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Nei giorni di Cristo

  •   Tiziano Rossi
Nei giorni di Cristo

Un tempo la Settimana Santa si esprimeva mediante manifestazioni di fede aventi come tema dominante la morte di Gesù. Erano, quelli, i giorni in cui la Filodrammatica stabile, diretta dallo scrittore Massimo Rodinò, nei locali dell’asilo infantile, rappresentava La Passione di Cristo.

IL GIOVEDÍ SANTO La mattina era caratterizzata dalla funzione religiosa che prevedeva la “lavanda dei piedi” ai 12 apostoli. Le campane della Matrice suonavano fino al Gloria, ma quando aveva luogo l’elevazione del calice, di colpo tacevano per dare spazio alle tocche (battole), i cui colpi simboleggiavano le frustate che i giudei avevano inflitto a Gesù durante il cammino verso il Calvario. Per la grande occasione, bravissimi predicatori passionisti, giunti da ogni parte d’Italia, con garbo e religiosità, illustravano la Passione di Cristo, sfoderando, dall’alto del pulpito, parole di dolore e dolcezza al contempo, che toccavano il cuore dei molti gioiosani presenti alla singolare funzione religiosa. «Vieni! Vieni! O Vergine Maria a prendere tuo Figlio!» diceva, commosso, il predicatore, indirizzando la voce verso la Madonna che, avvolta nel suo nero mantello, portata a spalla da alcuni fedeli, entrava dalla porta principale della Matrice per raggiungere il pergamo e ricevere tra le braccia il Figlio morto. IL

VENERDÍ SANTO Ai primi chiarori dell’alba del Venerdì Santo la statua della Vergine in lutto andava in cerca del Figlio, accompagnata da una processione che si snodava per le vie del paese, con grande partecipazione di fedeli. La sera dello stesso giorno, poi, la statua della Vergine in lutto seguiva le spoglie del Figlio morto, in un’altra processione caratterizzata dal canto sommesso dei fedeli che si avvicendavano a portare i due simulacri. Anticamente, la bara di Cristo era portata dai nobili del paese, quella della Madonna era affidata alle braccia della gente del popolo. Il gruppo ligneo della Pietà, opera del bravissimo scultore locale Domenico Scarfò, ancor oggi, sfilando per le vie di Gioiosa, testimonia di un’epoca non molto lontana che ha visto grandi e piccini commuoversi durante la lunga processione del Venerdì Santo. E poi i Simburchi (Sepolcri). Gesù, crocifisso, deposto sul pavimento delle varie chiese del paese, sopra un cuscino di velluto, riceveva la visita dei gioiosani che gli rendevano omaggio, chinandosi per baciarlo con vera e distinta devozione.

IL SABATO SANTO Nella Chiesa Matrice, la benedizione dell’acqua e del fuoco: le campane si scioglievano per annunciare la resurrezione di Cristo e i contadini sollevavano al cielo rametti d’arancio e d’ulivo per la benedizione, invocando, attraverso gesti simbolici, un raccolto abbondante. Tra nuvole d’incenso, centinaia di piccole mani innalzavano al cielo, avvolta in un tovagliolo bianco, la ‘nguta (dolce a forma di paniere, con un uovo sodo posto al centro) mentre il prete spandeva acqua benedetta.

La Domenica (di Pasqua), infine, la sbelata! Dalla Chiesa Matrice venivano portate due statue sul piazzale scosceso della Confrontata: avanti quella di San Giovanni Battista e, dietro, quella di Gesù risorto.
 Intanto dalla Chiesa del Rosario, che allora si trovava nella piazzetta prospiciente al municipio, veniva portata a spalla la Madonna, avvolta in un velo nero. Il Battista iniziava, allora, la spola, percorrendo per tre volte la strada tra Gesù e la Madonna, annunciando a quest’ultima che il Figlio era risorto.
 Al terzo viaggio, San Giovanni si faceva da parte. I portatori delle due statue prendevano la rincorsa e, sotto gli occhi bagnati dei fedeli, la Madonna, andava velocemente incontro al Figlio risorto, liberandosi del nero mantello, tra applausi, lacrime, suono di campane a stormo e la banda che intonava la grande marcia della gloria.


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