Menu
In Aspromonte
Cinema: Il docufilm “Terra mia” da San Luca ad Altamura

Cinema: Il docufilm “Terra mia…

di Cosimo Sframeli - ...

Recovery: UeCoop, per 80% imprese Calabria aiuti solo fra un anno

Recovery: UeCoop, per 80% impr…

C’è un clima di sfiduc...

Bovalino: La Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, dott.ssa Racco, scrive alle autorità competenti in merito alla situazione scuola, al fine di evitare un sacrificio ingiusto ai bambini calabresi

Bovalino: La Garante per l’Inf…

La Garante per l’infan...

Coldiretti, nubifragio nel crotonese: «dopo la grande paura il bilancio dei danni sarà pesante»

Coldiretti, nubifragio nel cro…

I violento nubifragio ...

Coldiretti, in vigore l’etichetta Made in Italy per i salumi. La trasparenza che tonifica l’economia calabrese ed è valore aggiunto per i suinicoltori

Coldiretti, in vigore l’etiche…

Adesso non conviene ba...

Bovalino, conclusi i lavori di ampliamento della Scuola dell’Infanzia di Borgo e di riqualificazione con messa in sicurezza del plesso scolastico

Bovalino, conclusi i lavori di…

L’Amministrazione Comu...

Federaccia e AA.VV. Calabria sulla VINCA al Calendario Venatorio 2020-2021

Federaccia e AA.VV. Calabria s…

Reggio Calabria 2 nove...

Coldiretti Calabria, i cinghiali sono troppi: la Regione intervenga con piani di abbattimento selettivi

Coldiretti Calabria, i cinghia…

Ci sono troppi cinghia...

Artigiani e produttori insieme al Parco dell’Aspromonte ad Artigiano in Fiera

Artigiani e produttori insieme…

Oltre un milione di vi...

Nel Parco dell’Aspromonte vive una delle querce più vecchie del mondo

Nel Parco dell’Aspromonte vive…

Una Quercia di oltre 5...

Prev Next

Lu cuntu di “La chanson d'Aspremont"

  •   Pino Gangemi
Lu cuntu di “La chanson d'Aspremont"

Non è molto chiaro ai più che cosa sia quel complesso di opere, di grande successo per secoli, tra il XII e il XVI secolo, che va sotto il nome di Chanson d’Aspremont (e nomi collegati: Cantari d’Aspramonte, romanzo Aspramonte, Karlamagnus Saga, etc.). Tanto per incominciare si tratta di uno dei testi letterari, scritto in varie lingue medioevali, più interessanti anche dal punto di vista sociale.

Con il nome Chanson d’Aspremont si intende in genere un solo tipo di opere: quelle scritte in lingua anglo-normanna alla fine del XII secolo e quelle scritte in lingua franco-normanna nel secolo successivo. Sono entrambe opere di propaganda politica, filo-inglese le prime e filo-francese le seconde. La caratteristica di questo tipo di opere è di essere molto interessanti dal punto di vista dell’evoluzione della lingua e dal punto di vista del valore poetico. Come vedremo, la differenza tra il primo e il secondo tipo di opere spesso è minima (cfr. pubblicazioni della Chanson di André de Mandach e di François Suard che differiscono per poche centinaia di versi su oltre 11.000 e perché l’autore franco-normanno ha tolto e sostituito tutti i versi con affermazioni favorevoli all’Inghilterra con versi con affermazioni favorevoli alla Francia).

Gran parte del dibattito accademico verte su questi due tipi di opere. Questo tipo di dibattito non serve molto all’obiettivo di cui si legge sul sito dell’assessorato alla cultura della Regione Calabria a proposito di un evento sulla Chanson d’Aspremont cui avrebbe partecipato il giorno 1 giugno 2013 l’assessore Mario Caligiuri: “recuperare e valorizzare il grande scrigno della cultura calabrese”. L’evento, alle Terme di Antonimina, sarebbe consistito, come si legge ancora nel sito della Regione, nel fatto che “sono state tradotte in Italiano e in vernacolo calabrese le parti più significative della Chanson, corredate da suggestivi bozzetti. Quasi un fumetto per rimettere in pista una bella operazione culturale da proseguire magari con la traduzione integrale e una mostra mobile”. Il tutto sul presupposto che la Chanson non sia “mai stata tradotta in italiano”.

Ed, invece, non è vero: la Chanson ha avuto almeno due traduzioni in Italiano, in forma manoscritta, alla fine del XIV e nella prima metà del XV e, addirittura a stampa, nel XVI secolo. La prima volta è stata pubblicata, in versi, con il titolo Cantari d’Aspramonte; la seconda volta in prosa, da Andrea da Barberino, con titolo Aspromonte; la terza volta, manoscritta nel XV secolo, è stata pubblicata a stampa nel 1527 (edizioni Bindoni di Venezia). Infine, nel 1991, Carmelina Sicari ha tratto una antologia, dall’edizione Bindoni, per una piccola casa editrice Qualecultura di Vibo Valentia.

Per quanto riguarda l’operazione di trasformare la Chanson in una specie di fumetto o l’idea di tradurla in vernacolo calabrese, occorre pensare che i manoscritti a noi arrivati, sia in una delle lingue normanne, sia in Italiano, hanno lavorato su una precedente epopea di racconti, presumibilmente in lingua greca, o in qualche altro dialetto calabrese, durante il periodo bizantino e il successivo periodo normanno fino al 1190.

Per quanto riguarda, poi, la mancanza di un manoscritto in questa lingua o dialetto greco-calabrese, questo dipende dal fatto che per un’operazione di questa portata (la trascrizione di una versione di più di 11.000 versi di canzone) necessitava, al tempo, di un ricco mecenate e il valore politico implicito nell’opera può avere impedito che questo mecenate si facesse avanti per puro amore dell’arte. Bisogna, inoltre, considerare che la Chanson, prima dell’entrata in gioco dei mecenati normanni, che ne hanno finanziato la traduzione e la pubblicazione in pergamena, è stata una epopea di miti nati e sviluppatesi nel corso della lotta di resistenza ai Saraceni. Il fatto, poi, che la grande maggioranza della popolazione dell’Aspromonte e di Risa (il nome bizantino di Reggio) fosse greca ci obbliga a confrontarci con uno dei caratteri distintivi dei Greci: essi non trattavano i miti che andavano producendo alla stregua di favole (l’antica versione di quelli che oggi, nella società delle immagini, si chiamano fumetti), ma come racconti di un passato capace di forgiare l’identità di un popolo. Lo stesso di poteva dire anche dei Romani.

La conclusione da trarre è che i miti della resistenza ai Saraceni costituivano lo strumento di diffusione di una nuova consapevolezza sociale che si era costruita nel corso delle lotte: le varie diverse etnie, Greci, Brettii, Italioti, Osci, etc., erano diventati, nel corso della resistenza, un nuovo popolo, i Calabri. Ed è per questa nuova identità che si forma nei fatti che il nuovo nome - che i Bizantini hanno dato alla regione chiamando Calabria, nel 663, la zona greca del Reggino, ed estendendo il nome a tutto il territorio sotto controllo, nel 725 (devo queste date a uno scritto di Caligiuri, attuale assessore alla cultura della Regione Calabria) – esce dai documenti burocratici ufficiali e finisce per attecchire anche a livello delle popolazioni.

