tipo differente dalla popolazione in cui vivevano” (Lombroso 2014, p. 279). In altri termini, essendo l’intera popolazione di un dato luogo tendenzialmente atavica (in cui ognuno è solo in cerca di un’occasione o di un aiuto speciale per rivelarsi delinquente nato) il tipo criminale non si manifesta.
Questa seconda direzione esplicativa è chiaramente razzista anche se non viene riferita all’intera Calabria o all’intera Sicilia o all’intera Sardegna. Lo rivela il termine “convalligiani” usato al posto di Calabresi. Il termine in questione fa riferimento a una dichiarazione fatta nel primo articolo su Musolino, quello che ha aperto la polemica sul problema del tipo assente nei criminali di genio. Vi si legge: “non intendo dire che tutta la Calabria sia in uno stato poco civile; tutt’altro: essa è una delle gemme d’Italia; ma in alcune delle sue vallate remote, specialmente della punta d’Italia, dove s’alternano ancora colonie greche ed albanesi e dove le ferrovie e le vie maestre e quella grande potenza del giornale e della scuola, non sono peranco penetrate, si trovano ancora vicine a quello stato primitivo in cui il reato e l’azione si confondono insieme” (Lombroso 2014, p. 255).
Insomma: non quanti vivono in Calabria, ma molti di quelli che vivono in Aspromonte, anche se con l’esclusione di te personalmente che stai leggendo il giornale sul quale sto scrivendo (il Corriere della Sera), sono vicini a quello stato primitivo in cui l’essere criminale è conseguenza solo dell’occasione o dell’aiuto speciale che si è presentato e che può essere offerto dalle circostanze della vita.
In conclusione, il razzismo di Lombroso si distribuisce chiaramente su varie articolazioni:
1) Semiti arabi, Albanesi e popolazioni provenienti dall’Africa delinquono più dei Longobardi, dei Celti e di altre popolazioni settentrionali;
2) Esistono dei semiti buoni che delinquono quanto i settentrionali (gli Ebrei);
3) I Longobardi che delinquono di meno hanno abbassato i tassi di delinquenza di Benevento. Ma perché i Normanni e gli Svevi, popoli settentrionali che hanno colonizzato l’intero Meridione, non hanno abbassato i tassi di delinquenza delle regioni meridionali?
4) Gli Zingari, se hanno alternative, non le sfruttano per una predisposizione atavica che riguarda l’intera loro razza, salvo eccezioni; i delinquenti del Colorado, se hanno alternative, le sfruttano, a meno che non intervengano fattori aggiuntivi (e presumibilmente ambientali) a spingere verso una scelta criminale;
5) I convalligiani dell’Aspromonte sono più simili agli Zingari che al giovane del Colorado; sono, come razza, delinquenti nati in potenza e aspettano solo un’occasione o un aiuto per rivelare il loro atavismo criminale di razza. Lo stesso vale per i Siciliani e i Sardi, molti dei quali vivono in condizioni simili a quelle dei convalligiani dell’Aspromonte;
6) Non si capisce se la colonizzazione greca, faro di civiltà prima di Roma e fondatrice della filosofia e quindi della civiltà occidentale, sia da considerare segno di devianza elevata (Lombroso cita i Greci solo in abbinamento con gli Albanesi nel parlare della delinquenza atavica diffusa nelle valli dell’Aspromonte), mentre allievi di Lombroso distinguono tra colonizzazione greca portatrice di civiltà e colonizzazione fenicia portatrice di retaggi atavici che costituiscono il carattere delle masse più arretrate. Come dice Giustino Fortunato, “la nazione italiana è formata di due stirpi originariamente dissimili, l’Aria e la Mediterranea, l’una prevalente al Nord, l’altra al sud del meridiano di Roma, sottoposte a ineguale vicenda di nascita, di vita e di morte, a un diverso atteggiamento dello spirito e dell’intelletto” (2011, p. 220).
Sull’ultimo punto, occorre un chiarimento che deriva dal fatto che Lombroso e allievi sono d’accordo sul fatto che in Italia coesistono due razze, ma non sulla genetica di queste razze: secondo alcuni, infatti, i Fenici, provenendo dall’Africa, sono un fattore degenerativo. Secondo altri, non lo sono; per alcuni i Greci sono la popolazione, insediatesi in Meridione, che costituisce l’élite meridionale, una minoranza molto colta e capace. Per Lombroso, i Greci, con gli Albanesi, sono uno dei fattori razziali degenerativi dei meridionali.
