Lungo le strade dei Romani
- Fortunato Nocera
Non è facile per noi oggi identificare, sulla base di ciò che rimane sul territorio, i tracciati delle antiche strade che, durante il Medio Evo ed i secoli successivi, percorrevano le valli del massiccio aspromontano. Se fosse possibile promuovere un’indagine mirata, servendosi della fotografia aerea, della lettura più attenta degli antichi documenti, dello studio più approfondito della toponomastica di determinate aree geografiche, si otterrebbero senza dubbio sorprendenti scoperte in merito alla viabilità interna ed ai collegamenti tra le due sponde dell’estrema penisola calabrese.
In mancanza di questo tipo di ricerca, alcuni storici del territorio hanno fatto ricorso a congetture, la cui plausibilità è però spesso confortata da indiretti riferimenti documentali, dalla residua toponimia, o da tracce di antichi lastricati. E’ evidente, però, che un territorio come l’Aspromonte, così martoriato dalle calamità naturali come terremoti, alluvioni, disboscamenti, eventi franosi imponenti, ha potuto conservare molto poco della sua antica morfologia originaria; e ciò non aiuta certamente chi cerca di individuare, attraverso la lettura dei segni sul terreno, le antiche strade. Nel caso della strada che abbiamo ribattezzato Via di Pompeo Basso disponiamo sia di indizi consistenti che di prove documentali certe, ancorché indirette. Gli indizi di ordine storico sono:
1) I romani che, come è noto, furono i più grandi costruttori di strade dell’antichità, una volta conquistato il Bruzio, ebbero la necessità di penetrarne il territorio aspro ed ostile,in primis per ragioni militari, poi per ragioni economiche quali il trasporto del legname, l’estrazione ed il trasporto della pece e quindi, verosimilmente, provvidero ad attrezzare il territorio con vie di comunicazione adatte. Il prof. Minuto ci ricorda uno studio di G.P. Givigliano Origini e sviluppo della rete viaria nel Brutium che parla di questa Via che, percorrendo la stretta regione mesopotamica tra il Bonamico e il Careri e, passando per Pietra Cappa, raggiungeva la montagna e quindi i paesi tirrenici.
2) Il fatto che su questo itinerario, in età bizantina, fosse stato costruito un monastero. San Giorgio di Pietra Cappa, di non trascurabile importanza e grandezza, edificato con materiale recuperato dalle rovine di un tempio greco, come attestano le colonne, i marmi policromi, i mosaici che certamente dovettero essere stati trasportati dalla marina, dove presumibilmente sorgeva il tempio; trasporto impossibile senza una via di comunicazione.
3) La circostanza che fin, dall’età normanna e fino a quella angioina e parte di quella aragonese, il territorio di Sinopoli, Santa Cristina, Bovalino, Potamia, e tutta la baronia di Bianco, facessero parte di un unico comprensorio feudale appartenente ai Ruffo, i quali per il controllo del territorio di un così vasto dominio, necessitarono certamente di una via di comunicazione interna che attraversasse velocemente ed in sicurezza l’ Aspromonte nel punto più agevole.
4) Infine, per l’individuazione del tracciato di questa via “interna” disponiamo di un riferimento storico su base documentale inoppugnabile. Si tratta dell’apprezzo del feudo di Bovalino, Careri e Potamia che l’agrimensore napoletano Pompeo Basso compilò su commissione del Signore di Grotteria Alessandro Loffredo. Il conte di Grotteria voleva comprare lo stato feudale, come poi ha fatto, per il nipote Sigismondo Loffredo dal conte di Condojanni Vincenzo Marullo. Siamo nel 1586, ma il Basso si rifà, per alcuni dati, ad una platea del 1528.
Leggendo attentamente il documento cinquecentesco si riesce a capire, seguendo i toponimi riportati (alcuni dei quali ancora in uso), quale potesse essere il tracciato della via che veniva percorsa dai mercanti, dai pellegrini, e dai pastori, e che congiungeva i paesi dei due versanti appenninici.
La via, dalla parte ionica, aveva inizio dalla località San Nicola in Bovalino Marina, vicino al ponte del fiume Careri e, salendo verso il Bosco santo Polito, raggiungeva successivamente le terre di Macrolito, oggi Macrolis per proseguire nella foresta… detta caruso, oggi Carruso; da qui salendo per il verrone della ginocchiata del paladino (oggi inginocchiata del Paladino) proseguiva per il lacco della nadrici (oggi piani Cicerati), dove ancora oggi esistono i resti di una strada lastricata, lambiva Pietra Cappa e, salendo verso lacco Carlello (oggi Carrelli) seguiva per Cropanella (oggi Cropanelli) e attraverso il passo della Ciarasara raggiungeva il serro Sturchio (oggi Monte Fistochio) vicino a Vacali (oggi Vocali), ed in fine la terra di Santa Cristina.
Questa ricostruzione della strada di valico, in base agli indizi ricavati dall’Apprezzo di Pompeo Basso, sembra, a chi conosce il territorio, la più convincente, e quindi la più probabile.