La teoria che vado a presentare parte dall’assunto che la Chanson d’Aspremont sia il risultato di innumerevoli cantilene epiche, nelle quali si esaltava il valore degli eroi popolari che avevano combattuto la guerra di resistenza ai Saraceni. Esse sono state elaborate, nel loro nucleo originario, dai combattenti stessi di questa guerra e, nei momenti di tregua, venivano raccontate dai cantastorie in giro per la Calabria. Esse avevano una fondamentale importanza culturale che era quella di cementare in una narrazione epica l’unione dei vari popoli della Calabria (Brettii, Greci, Romani, Italioti, etc.) in un unico popolo che era stato capace di fronteggiare, insieme, un nemico che era insieme politico e religioso. Queste canzoni avevano lo scopo di favorire lo sviluppo di un unico spirito di popolo, che condivideva lo stesso ideale politico e religioso. Queste canzoni, inoltre, avevano uno stretto rapporto con le tradizioni locali e alle varie storie o leggende che erano sorte su determinati luoghi dove c’era stata una battaglia o un’imboscata o qualcuno era stato seppellito.

La Chanson d’Aspremont ha avuto, insomma, la stessa funzione che hanno avuto poemi come l’Iliade, l’Odissea, i Nibelunghi, etc. che erano stati preparati da una serie di brevi poemi cantati nelle piazze e lungo le strade percorse dai pellegrini. Tutte queste opere hanno forgiato nuovi popoli o li hanno aiutati ad acquistare una nuova unità e una nuova identità. Il fatto che, ad un certo punto, questa raccolta di canzoni epiche venga tradotta in un’altra lingua da un popolo occupante, implica che, da una parte, questo popolo ha inteso appropriarsi di una tradizione per piegarla a proprio vantaggio, mentre, dall’altra, ha inteso favorire il formarsi di una nuova identità e unità. Se questo popolo occupante fosse rimasto a lungo a governare la Calabria, probabilmente, intorno alle Chanson d’Aspremont in lingua normanna sarebbe sorta una epopea che avrebbe aiutato un nuovo percorso di formazione di una nuova identità. Ma siccome ogni pochi secoli, il popolo occupante è continuamente cambiato (e la cosiddetta monarchia nazionale borbonica è riuscita a durare appena poco più di un secolo) il risultato è stato che la Chanson d’Aspremont per molto tempo non ha significato niente per la Calabria. E se ora se ne ritorna a parlare è perché, altrove, nel Nord Italia e in Europa, anche per il costituendo progetto di costituire l’Unione Europea, si sta riscoprendo questa Chanson che, unita a tutte le altre Chanson de geste, per la lunga storia che ha avuto in Italia, in Francia, in Inghilterra, in Norvegia, in Scandinavia, in Ungheria, etc. può contribuire a ricostruire uno spirito europeo.

Ma può anche essere usata con altri scopi, come sembra essere usata, per esempio, in Belgio dove la si sta recuperando per rilanciare la grande tradizione linguistica francese contro la meno rilevante tradizione linguistica vallone in un’operazione che può sfociare nel secessionismo (il secessionismo dei Francesi dai Valloni o viceversa è diventato, in Belgio, negli ultimi decenni, un timore e anche una possibilità).

Nello studiare, da Calabrese, la Chanson d’Aspremont, bisogna essere consapevoli dello scopo con cui la si studia: se per rivendicare una specificità calabrese che ci rende diversi dal resto d’Italia o se per rivendicare il nostro pieno diritto (se non addirittura il nostro diritto di primogenitura) a considerarci tra i grandi costruttori dell’Europa. Con orgoglio possiamo, infatti, rivendicare che la Chanson d’Aspremont ha un afflato poetico grandissimo, anche nella versione “rubata” dai Normanni per i loro obiettivi politici e ha suscitato ammirazione e interesse in tutta Europa, venendo continuamente ritradotta e rielaborata in tutte le lingue europee del tempo.

Le prime Chanson d’Aspremont pubblicate su pergamena, e pagate da ricchi mecenati, sono opere scritte, infatti, da Normanni del Nord Europa per un pubblico nordeuropeo e per obiettivi politici di fronte ai quali Calabresi e uomini dell’Aspromonte erano e rimangono estranei. Questo, però, non significa che non bisogna prendere in considerazione le opere normanne. Esse vanno, invece, considerate in tutte le loro versioni per ricavare quei riferimenti a persone, categorie sociali, luoghi, edifici o oggetti realmente esistiti. Esse vanno esplorate, verso per verso, perché in quei versi si nascondono i grandi valori della cultura calabrese e il momento germinativo del “carattere” calabrese, oltre che della nostra identità, sia come Calabresi che difendevano le proprie famiglie, sia come Europei che difendevano la loro religione, quella religione che ha costruito la civiltà dell’Europa.

Per indicare come si possano ricavare dei riferimenti rilevanti per la cultura calabrese, mi limito a fare un solo esempio: il fatto che in alcune delle versioni della Chanson si fa riferimento a un muro costruito intorno all’Aspromonte o in mezzo all’Aspromonte mentre, in tutte le versioni, si racconti di una imponente torre costruita in un punto di questo muro. In alcune versioni italiane, poi, si dice anche che tracce di questa torre esistevano ancora al momento in cui quei manoscritti Italiani venivano trascritti, per la prima volta, su pergamena (alla fine del XIV secolo).

Bisogna spiegare cosa significa questo muro, visto che non ci sono tracce di questa “muraglia” e dove è stata eretta questa torre, i cui resti sarebbero rimasti in piedi ancora a lungo. André de Mandach, nella pubblicazione della prima parte, primo volume della Chanson che presenta la prima parte dell’opera, sostiene che questa Torre sarebbe stata eretta a Gambarie, mentre nel secondo volume, con la seconda parte dell’opera, sostiene che la Torre sarebbe stata eretta a Bagnara.

Egli stesso, quindi, finisce per trovare poco convincente (forse anche a causa del fatto che ha ricevuto critiche da qualcuno che conosce i luoghi) che l’esercito Saraceno partisse da Gambarie (la torre dove si concentrava il grosso delle truppe) per andare verso Bagnara realizzando lo scontro non si capisce se più vicino a Bagnara o a Gambarie. Solo che, e mi corregga chi conosce meglio di me questi territori, il testo di de Mandach parla di una manovra di aggiramento dell’esercito saraceno per chiudere quest’ultimo a tenaglia procedendo lungo due diverse valli. Questa condizione di due valli convergenti non è riscontrabile a Gambarie (dove le valli non sarebbero così larghe per una battaglia e agevoli per un aggiramento). Nelle vicinanze di Bagnara, il testo parla ancora di un’ampia valle dove si svolge la battaglia, non mi sembra esistano queste valli facilmente aggirabili. E, quindi, anche sopra Bagnara non sarebbe il punto adatto per collocare la battaglia per il controllo dell’Aspromonte.

