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Montalto, anno 823. Uomini e Lupi

  •   Pino Gangemi
Montalto, anno 823. Uomini e Lupi

Si sveglia di soprassalto. Qualcuno gli tira le braccia. D’istinto si afferra a qualcosa che sembra scivolare via dalle sue mani. Apre gli occhi e vede la testa di un cavallo che tira le briglie che egli stringe con forza. Il cavallo è visibilmente spaventato. Si volta alla sua sinistra, nitrisce e cerca di liberarsi. L’uomo guarda nella stessa direzione. Lontano vede un lupo che viene verso di loro. Il cavallo dà un ultimo più forte strattone. L’uomo si sente mancare le forze e gli sfugge la presa. Le braccia sono intorpidite. Ricadono pesantemente per terra. Guarda il cavallo fuggire via. Per salvarsi, attraversa i bordi della radura, sprofondando nella neve. Zoppica. Forse perché la camminata lo fa considerare più debole e, quindi, una preda più facile dell’uomo, il lupo si gira in direzione del cavallo. Mostra adesso il fianco. Appare un secondo lupo dietro il primo. Poi un terzo. Un quarto. Un quinto. Corrono in fila. Sprofondano nella neve più del cavallo, in proporzione alla loro altezza. Ma sono cacciatori, più organizzati della preda. Il primo della fila affonda le zampe nella neve e gli altri passano sulle sue orme. Ogni venti metri circa, questi cede la guida al secondo e si mette in coda. Si stanca e cede il passo ai più riposati. Vanno più veloci del cavallo. Lo raggiungono al limitare della radura, dove comincia la scarpata e il bosco. L’uomo guarda per un attimo la violenta e feroce scena. I lupi saltano al collo dell’animale e lo stramazzano a terra. Lo finiscono recidendo la giugulare esterna che porta il sangue alla testa. Ha pena per se stesso. Sa che, appiedato, ha meno possibilità di salvarsi. Se arrivassero altri lupi, se fossero tanto numerosi da doversi contendere il posto intorno alla carcassa del cavallo, verrebbero a prenderlo. «Se fossi riuscito a trattenere il cavallo per le briglie e salirci in groppa, ci saremmo salvati insieme» pensa con rammarico. «Come farò adesso?» e a questo punto se ne accorge. «Non ricordo niente! Non so chi sono! Non conosco il mio nome! Non so nemmeno in che luogo mi trovo». Guarda la neve. «È fresca. Deve avere nevicato molto nei giorni scorsi». Si accorge che la neve, su cui ha poggiato la faccia, è rossa. «Probabilmente per il sangue che ho perduto. Devo sapere se la mia ferita sanguina ancora!». Si lava la faccia e la testa con neve bianca. Vede che diventa rossa. Prende altra neve e si lava ancora. Il rosso è meno intenso. Si lava ancora e ancora. Guarda la neve nella sua mano e la vede bianca. «Non sanguino più». Muove le gambe. Le sente intorpidite, ma non sente dolore o impedimenti. Con fatica si alza. Qualcosa gli sbatte sulla nuca. Mette le mani dietro le spalle e tocca una faretra mezza piena di frecce. «Deve esserci un arco qui intorno o sul cavallo». Guarda lo spuntone di terra sul quale si trova e non vede alcun’arma. «Quali sono le mie opzioni?» si è chiesto e si risponde. «Andare via senza armi o tentare di riprendermi l’arco?» valuta il fatto che nessun lupo si è aggiunto ai primi cinque. «Potrei aspettare che si sazino». Rimane pensoso per qualche minuto. «Ho bisogno di un’arma». Si guarda intorno e trova un grosso e pesante legno che raccoglie subito. «Ho fame e la mia mente ne risente. Devo mangiare qualcosa». Si tocca la cintola. Trova una fiaschetta di vino e una sacca con della carne secca. Beve un sorso e si sente salire nel corpo una vampata di calore. Mastica e mangia, mandando giù con il vino. «Festina lente!». Sa che è un’espressione latina: affrettati con lentezza! Fino a quel momento ha pensato in greco. Si guarda intorno. I lupi sono ancora intenti a sbranare il cavallo. «Nessun altro lupo è sopraggiunto. E sto riprendendo le forze». Ancora un po’ di tempo ad attendere e i lupi cominciano a dare segni di sazietà. Non si allontanano però dalla preda. L’uomo medita di avvicinarsi al suo cavallo e riprendersi le armi. «Il vento è a mio favore. Se arrivo vicino senza farmi odorare e se corro, urlando e agitando il grosso legno, forse riesco a farli scappare». Pensa ai pro e ai contro. «Gli animali sono poco combattivi quando sono sazi». Si dice per convincersi che quanto cerca di fare sia saggio. Poi gli viene un altro dubbio. «Da dove prendo questa sicurezza? Perché mi sento sicuro che questa sia la cosa migliore da fare?». Attende ancora un po’. «I lupi sono sazi». Comincia a muoversi, lungo i bordi della radura, procedendo sotto gli alberi, verso i lupi. Appena gli sembra lo abbiano odorato, si alza e fa l’ultimo tratto correndo, urlando e agitando il bastone. I lupi si allontanano di qualche metro. Trova subito l’arco ancora appeso alla sella. «Un arco composito! Dovevo aspettarmelo». Sa che non farà in tempo ad armarlo. Vede la spada sotto la pancia del cavallo. Poi, vede la grossa scure. Getta il legno e afferra la scure. Si sente sicuro. Il lupo più grosso, intanto, si è ripreso dalla sorpresa e ringhia, mostrando i denti. L’uomo urla e mette tra sé e il lupo la scure. L’animale deve guardarla se vuole vedere gli occhi dell’uomo. Abbassa gli occhi e gira la testa. Lo stesso fanno gli altri lupi, appena più lontani. Si allontanano, nello stesso modo in cui sono arrivati. L’ultimo della fila volge, ogni tanto, il viso verso l’uomo ancora all’erta. Uno sguardo alla carcassa del cavallo morto fa capire a quest’ultimo che quello non può essere il suo cavallo e nemmeno un vero cavallo per la guerra. «Capisco anche perché sia fuggito, invece di restare accanto a me, ferito, all’arrivo dei lupi». La sicurezza e determinazione mostrata nel valutare le situazioni e il cavallo morto gli fanno capire che è un guerriero. Gli restano, però, altri problemi. «Chi sono? Come mi chiamo? Chi mi ha ferito? Chi sono i miei nemici?». Sulla bianca tunica sopra la corazza, una larga macchia di sangue copre in parte i contorni di una rossa croce.


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