È evidente quindi che, se seguiamo le varie teorie razziste che più scrittori hanno elaborato in Italia, e a proposito delle varie della penisola, dall’unità in poi, scopriamo tra esse notevoli differenze e contraddizioni. Perciò ci limitiamo solo a precisare le idee di Lombroso il quale chiarisce alcuni aspetti, che spesso appaiono contraddittori nella sua trattazione, in un passo di uno scritto su Musolino che non è contenuto nei due articoli sul Corriere della Sera, ma si trova nella Nuova antologia di lettere, scienze ed arti: “La popolazione [calabra], intelligentissima, perché deriva da un misto di Romani, Greci e Fenici, di cui serba traccia nella forma allungata del cranio, nel dialetto, nei canti, è audace, eroica, desiderosa di dominio fino alla prepotenza, ha però nel suo seno una cifra non indifferente di colonie albanesi e greche, specialmente verso la punta d’Italia, dove Musolino imperava, che, discendendo da popoli imbarbariti nel medio evo, sono in uno stato veramente inferiore di senso morale” (Lombroso 1995, p. 287). In altri termini, ci sono Greci e greci: i primi sono quelli della Magna Grecia; i secondi sono quelli che si trasferiscono in Sicilia e in Calabria venendo come profughi dalle province romane invase dagli Islamici e, dopo la conquista araba della Sicilia, si trasferiscono in Calabria dalla Sicilia stessa. Questi, essendo Greci decaduti, introducono fattori degenerativi nelle popolazioni meridionali e, in particolare, nella Bovesia, cioè nelle zone montuose locate intorno al Comune di Bova in Aspromonte.
Il pregiudizio antistorico di Lombroso è evidente e nasce dal fatto che egli non conosce molto la storia dell’incivilimento dei Barbari, come si evidenzia da un periodo cruciale nella storia europea: il periodo tra il 968 e il 972. Quando il futuro Ottone II è ancora un giovane quattordicenne, anche se è già stato associato nella carica di imperatore dal padre Ottone I, il vescovo di Cremona, il Longobardo Liutprando, viene inviato a Costantinopoli per negoziare il matrimonio tra il giovane Ottone e la principessa bizantina Teofano Sklerina. Il negoziato fallisce e Liutprando scrive una relazione (Relatio de legatione Costantinopolitana) in cui riporta un violento scontro verbale che ci sarebbe stato tra lui e l’imperatore Niceforo e che il vescovo avrebbe concluso con queste parole:
- Noi siamo Cristiani e i Romani di cui Voi mostrate nostalgia erano quei pagani felici di considerarsi discendenti di un fratricida, nato da un adulterio. La Vostra Roma pagana crebbe accogliendo servi in fuga, omicidi e altre persone degne di morte per i loro reati. L’originaria Roma pagana era costituita dalla feccia umana. Noi, che Voi chiamate Barbari, quando vogliamo insultare qualcuno, lo chiamiamo “Romano!”.
Quattro anni dopo, l’accordo per il matrimonio tra Ottone II e la principessa Teofano viene realizzato. Quel matrimonio introduce nella corte tedesca la cultura bizantina. La data del matrimonio viene considerata come l’inizio dell’umanesimo europeo, inteso come processo di acquisizione della cultura greca e romana.
L'imperatrice Teofano comincia a far comprendere ai propri sudditi acquisiti il motto del vero imperatore romano Adriano: "fondare biblioteche è come costruire granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito". E per fondare biblioteche, ovviamente, è necessario cominciare con lo scrivere libri in prosa ed opere di poesia. Gli ex Barbari apprendono da questa lezione come sostituire sofisticate operazioni culturali alle rozze manipolazioni della storia e della verità che usavano quando erano ancora solo Barbari.
Liutprando muore nel 972, lo stesso anno del matrimonio tra l'imperatore d'Occidente e la principessa Teofano. Non tanto per quella prematura morte, quanto per le sue smargiassate contro Niceforo, non sarà considerato tra gli iniziatori dell'umanesimo europeo. Verrà invece ricordato per i suoi rozzi tentativi di manipolazione storica, presenti in tutte le sue opere. Anche per queste rozze manipolazioni, Liutprando viene ancora considerato un uomo del vecchio mondo barbaro che disprezza i Bizantini perché disprezza anche i Romani.