Il problema è che quello che rende poco decifrabili i luoghi degli scontri è un ribaltamento di prospettiva: si presuppone che l’offensiva ai Saraceni venga solo da Nord, da Catanzaro e Cosenza, essendo partita da Parigi. Ma questo è quello che racconta la Chanson nella versione anglo-normanna e franco-normanna. Vi sono rimaste evidenti tracce nel testo che sono comprensibili solo se si ribalta la prospettiva nel modo seguente: una forte offensiva non può non essere venuta anche dall’Aspromonte che non è mai stato conquistato del tutto dai Saraceni. In una prospettiva che faccia dell’Aspromonte un luogo di difesa e offesa, con i Saraceni attestati nelle Planitiae Sancti Martini, fino a Sant’Agata, cioè fino a quella che sarà poi chiamata Oppido, e a Gerace e Bovalino, l’ipotesi più probabile è quella di una battaglia che si svolge tra Saraceni da una parte e due diverse forze, in collaborazione ma anche in competizione tra loro. Nella Chanson, le due forze sono quelle di Carlomagno (parte più numerosa) e quella di Girart della Fratte. Questa cooperazione/competizione può essere realmente esistita ed essere stata rappresentata, dai franco-Normanni o dagli anglo-Normanni, con personaggi importanti dell’epoca di Carlomagno della cui politica i Normanni si ritenevano eredi e continuatori. Ma siccome sappiamo che Carlomagno non è mai sceso e non ha mai combattuto in Calabria, si può ipotizzare che la versione orale originaria parlasse di due forze, la prima delle quale proveniente da Nord (soldati Bizantini regolari?) e una seconda dall’Aspromonte (gruppi di guerriglia spontaneamente costituiti a difesa delle creste e delle strade di attraversamento dell’Aspromonte?). In base a questa ipotesi, il ruolo delle truppe di Carlomagno può essere stato svolto da vere forze provenienti da Nord (Catanzaro? Lungo la via delle creste?) per rompere il quasi completo accerchiamento e le truppe di Girart possono essere state guerriglieri (infatti sono descritte combattere, nella Chanson, più con l’astuzia e gli agguati, che con la forza).

Di questo, però, parlerò solo in una delle ultime “sedute” dell’indagine che sto presentando. Per adesso mi limito a considerare che, ipotizzando che i Franchi vengano da Nord e stazionino a Bagnara (anche se Bagnara è città fondata dai Normanni), e i Saraceni siano a Sud e partano da Risa e si muovano dalla torre, ipotizzare, come fa de Mandach nel primo volume, che la torre sia a Sud di Bagnara verso l’interno dell’Aspromonte, più o meno a Gambarie, ha un qualche senso; ipotizzare, invece che i Saraceni abbiano costruito la torre a Bagnara, come dice de Mandach nel secondo volume, significa di fatto ipotizzare che l’Aspromonte sia stato conquistato dai Saraceni nelle zone più elevate, ma non a Est e a NordEst di Bagnara (questa non sarebbe stata sicura, altrimenti). Il problema è, invece, che i documenti storici ci dicono che i Saraceni hanno, ad un certo punto, nella seconda metà del IX secolo, conquistato la Planitiae Sancti Martini per intero e si siano attestati a Sant’Agata, oggi Oppido, dalla parte settentrionale della zona tirrenica, e a Gerace (a NordEst, dalla parte ionica) ma non il centro dell’Aspromonte, meno che mai le zone più elevate. In questo modo, i Saraceni hanno quasi chiuso in un cerchio l’Aspromonte, lasciando però delle sacche di resistenza (il castello di Santa Cristina che non viene conquistato e gran parte della montagna dove si manifesta quella forte guerriglia, secondo le più accreditate teorie militari bizantine del tempo). Questo accerchiamento fu operato con l’esclusione delle creste, intorno all’Aspromonte è il “muro” (ideale, non di pietre o mattoni) con cui i Saraceni avrebbero (quasi del tutto) circondato il monte?

Prima di cominciare ad esporre, in varie parti separate data la complessità dell’argomento, questa indagine, è importante premettere che l’espressione Chanson d’Aspremont serve a indicare una serie di opere che si sono influenzate tra di loro e hanno avuto anche titoli diversi:

1)  Chanson d’Aspremont; 

2)  Karlamagnus Saga;

3)  I Cantari d’Aspramonte;

4)  L’Aspramonte. Romanzo cavalleresco inedito e La canzone d’Aspromonte.

Fino a un secolo fa si sapeva pochissimo di queste opere e dei loro possibili collegamenti, anche perché i manoscritti erano chiusi nelle biblioteche d’Europa ed erano poco noti alla stessa comunità dei medioevalisti. La Chanson ha cominciato ad essere sempre più nota a partire dalla pubblicazione, nel 1919, a cura di Louis Brandin, del manoscritto della Wollaton Hall. Questa pubblicazione è, tuttavia, senza presentazione critica del testo, anche se è servita da testo di controllo per tutti gli altri manoscritti presenti in altre biblioteche o pubblicati a stampa, dopo di allora.

Ai fini di una discussione della Chanson d’Aspremont che risulti veramente utile alla cultura calabrese, a mio avviso, occorre cominciare con il considerare le opere sopra in elenco nell’ordine in cui esse sono presentate: prima le versioni propagandiste anglo-normanne e franco-normanne, descritte nei loro scopi politici e nelle differenze di natura sociologica che vi si possono riscontrare; poi la Karlamagnus Saga che serve altri obiettivi politici; quindi, le opere in Italiano del XIV e XV secolo; e ancora altre opere in qualche modo connesse a queste.

Gli obiettivi della ricerca sono i seguenti:

1)  enumerare le varie parti della storia e cercare di interpretare i motivi politici dell’assenza o della presenza di ciascuna parte di questa storia: a) la resistenza e la conquista saracena di Risa (Reggio), cioè la storia che ha tra i protagonisti la figura di Galiziella; b) la resistenza in Aspromonte e la sconfitta di Aumont, figlio di re Agolant, cioè la storia della battaglia per la conquista della torre di cui sopra; c) la guerra per la liberazione di Risa;

2)  tentare una interpretazione del personaggio di Galiziella collegandolo sia ai presedenti letterari (la Camilla di Virgilio), sia ai successivi recuperi letterari (Boiardo, Ariosto e Tasso);

3)  tentare, da alcune piccole modifiche interne ai versi, esempio la sostituzione con altra parola del termine “barone” riferito agli uomini di Carlomagno o di Girart, di fornire una interpretazione sociologica delle forze in campo cristiano secondo le varie versioni della Chanson;

4)  infine, avanzare un’ipotesi di dove fosse la torre costruita dai Saraceni e di dove si sia svolta la battaglia per la liberazione dell’Aspromonte, battaglia nella Chanson descritta come vinta da Girart della Fratte, ma di fatto vinta da guerriglieri dell’Aspromonte che ci tengono ad essere protagonisti nella liberazione della loro terra.

Tutti questi obiettivi saranno raccontati in altrettante, e forse più numerose, puntate di questa storia. Nella presentazione di questa storia, i nomi dei personaggi più noti saranno forniti, per non ingenerare confusione, in una sola versione (usando esclusivamente i soli Galiziella, Aumont, Agolant, Girart, Naime, Balan, Sobrin, etc.) e non nelle tante versioni di questi nomi che vengono francesizzati, inglesizzati, italianizzati, etc. (a meno che non si faccia una citazione diretta dal testo e, in quel caso, il nome sarà scritto esattamente nel modo trascritto).

h ha pubblicato un’opera di quattro volumi, dal titolo Naissance et développement de la Chanson de Geste en Europe. Il terzo e il quarto volume di quest’opera sono dedicati alla pubblicazione della prima e della seconda parte della Chanson d’Aspremont. Importante, in questa opera, è la valutazione critica dei documenti che egli pubblica. Siccome le sue due Introduction ai volumi suddetti (pubblicati nel 1975 e nel 1980) sono prese a riferimento da tutti gli studiosi successivi, è dalla presentazione di quanto sostenuto in esse che occorre partire.

