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Motticella – “U cuntu i me stessa”

  •   Carmine Verduci
Motticella – “U cuntu i me stessa”

Ai piedi del “Monte Scapparrone” 1058mt slm, alle propaggini sud orientali dell’Aspromonte sorge l’abitato di Motticella, poco più che una cinquantina di abitanti, il  nome Motticella deriverebbe dall’epoca normanna e secondo il Prof. Sebastiano Stranges “La Motta” era una fortificazione spesso ottenuta da terrapieno, ma “MOCTA” era anche un terreno paludoso. Motticella potrebbe essere o luogo con piccola torre, o luogo con piccola area paludosa, fangosa.  Si sa anche di un centro vicino all’abitato dove i monaci praticavano le cure termali, e le vasche potrebbero essere quelle che un tempo erano destinate alla cura di malattie della pelle (pratiche termali utilizzate fino agli anni ‘60), secondo altre fonti invece “Motticella” significherebbe  “Piccola Fortezza”il luogo di questa fortezza viene indicato in una casa detta anche

“Castello”.

È facile raggiungere Motticella…(Frazione di Bruzzano Zeffirio), si ha la possibilità di attraversare valli e paesaggi di straordinaria bellezza, specie in primavera quando le vallate si riempiono di colori per il risveglio della natura.

Visitando il paese, è facile imbattersi nella cordialità della gente che ancora vi abita,  e degli anziani del luogo che sono ospitali proprio come vuole la cultura di questo nostro Sud dal cuore grande e dalla dignità nobile.

La gente qui è dedita ancora alla pastorizia e all’agricoltura, tra le vecchie case abbandonate e disabitate è facile anche incontrare qualche vecchina che è sempre disponibile a raccontarti una delle tante leggende che aleggiano  in questo luogo, durante la mia escursione al paese mi è capitato di ascoltare una delle leggende che mi hanno tanto affascinato e mi ha fatto anche un po sorridere , ed è il caso della leggenda chiamata:

“U cuntu i me stessa”

La leggenda narra che a Motticella vi era un luogo con una grande roccia ed una grotta dove vi era un grande fico d’india, dentro questa grotta vi abitavano delle “Zingare”, conosciute dalla popolazione come “streghe”, si diceva  rubavano rubassero i bambini e si mormorava che erano solite cucinarli in grandi pentoloni  per  farne il sapone detto:(a vucata).

Si racconta che un giorno una giovane madre aveva il suo bambino nella culla(a naca)e mentre era intenta a friggere delle Zeppole accanto al suo focolare vicino all’uscio della porta d’ingresso una di queste streghe, attirata dal buon profumo delle zeppole, entrò con aria sospetta…,  la giovane donna non voleva dare tanta confidenza alla strega, perché era rivolto  al suo bambino in culla che dormiva,  la strega avvicinandosi  sempre di più a lei, ad un certo punto gli chiese come si chiamasse il piccolo, la donna dopo varie insistenze da parte della strega gli rispose con tutta franchezza: «si chiama me stessa»!

la strega però non contenta continuava insistentemente ad a girargli attorno e chiese alla donna cosa stesse facendo nel focolare, la donna ignorando le continue domande cercava di ignorarla , all’improvviso la strega avvicinatasi troppo alla padella sulla quale  intanto friggevano le zeppole, gli schizzò l’olio bollente addosso, ella scappò via di casa urando dal dolore che gli provocò l’olio bollente sul viso, e le sue urla richiamarono le sorelle alla grotta le quali sentendola gridare accorsero per vedere cosa le stesse succedendo, avvicinatesi chiesero «Che cosa è successo…»? e la sorella con le lacrime agli occhi urlava e diceva «Mi hanno bruciata… mi hanno bruciataaa…»!

allora le sorelle gli chiesero « chi è stato…chi è stato…»?! 

E lei rispose: «me stessa…»!

Le sorelle a questa risposta l’apostrofarono«e allura chi voi i nui..?! Pistati a facci e ciangiti sula»

( traduz.) – e cosa vuoi da noi allora…sbattiti la faccia e piangiti da sola…!

Una curiosa leggenda che oltre al macabro ed al mistero ha dell’ironia di sottofondo. Un racconto davvero simpatico, che riecheggia ancora tra le vie abbandonate e deserte di un paesino che all’ombra dello Scapparrone ha ancora molte di queste storie da raccontare ,che meritano senz’altro un’attenta analisi, perché è risaputo che ogni storia ha delle verità di fondo per cui alcune delle leggende che oggi arrivano fino a noi e che si tramandano di generazione in generazione, non sono solo favole  o racconti per suscitare paura o terrore, ma sicuramente fanno parte di una cultura antica che ancora è fortemente radicata in usanze apotropaiche e antiche credenze popolari, che oggi arrivano a noi  in maniera quasi del casuale, contestualizzate all’interno di borghi che stanno morendo, non solo a causa dello spopolamento, ma anche a causa del poco interesse dimostrato negli anni, causato da forti malesseri sociali che hanno caratterizzato vicende e storie di cronaca attuale. E che hanno contribuito anche a  creare aloni di incertezza, all’interno di quelli che furono piccoli paesi dell’entroterra, fatti di storia e cultura millenaria, che oggi ha riscoperto l’interesse dei pochi appassionati che amano apprendere e conoscere tutti i misteri, di una Calabria misteriosa e da riscoprire.


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