Questo episodio mostra due cose: 1) non si possono disprezzare i Greci bizantini senza contemporaneamente disprezzare i Romani e non si possono considerare barbari i Greci in fuga dall’Islam in quanto essi erano Cristiani e Romani, che parlavano greco, come in tutto l’impero romano d’oriente; 2) non si possono disprezzare i Greci bizantini di Calabria senza negare l’influenza che questi hanno avuto nella ripristino della cultura greca e romana in Occidente, quindi nell’umanesimo da cui si svilupperà il Rinascimento.
Come spesso succede con il razzismo, questo viene spesso alimentato da una ignoranza totale della storia e in particolare, con riferimento alla Calabria, dal misconoscimento del ruolo che la Calabria ha avuto per due secoli (dalla metà del IX secolo alla metà dell’XI secolo) nella difesa dell’Europa e, poi, insieme ai Normanni e agli Svevi fino agli Angiò e agli Aragonesi, nella difesa dell’Italia dalle invasioni Saracene e Turche. Soprattutto i primi due secoli di questa difesa, i più gloriosi dato che i Calabresi sostennero la lotta da soli con pochi aiuti dai Bizantini, sono stati cantati e trasmessi ai posteri nella stupenda Chanson d’Aspremont, una delle opere della Chanson de geste. Si tratta di un’opera poetica di grande valore (di oltre 11.000 versi) che un normanno sentì cantare ai soldati della seconda crociata quando questi rimasero per oltre un anno tra Reggio Calabria e Messina e la trascrisse (attribuendone le imprese a Carlomagno e ai paladini) nella propria lingua perché i Normanni volevano, per motivi politici, indirettamente appropriarsi di quel merito di resistenza attraverso Carlomagno, di cui si dichiaravano i continuatori.
Questa opera è stata trascritta in anglonormanno, in franconormanno, in finnico normanno, atc. Nel XIV secolo è stata, per ben due volte, riproposta in Italiano con una versione poetica dal titolo Cantari d’Aspramonte il cui autore è rimasto anonimo (pubblicati alla fine del XIV secolo) e un romanzo, Aspramonte, di Andrea da Barberino (pubblicato all’inizio del XV secolo). Queste due versioni in italiano della Chanson sono state importanti per l’unificazione culturale e linguistica della penisola italiana. Vanno, infatti, inquadrate dentro un’operazione tendente a diffondere l’Italiano al di fuori della Toscana, nel periodo successivo alla morte di Petrarca e di Boccaccio (morti rispettivamente nel 1374 e nel 1375). Nell’ultimo quarto del XIV secolo, Dante, Petrarca e Boccaccio vengono attaccati dal mondo accademico della penisola con la motivazione che la lingua delle loro opere fosse la “lingua dei ciabattini” e che bisognasse sostituire a questo volgare il tradizionale latino. La riedizione, in Italiano, della Chanson diventa, in questo contesto, lo strumento attraverso il quale ampliare la base sociale di lettori della nostra grande letteratura in volgare, aggiungendo ai Toscani e a quanti leggevano i tre grandi fondatori della nostra lingua, i potenziali lettori del Meridione della penisola.
Quando la lingua volgare riprenderà il sopravvento, a parte dentro il mondo accademico dove permarrà a lungo il latino a farla da padrone, tracce profonde dell’influenza della Chanson d’Aspremont si trovano nelle opere di Boiardo, Ariosto e Tasso e persino il personaggio di Bradamente è modellato sulla Galiziella dei Cantari d’Aspramonte e del romanzo Aspramonte. Tutte cose che, dal punto di vista favorevole alla Francia, Paulin Paris ha molto contribuito a diffondere a partire dal 1852, contribuendo così a una rilettura del medioevo europeo. Ma questo, che Lombroso ha evidentemente ignorato, non è un argomento su cui diffondersi oltre in questo testo (sarò oggetto di altra opera o di un’appendice a un futuro volume su Lombroso).
Quello che qui si vuole dire è che ogni pretesa di spiegare la degenerazione calabrese tentando di cacciare i Greci bizantini e i Calabresi dalla costruzione della civiltà europea e dalla costruzione della lingua italiana è un errore storico grave, oltre che un’assurdità. E comunque richiederebbe una conoscenza della storia maggiore di quella che Lombroso ha avuto o che hanno avuto i suoi epigoni, coloro che si sono appoggiati a lui per sostenere che esistessero in Italia due razze (con o senza l’ipotesi salvifica di una élite meridionale non degenerata perché discendente dai Greci della Magna Grecia).