Nell’Introduction del 1975 al terzo volume, de Mandach sostiene che La Chanson d’Aspremont è un’opera focosa, fiammeggiante e viva, una canzone di guerra, una canzone politica e una canzone di crociata e offre molte sfaccettature all’interpretazione. Come canzone di crociata è l’unica che contenga tutti gli elementi del “credo delle crociate” di Clemente III e del futuro papa Innocenzo III (alter ego di Clemente III durante il pontificato di quest’ultimo). Tuttavia, è importante ripetere che de Mandach parla della Chanson in senso stretto: cioè la lotta di Carlomagno, in Aspromonte, contro il re Agolant e il figlio Aumont e la definitiva sconfitta del primo in Aspromonte e del secondo in Risa. Quello che rientra nella Chanson in senso stretto è, secondo de Mandach, presentato in forma binaria, cioè in parallelo o in contrapposizione:

a)  La descrizione della corte saracena di re Agolant in Africa in parallelo con la descrizione della corte di Carlomagno in Francia;

b)  Il parallelo tra la contrapposizione tra falchi e colombe nella corte di Agolant e la stessa contrapposizione nella corte di Carlomagno;

c)  La descrizione del contrasto tra il consigliere di Carlomagno, Naime di Baviera, e il ribelle Girart della Fratte, re di Vienna e della Provenza.

I numerosi manoscritti catalogati sotto la voce Chanson d’Aspremont descrivono tutte e tre queste situazioni (e solo queste) e si differenziano soltanto per il modo come viene gestito il punto c): schierandosi dalla parte di Naime che viene presentato come modello corretto di feudatario o schierandosi dalla parte di Girart e della sua autonomia nei confronti dell’imperatore.

De Mandach considera pro Plantageneti (e quindi anglo-normanni) coloro che si schierano dalla parte di Girart, mentre considera pro Carlomagno (e quindi franco-normanni) coloro che si schierano contro Girart e presentano Naime come modello ideale di feudatario. De Mandach osserva che i primi manoscritti sono anglo-normanni, cioè che la Chanson d’Aspremont nasce in lingua anglo-normanna, probabilmente in un periodo che va dal 1187 (data della caduta di Gerusalemme che era stata liberata nel corso della prima Crociata, nel 1099) al 1191 (data in cui termina il soggiorno di Riccardo Cuor di Leone a Messina, durato dall’agosto 1190 all’aprile 1191). Solo successivamente le “versioni anglo-normanne sono state contaminate e francesizzate, ampliate, abbreviate, infarcite per il pubblico della Francia” (De Mandach 1975, p. 3). 

Date queste premesse, de Mandach assume come modello base della propria pubblicazione una delle versioni italianizzate (il Venise VI dei Gonzaga di Mantova). Per intendersi, egli definisce “versione italianizzata” della Chanson una versione sempre in lingua normanna, ritrovata in Italia, e rispondente ai bisogni politici dei Normanni o dei loro successori, mentre la vera “versione italiana” una versione scritta direttamente in lingua italiana.

La versione italianizzata, pubblicata da de Mandach, racconta di una visita dell’arabo Sobrin in Francia. Diversamente da Balan, altro feudatario del re Agolant, che ci va come ambasciatore, Sobrin ci va sotto mentite spoglie, come spia. Il ruolo di Sobrin è presente solo nelle versioni italianizzate e non in quelle anglo-normanne o franco-normanne.

Dopo tutte queste considerazioni, de Mandach passa a considerare la struttura della Chanson e spiega perché essa è sempre apparsa, nel passato, illogica e disordinata. Egli afferma che una vittoria in battaglia importante di Girart sarebbe stata ottenuta al di sopra di Bagnara Calabra, in una larga valle alla quale si sarebbe arrivati per due valli diverse, aggirando le forze maomettane a tenaglia. Poi, sostiene che la morte di Aumont, figlio di Agolant, sarebbe stata presso una fontana sopra Bagnara, ma non chiarisce se verso monte (Gambarie) o verso Reggio (Risa) o verso il piano (Planitiae Sancti Martini). Infine, afferma che i preparativi fatti dai Saraceni per la battaglia finale si sarebbero svolti (ma la cosa è presentata solo come un’ipotesi) a La Gambaria (Gambarie).

Un ultimo problema discusso da de Mandach è il problema della descrizione della corte di Agolant in Africa. Questa parte del racconto sarebbe presente solo in alcuni manoscritti e non in tutti. De Mandach sostiene che tutta l’ambientazione di questa prima parte è italiana e che, quindi, sarebbe stato un redattore dell’Italia del Nord ad avere scritto questa parte per riprodurre l’unità del dittico: cioè il fatto che la struttura della Chanson debba essere simmetrica. Questa ipotesi nascerebbe dalla circostanza che le versioni più antiche dei manoscritti mancano proprio di questa parte (De Mandach 1975, p. 19).

Già nel 1852, Paulin Paris ha trovato naturale l’assenza di questa prima parte dei manoscritti conservati in Francia, quando ha sostenuto che i Francesi hanno teso a usare più strumentalmente la struttura originale del testo, mentre gli stranieri hanno preferito rispettare di più il testo. “Gli stranieri, egli sostiene, che avevano accolto le prime redazioni dei nostri poemi eroici, le avevano conservate dentro la loro integrità primitiva, e senza le addizioni e le soppressioni fatte per gli ascoltatori francesi del XIII secolo. È permesso pensare che il bisogno di fortificare l’unità di composizione e di non moltiplicare troppo le scene di consigli hanno fatto cadere in desuetudine questi primi quadri, ai quali si sono tuttavia fatte delle allusioni frequenti nel seguito” (De Mandach 1975, pp. 19-20).

 

Nella seconda Introduction, del 1980, de Mandach sostiene che il processo di francesizzazione è stato operato al fine di depurare i testi dell’epopea pro Plantageneti e di inserire degli elementi religiosi “alla San Luigi”, sovrano di Francia che ha organizzato la VII e la VIII crociata morendo nel 1270, nel corso di quest’ultima. Un testo che risulta francesizzato è quello che è stato pubblicato da Louis Brandin, il cui primo manoscritto, secondo de Mandach, data a circa il 1300. In questa seconda introduzione, de Mandach sostiene che la torre-fortezza costruita dai Saraceni si trova sopra Bagnara e che il risultato della battaglia vinta da Girart della Fratte è stata la conquista della torre-fortezza di Bagnara (ma non si capisce attraverso quali valli si sia compiuto l’aggiramento e in quale grossa valle si sia svolta la battaglia).

Egli sottolinea ancora che la differenza tra la versione della Chanson da lui pubblicata è talmente diversa da quella pubblicata da Louis Brandin che si ha la sensazione di avere a che fare con due canzoni completamente diverse (De Mandach 1980, p. 12). Questa differenza sarebbe più che sulla descrizione degli eventi, su considerazioni di rilevante significato sociologico. Le considerazioni più importanti di de Mandach riguardano gli attori sociali come sono descritti nell’opera, una descrizione che egli assume come tanto più significativa quanto maggiore è il valore poetico dell’opera (quindi il pubblico che si è riuscito a interessare nel tempo). Siccome la Chanson d’Aspremont ha un grande valore poetico e ha avuto nei secoli un grande successo di pubblico, la rappresentazione della società, la visione sociologica, sottostante all’opera va considerata particolarmente importante.

Nella introduzione del 1980, de Mandach afferma di avere sostenuto, più o meno nel 1975, al tempo della prima Introduzione, ma in un saggio diverso da questa, che la Chanson fornisce una rappresentazione molto variegata del complesso mondo medioevale: “Questa canzone mette in evidenza i poveri, le vedove, i cavalieri senza averi, o ministeriali, [mentre] dall’altra parte, favorisce i nobili, i proprietari terrieri, e attacca l’impresa dei servi e dei plebei. Detto in altro modo, il suo redattore ha in mente una larga diffusione, e tenta di salvare capra e cavoli” (De Mandach 1980, p. 28). Immediatamente dopo, aggiunge: “È evidente che la Chanson d’Aspremont è in qualche modo un’opera di propaganda che riflette diversi punti di vista e che non è possibile tirarne delle conclusioni chiarificanti direttamente la situazione sociale dell’epoca. L’autore dell’Aspremont presenta tutta la gamma delle classi della società feudale della sua epoca. Egli mette in valore la nobiltà, come fanno del resto tutte le altre chansons de geste, ma egli innova nel non ignorare le classi più sfavorite e non disinteressandosi dei poveri cavalieri, delle vedove e degli orfani” (De Mandach 1980, p. 28). 

La conclusione, su cui non si può non essere d’accordo, arriva più avanti: “Riassumendo, la Chanson d’Aspremont si presta ammirabilmente a una analisi socio-letteraria, sia a causa delle tensioni sociali multiformi che vi si esprimono, sia a causa delle numerose trasformazioni socio-politiche che si sono prodotte quando il testo ha subito dei rimaneggiamenti successivi” (De Mandach 1980, p. 34).

Quello su cui mi sento di dissentire da de Mandach è il seguente punto: e se l’autore della Chanson non fosse uno che cercava di salvare capra e cavoli, ma fosse un autore che attingeva a precedenti versioni orali della Chanson? In questo caso, quella che appare una contraddizione sociologica è forse la conseguenza di un obiettivo politico calabrese: la Calabria è di cultura greca e la sua tradizione orale della resistenza ai Saraceni esalta inevitabilmente la funzione sociale svolta da classi non ancora egemonizzate dai Normanni. Perché non pensare che le versioni anglo-normanne della Chanson (le prime in assoluto) rispondano all’esigenza di affermare un nuovo clima culturale più favorevole ai Normanni e alle classi sociali che li sostengono in Calabria? Sappiamo, infatti, che l’Aspromonte ha qualche volta resistito agli Svevi ancora alla metà del XIII secolo (assedio dei castelli di Santa Cristina e di Bovalino, che non cedono). Sappiamo, poi, che, sottomessa la Sicilia, Manfredi riceve la resa di Santa Cristina e Bovalino e, con esse, di tutta la Calabria. Poi, con il 1269, finisce la dinastia sveva in Meridione e, con essa, la funzione politica della Chanson. La Chanson non serve più agli scopi politici della dinastia d’Angiò che vi si sostituisce (anche se si tratta, spesso, di Angiò in qualche modo imparentati con gli Svevi).

Ed è, per questo che, forse, qualche decennio dopo la fine degli Svevi cominciano le nuove stesure delle versioni franco-normanne della Chanson.

Nel 2008, François Suard pubblica una di queste versioni franco-normanne della Chanson d’Aspremont. Nella sua introduzione, egli non si discosta, comunque, dall’impostazione di de Mandach. Così facendo, distingue tre tipi di manoscritti, riprendendo la classificazione di de Mandach:

1)  I manoscritti anglo-normanni (Suard 2008, p. 38);

2)  I manoscritti normanni (Suard 2008, p. 39) che de Mandach chiamava franco-normanni;

3)  I manoscritti italianizzati, con i quali tutti si riferiscono a Venise IV e Venise VI depositati alla Biblioteca Marciana di Venezia (Suard 2008, p. 39).

Manca, come del resto mancava anche in de Mandach, qualsiasi riferimento ai manoscritti italiani più tardi (il primo manoscritto alla fine del XIV secolo e l’ultimo pubblicato a stampa nel 1527). Rispetto a de Mandach, Suard si limita ad aggiungere una serie di altre considerazioni, alcune delle quali sono molto interessanti.

Egli sottolinea, in particolare, che esisteva da tempo una tradizione relativa alla presenza di Carlomagno nel Sud d’Italia. Chiarisce che se ne parla nella Chanson de Roland, che è poco meno di un secolo precedente alla Chanson d’Aspremont (Suard 2008, p. 11). Altri avevano parlato di conquiste immaginarie e di un viaggio di Carlomagno in Oriente, dopo essere passato per Napoli e per la Calabria (Suard 2008, p. 12).

Inoltre, Suard suggerisce l’esistenza di dati storici di cui è difficile non tenere conto: il raid effettuato in Calabria dall’emiro Ibrahim de Kairouan che ha inviato suo figlio Abd-Allah a prendere le ultime città della Sicilia orientale e, poi, a iniziare l’offensiva lungo la penisola; ma siccome suo figlio non compie questa seconda missione, il padre lo sostituisce e, nel 902, egli stesso comincia l’invasione della Calabria deciso ad arrivare fino a Roma. L’impresa si ferma, però, a Cosenza dove, durante l’assedio, l’emiro muore di dissenteria. Secondo Suard, il conflitto che contrappone il figlio Aumont e il padre Agolant ricorderebbe il fatto storico del conflitto, del 902, tra l’emiro e il figlio (Suard 2008, p. 12).

Il problema è che questa tentata invasione viene realizzata quando sono già stati costruiti vari castelli, dai Bizantini, nell’Aspromonte (il castello di Santa Cristina), vari castelli intorno a Reggio (le cosiddette “Motte”), il castello di Catanzaro, etc. e nella Chanson non si accenna affatto a questi castelli. Si parla solo di un muro e di una torre costruite intorno all’Aspromonte dai Saraceni e non dai Cristiani. Inoltre, il punto più alto dell’Aspromonte viene descritto, nella Chanson, come un luogo fantastico dove vivono grifoni e animali selvaggi di ogni genere (Suard 2008, p. 13). Questo spinge Suard a ipotizzare che la prima versione assoluta in anglo-normanno della Chanson possa essere stata scritta da un normanno di Sicilia (che non conosce la Calabria) o da un poeta normanno del Nord d’Europa che abbia temporaneamente seguito le truppe crociate a Messina (Suard 2008, p. 14) dove Riccardo Cuor di Leone si ferma dall’agosto del 1190 all’aprile del 1191 (Suard 2008, p. 15). Questo normanno non avrebbe avuto, quindi, una conoscenza diretta della montagna detta Aspromonte.

Questo poeta normanno, e qui Suard si differenzia di quello che sostiene de Mandach, non sarebbe favorevole ai Plantageneti, ma starebbe facendo propaganda per la terza crociata e userebbe la Chanson per incitare all’unità i Cristiani. In questo senso andrebbe interpretata la descrizione che propone della contrapposizione e competizione tra Carlomagno e Girart della Fratte (Suard 2008, p. 14).

L’autore, continua Suard, conosce certamente una delle canzoni, scritte in precedenza, sul conflitto tra Carlo (non si sa se Carlomagno o Carlo Martello) e Girart (Suard 2008, p. 26), anche se la Chanson ispiratrice principale rimane la Chanson de Roland (Suard 2008, p. 27).

Vi sono poche differenze tra il testo curato da Suard e de Mandach. Le due versioni, infatti, hanno solo qualche centinaio di versi di differenza. Le più rilevanti modifiche sono di natura politica e riguardano Girart. La laisse 67 è particolarmente significativa in quanto quella di Suard parla di Girart circondato da tutti i suoi baroni (e quindi lo descrive come un re autonomno dall’Imperatore), mentre quella di de Mandach parla di Girart come di un vassallo (ovviamente di Carlomagno).

Il manoscritto base utilizzato da Suard sarebbe stato scelto al fine di presentare la versione più completa e coerente possibile della Chanson francesizzata o franco-normanna (Suard 2008, p. 39). Egli ipotizza, infine,m che l’autore del manoscritto base possa essere un Normanno della Normandia Francese (Suard 2008, p. 40).

La conclusione di questa prima fase di analisi si può sintetizzare in due punti:

1)  Gli studiosi delle versioni anglo-normanne e franco-normanne ipotizzano l’esistenza di due obiettivi politici diversi, anche se non concordano su quali essi siano. Infatti, de Mandach ipotizza una Chanson favorevole agli Inglesi contrapposta a una versione favorevole ai Francesi, mentre Suard ipotizza una Chanson pro crociata contrapposta a una versione favorevole alla concezione religiosa che si afferma con Luigi IX di Francia, dopo la morte di questi nel 1270;

2)  Anche se gli autori delle principali versioni anglo-normanne e franco-normanne della Chanson non conoscono l’Aspromonte, sono evidenti tanti residui di descrizioni dell’Aspromonte che fanno pensare che precedente a queste due versioni normanne della Chanson esistesse una epopea di storie e di racconti orali fatta da cantastorie che conoscevano benissimo i luoghi che descrivevano. Particolare attenzione deve essere data anche al particolare della costruzione di una torre saracena. A proposito di questa torre, nei Cantari d’Aspramonte, scritti in Italiano alla fine del XIV secolo, si legge più volte che quella torre ancora esiste ed è visibile (cioè a quattro secoli dagli eventi descritti e dalla costruzione della stessa).

Il secondo punto ci porta a non considerare gli altri manoscritti nell’ordine di produzione, ma in un ordine diverso che permette di chiarire il punto relativo alla torre. La prossima seduta sarà, quindi, dedicata alle due versioni, pubblicate in versione completa, in Italiano della Chanson. Della terza, con selezione antologica di pochi argomenti (curata da Carmelina Sicari) si parlerà in altre seduta.

 

Vari sono i manoscritti della Chanson d’Aspromont, in versi o in romanzo, che sono presenti nelle biblioteche italiane (oltre ai due Venise IV e Venise VI che sono in lingua normanna e si trovano alla Biblioteca Marciana di Venezia). Limitatamente alle versioni manoscritte della Chanson d’Aspremont, Mario Boni ne elenca una dozzina così distribuiti: otto nelle biblioteche di Firenze; tre nelle biblioteche di Roma; e uno in una biblioteca di Venezia (Boni 1951, p. X). Le edizioni critiche complete di questi manoscritti sono solo due ed è su queste che faremo, per il momento, le nostre considerazioni. A queste si aggiunge una antologia (o selezione di parte) pubblicata da Carmelina Sicari di Reggio Calabria.

È stata pubblicata, a stampa, nel 1951, l’edizione critica, a cura di Marco Boni, del romanzo di Andrea da Barberino, dal titolo L’Aspramonte. Romanzo cavalleresco inedito. Trenta anni dopo, nel 1981, a cura di un allievo di Boni, Andrea Fassò, sono stati pubblicati a stampa i Cantari d’Aspramonte in versi. Nel 1991 viene pubblicata l’antologia di Sicari.

Queste tre versioni accreditano l’ipotesi che l’obiettivo vero dell’attacco a Risa e all’Aspromonte era quello di risalire la “Terra Lunga” e conquistare Roma. In questo senso, questo può accreditare il fatto che l’impresa che dà lo spunto a questa storia è quella del 902 che si ferma a Cosenza (dove l’emiro che la guida muore durante l’assedio). Nelle intenzioni dell’emiro, infatti l’obiettivo era quello di prendere la Calabria risalire la penisola (la “terra lunga”), prendere Roma e scacciare il Papa e, quindi accerchiare l’Impero Romano d’Oriente prendendo Vienna e scendendo lungo i Balcani. Se questo fosse successo, sarebbe seguita una immediata avanzata dalla Spagna per prendere in una morsa i Franchi.

Quello che non corrisponde all’impresa del 902 è il fatto che Reggio Calabria non ha opposto, allora, e nemmeno nel 901, alcuna resistenza. Anzi, l’impresa di saccheggiare Reggio, realizzata nel 901, fu realizzata con così poche difficoltà che l’emiro si convinse che la Calabria fosse una terra facile da piegare rapidamente con una ben organizzata spedizione. Invece, l’impresa fu fermata a Cosenza, ma soprattutto perse gran parte della propria carica iniziale per gli attacchi alle retrovie che dovevano portare i vettovagliamenti alle truppe che avanzavano. Questi attacchi si realizzarono soprattutto tra l’Aspromonte e la Sila. La sosta a Cosenza, conseguenza della perdita di slancio dell’invasione, e l’assedio ne furono le prime conseguenze, con quel che ne seguì.

Inoltre, in quell’occasione, non fu realizzato alcun muro intorno all’Aspromonte. Questa idea di un muro intorno all’Aspromonte si riferisce più facilmente a episodi successivi al 902 in quanto il momento in cui i Saraceni arrivarono vicini a circondare l’Aspromonte (pur lasciando al suo interno delle sacche di resistenza), fu il periodo successivo quando, nel 922, i Saraceni hanno occupato, per la prima volta, Sant’Agata (Oppido) che si trova nell’Aspromonte settentrionale e nel 977 la hanno rioccupata, questa seconda volta restandoci almeno dieci anni. In questa seconda occasione, vi è anche una contemporanea occupazione di Gerace e Bovalino. Queste ultime due città sono state conquistate nel 985. Essendo Sant’Agata e Gerace molto vicine, anche se separate dalla cresta settentrionale dell’Aspromonte, è come se i Saraceni, occupando quelle due importanti città, avessero quasi per intero circondato l’Aspromonte.

Tuttavia, in nessun momento, per quel che si sa l’Aspromonte viene circondato per intero, perché perlomeno il castello di Santa Cristina non cade e non viene, quindi, interrotto il passaggio di truppe sulla strada del crinale dei monti che unisce S. Cristina (e l’Aspromonte) a Catanzaro (e la Sila). Catanzaro, è l’altra imprendibile fortezza del tempo costruita dal generale Flagizio alla fine del IX secolo, per ordine del grande generale Niceforo Foca.

Sulla discesa dei Franchi in Calabria, a parte una battaglia sul Gargano, si ricorda anche la liberazione, nell’868, da parte di Ludovico II, di Cosenza riconquistata dai Saraceni, nel IX secolo, dopo la conquista dell’852, la perdita del controllo della città, un tentativo di occupazione fallito nel 902, e così via.

I Franchi scendono ancora in Meridione per la Battaglia del Gargano, nel 915. Battaglia che viene combattuta tra una Lega dei Cristiani e i Saraceni. La battaglia dura tre mesi. Ci sono anche i Bizantini nella Lega che combatte contro gli infedeli Saraceni.

Cosenza viene contesa da Saraceni, Franchi e Bizantini e reiterate volte distrutta, fino alla sua definitiva riedificazione del 988, che è anche l’anno in cui diventa evidente che l’obiettivo dei Saraceni di poter occupare stabilmente la Calabria è destinato a fallire.

In queste due versioni in Italiano della Chanson, il figlio del re Agolant, Aumont, sconfitto duramente dai cristiani in due successivi scontri, si rifugia per passare la notte sulla cima di un monte come se l’Aspromonte fosse un luogo tranquillo, privo di armati. E più avanti si parla, infatti, delle “abbandonate Alpe d’Aspramonte” (Da Barberino 1951, p. 120).

Si raccontano episodi che daranno luogo a problemi o a soluzioni di questioni che sorgeranno nei decenni successivi. Segno questo del significato tutto politico dell’opera che svolgeva la funzione di mezzo di propaganda.

Si dice che fu presente alla battaglia il Santo Padre, il Papa, ma non se ne fa il nome. Si dice anche che ci sono dei figlioli di Bernardo di Chiarmonte, uno dei quali Lione, fu poi Papa. Si fa un gran parlare di corni che vengono suonati, come a Roncisvalle. Ci sono uomini che vengono da tutta Europa per partecipare alla battaglia. I Saraceni sono descritti come adoratori di idoli e di molti dei, tra cui anche Maometto, Marte, Giove, etc., non come monoteisti. In alcuni passi essi si autodefiniscono Pagani in contrapposizione ai Cristiani.

Non ci sono nomi di spiagge, di colli e di valli, tranne che per la Valle di Pinella che prende questo nome per la grande quantità di pini che vi si trovano e una fonte silvestre o “fonte di Santo Salvestro, il quale abitò in queste montagne al tempo di Gostantino imperatore, inanzi che Gostantino si battezzasse, e fece questa fonte, e pose quello pino e quello ulivo” (Da Barberino 1951, pp. 143-4) che sono ai due lati della fonte. È tuttavia solo una leggenda quella secondo cui Papa Silvestro, poi santificato, sia mai stato in Calabria.

Comunque, quella di San Silvestro è la fonte dove Orlando ucciderà Aumont per salvare lo zio Carlomagno che sta perdendo il duello con il principe saraceno.

Nel romanzo, da Barberino scrive che Re Carlomagno vede il faro di Messina tutto coperto di navi intorno. E che lo vede anche il Papa.

Si sostiene, inoltre, che combattono con le schiere cristiane San Giorgio (che aveva combattuto con Ruggero I conte d’Altavilla), san Dimitrio e san Mercuriale. Questi santi fanno cavaliere d’Iddio Orlando nipote di Carlomagno. Nel racconto, occorrono sette giorni di battaglia per sconfiggere uno dopo l’altro tutti gli eserciti di Agolant, re Saraceno.

Poi, però, uno dei figli di Agolant, più altri, dalla penisola iberica passano in Francia, e da qui ad Acquamorta, dove passano il Rodano, e bruciando Provenza e Savoja, in attesa che il padre arrivi dopo aver conquistata l’Italia, si dirigono a Vienna. E dopo varie lotte, vengono sconfitti.

È così poco credibile che Vienna possa essere attaccata dalla parte di Costantinopoli, che Andrea da Barberino si inventa uno sfondamento in Francia e un arrivo a Vienna delle truppe saracene per completare la terna di battaglie combattute da Carlo Magno per difendere l’Europa e la cristianità: quella dalla Spagna è già ampiamente nota e descritta nella Chanson de Geste e porta alla morte di Orlando.

L’ultimo tema che è presente nelle versioni italiane della Chanson, e a dire il vero è presente in tutte le versioni di questa, è il tema della torre costruita dai Saraceni in un punto non precisato del muro che circonda l’Aspromonte. La torre, inoltre, non è solo una torre, ma piuttosto una città fortificata, perché i Saraceni mettono intorno alla torre “molte magioni” (Fassò 1981, p. 62) nelle quali far riposare un esercito.

Prima di passare alla descrizione della storia come raccontata in queste versioni in Italiano, passiamo a considerare i Cantari relativamente ai versi in cui si parla della torre saracena. I versi in cui se ne parla sono i seguenti:

Cantare VIII

Ottava 53

… “Baroni, qui non sia [verun] ripiglio,

ch’i’ vo’ fare fondare un ricco castello

per [i]stare sicuro sanza niun periglio

(in) sul più alto luogo d’Aspramonte

Dinanzi a tutta quanta nostra fonte.

Ottava 54

Questa sarà la guardia di nostra oste:

una gran Torre con molte magioni.

Per tutta la Puglia guerreggeranno

Insino a Roma andar se ne potranno”

Ottava 55

“Far fe’ quella torre i’su quel camino

Qual ancor oggi vi si può trovare …” (Fassò 1981, pp. 62-3).

Cantare IX

Ottava 2

“Dissi di quella torre ch’ancor ène

In Aspramonte sul camino scorto” (Fassò 1981, p. 64).

Cantare XIX

Ottava 49

“e così in quella torre si ritenne

la quale torre Agolante fe’ fondare

e ancora si può nel paese trovare;” (Fassò 1981, p. 238).

Nei Cantari d’Aspramonte, scritti alla fine del XIV secolo, per ben tre volte si sostiene che la torre saracena è ancora esistente e visibile in Calabria (Cantare VIII, Ottava 55; Cantare IX, Ottava 2; Cantare XIX, Ottava 49). ;a vediamo di commentare i versi, cominciando dai primi quattro riportati sopra: sono versi che seguono alla fine della battaglia per Risa, vinta da Saraceni, e si parla della sorte di Galiziella (di cui si dirà ampiamente più avanti), nell’ottava n. 50, e dell’insediamento della moglie di Agolant nel palazzo di Reggio, nell’ottava 51. Nel palazzo reale di Risa, dopo mangiato, nell’ottava 53, il re Agolant dichiara il suo intento: per consolidare i territori acquistati (stare senza pericolo), occorre costruire una torre nel luogo più alto di Aspromonte, davanti a tutta quanta nostra fonte, cioè nel luogo più avanzato dei territori conquistati. Questo luogo, preso alla lettera, dovrebbe essere Montalto. Solo che a Montalto non è che la torre avrebbe avuto una grande funzione militare e se lo avesse avuto sarebbe stata una funzione esclusivamente difensiva, di chi vuole difendere quanto ha già conquistato (non di chi aspetta Carlomagno, ma di uno che lo attende per sconfiggerlo e riprendere l’offensiva). 

 Lo stesso Agolant, nell’ottava 54, sostiene che devono fare una politica aggressiva andando a conquistare la Puglia e Roma (Fassò 1981, p. 63). Quindi, la torre deve avere una funzione difensiva all’interno di una strategia offensiva. Per questi intenti offensivi e insieme difensivi, si può escludere che il luogo dove è stata costruita la torre possa essere Montalto, che poteva avere solo significato all’interno di una strategia di difesa ad oltranza. Come si è già detto, de Mandach ha inizialmente ipotizzato che la torre fosse a Gambarie, che non è però il punto più in alto in assoluto, come non lo è nemmeno Bagnara, altro luogo vicino al quale de Mandach, in seconda battuta, colloca la torre e la battaglia. Ma già in questa ipotesi, il luogo più alto non viene inteso in assoluto rispetto al monte, ma in senso relativo, rispetto al fronte occupato dai Saraceni. E questo ci riporta al vecchio problema: Gambarie, prima scelta di de Mandach, è un posto possibile, e anche Bagnara, seconda scelta di de Mandach, ma solo se si accetta l’ipotesi che il fronte occupato dai Saraceni è solo la parte dell’Aspromonte più vicina a Risa e che la parte più impervia dell’Aspromonte sia ancora in mano cristiana. Invece, il dato storico oggettivo ci dice che il fronte saraceno più avanzato si trova nella Planitiae Sancti Martini (interamente controllata dai Saraceni) e questi ci porta a concludere che siano questi i territori da difendere con la torre. Mentre si tenta una strategia offensiva verso la Puglia e Roma, la torre di contenimento dei cristiani è quella che protegge la Planitiae dalle offensive che vengono dall’Aspromonte. In questo caso, il luogo più adatto, a difesa della Planitiae, è probabilmente Oppido vecchio.

Questa ipotesi, tuttavia, presuppone che si prenda maledettamente sul serio un altro dato storico: le truppe di Carlomagno non sono da intendere come truppe dell’imperatore dei Franchi (questa è la mistificazione imposta, per scopi politici, dai conquistatori normanni), ma come truppe dell’imperatore bizantino e le truppe di Girart sono da intendere come le truppe della guerriglia che operano in Aspromonte unite, forse, anche a quelle che operano in Sila.

I versi successivi, dell’ottava 54, precisano che la “guardia di nostra oste”, cioè la posizione di difesa del nostro esercito schierato, deve essere una gran torre con molte abitazioni, cioè una città fortificata.

Nel romanzo Aspramonte di parla pure della torre e si dice che in essa si ferma, al ritorno dall’ambasceria, l’ambasciatore di re Agolant, Balan. “E volse il cavallo verso Italia, e tante giornate cavalcò che giunse in Aspramonte, e albergò alla torre che ‘l re Agolante aveva fatta fare; e l’altra mattina cavalcò verso Risa, e trovò lo re Agolante fuori di Risa per suo piacere presso al reale padiglione, e l’ombra di certi alberi, con molti baroni” (Da Barberino 1951, p. 58). Proprio il fatto che si sia fermato a passare la notte sembra suggerire che si ferma appena arrivato in Aspromonte, non dopo averne attraversato la maggior parte (come ipotizza lo storico reggino Castrizio che colloca la torre in una delle Motte che circondano Risa).

Questo pernottamento di Balan a Reggio prima di arrivare a Risa suggerirebbe come sede più probabile della torre un luogo all’inizio della montagna, appena finita la cavalcata nella piana. Quindi, come sede della torre, andrebbe escluso Bagnara che fa pensare a un aggiramento dell’Aspromonte, e anche Gambarie che è già oltre Montalto, verso Reggio e indicherebbe una gran parte della montagna già attraversata. Inoltre, la Chanson avvalora la sensazione che Balan faccia una cavalcata facile per attraversare l’Aspromonte, perché trova la torre e vi si ferma. Invece, l’ambasciatore di Carlo, Naime, che prende una strada sbagliata diversa da quella della torre, e si inerpica nell’Aspromonte più impervio, finisce per fare una grande fatica salendo e risalendo per monti e valli, traversando fiumi e superando burroni. In altri termini, la torre non si può dire che sia posizionata nel punto più alto e impervio, bensì su una strada di passaggio. Si legge, infatti, nel romanzo: “Non si potrebbe dire la grande fatica ch’egli [il duca] sostenne. E per la via ch’egli fallò non vidde la torre che aveva fatto fare Almonte” (da Barberino 1951, p. 80).

Ultimo argomento: in tre ottave molto distanti tra loro, i Cantari sostengono che la torre eretta da Agolant ancora esiste (ed è evidente che quell’espressione “ancora esiste” si riferisce almeno alla fine del 1300). Una torre con alcune caratteristiche tali per cui avrebbe valso la pena di tenerla e utilizzarla esiste in un luogo dell’Aspromonte ed è, appunto, la città di Oppido Vecchio. Qui c’è stata fino a metà del XV secolo, forse anche fino alla fine del secolo, una torre che poi è stata inglobata, e nascosta, dentro una torre quadrata aragonese. Perché tenere in piedi la torre anche se nascosta alla vista? Perché inglobarla dentro un’altra torre? Ma soprattutto, perché una città che prima si chiamava Sant’Agata, al tempo in cui i Saraceni la occuparono per ben due volte, diventa con il ritorno dei Bizantini una città che prende il nome di Oppidum, cioè città fortificata? La risposta a quest’ultima domanda può consistere nel fatto che i Bizantini, liberata Sant’Agata, decidendo di mantenere le fortificazioni costruite dai Saraceni, hanno deciso solo di adeguare il nome alla nuova situazione. La città, così fortificata, viene, dopo poco tempo, utilizzata come nuova sede vescovile della diocesi di Taureanum. Questa città, nel X secolo, era diventata troppo insicura e, dopo un provvisorio trasferimento a Seminara, finisce per essere definitivamente trasferita a Oppido. Poiché il primo documento attestante che la sede vescovile si è trasferita a Oppido, sulle prime balze dell’Aspromonte settentrionale, è del 1048, cioè prima della conquista Normanna, la decisione di utilizzare la città fortificata dai Saraceni è stata bizantina.

I Normanni, poi gli Svevi, poi gli Angiò e infine gli Aragonesi hanno confermato questa decisione. Questo ci porta al perché si sia deciso di tenere la torre anche dopo che il sistema di costruzione si è modificato, portando alla precedente trasformazione delle torri circolari con torre quadrate. Insomma, perché quella città fortificata dai Saraceni era importante da salvaguardare?

Una prima risposta può consistere nel fatto che i Saraceni, con la loro grande maestria nella gestione della canalizzazione delle acque là dove l’acqua è scarsa, avevano fatto grandi lavori idraulici per la raccolta delle acque in modo da dissetare una popolazione molto più vasta di quella che aveva sempre abitato quel sito. Il problema per cui Sant’Agata era sempre stato un piccolo centro che non poteva svilupparsi molto consisteva nel fatto che non ci fosse molta acqua sorgiva in quel monte piatto militarmente interessante. Per aumentare la disponibilità idrica, i Saraceni hanno costruito dentro la torre e alcune abitazioni, delle tubature per portare l’acqua piovana a dei grandi pozzi. Per quanto riguarda le abitazioni, è stato realmente trovato questo sistema di tubi che, passando all’interno delle colonne degli edifici, portava l’acqua piovana dal tetto ai pozzi. Un identico sistema di tubi potrebbe esserci stato anche nella torre, per aumentare la portata dell’acqua raccolta. La torre non è stata ancora esplorata in base a questa ipotesi.

Una seconda risposta alla domanda può essere la seguente: alla fine del 1300, la torre saracena sarebbe stata ancora visibile. A quella data ci sono ancora, a governare il Regno di Napoli, sovrani della dinastia degli Angiò. Il passaggio agli Aragonesi si ha nel 1442. Dopo questa data, la torre saracena smette di essere visibile (è la nostra ipotesi) e viene dimenticata. Sparisce dentro una torre quadrata che ingloba la torre rotonda saracena. Perché costruire una torre quadrata che inglobi una torre rotonda, perdendo spazio per le manovre militari? A mio parere, perché questo sistema di due torri una dentro l’altra si configura come un tentativo di rafforzare la torre di fronte al ruolo sempre più importante che i cannoni stanno svolgendo negli assedi. Questo, però, presuppone che la torre quadrata sia stata costruita dopo il 1480, quando i cannoni cominceranno ad essere considerati fondamentali sul piano militare, e prima del 1509 quando, nell’assedio di Padova, si scopre un sistema migliore dello spessore di mura di pietra (un sistema di muri di mattoni o pietra che contengono, davanti e dietro, un intercapedine di terra con la funzione di assorbire l’impatto delle cannonate).

La torre quadrata di Oppido è rimasta intatta anche al tempo del grande terremoto del 1783 e solo in un periodo molto più recente l’incuria degli uomini ha permesso che parte della torre quadrata si sgretolasse e riapparisse la struttura circolare interna. La spiegazione che è stata data da alcuni antropologi è che la torre rotonda fosse costruita dagli Angiò i quali costruivano fortezze con torre rotonde e che la struttura quadrata fosse stata sovrapposta dagli Aragonesi che avevano un diverso sistema di costruzione delle fortezze, basata su torri quadrate. È, questa, una interpretazione che non spiega la decisione di lasciare la torre all’interno e non spiega il perché solo gli Angioini debbano aver costruito la torre, quando, oltre a questi, anche gli Svevi, i Normanni, i Bizantini e i Saraceni costruivano torri circolari.

 


  • fb iconLog in with Facebook