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Nino Martino cacciadiavoli, bandito o "riequilibratore della ricchezza"?

  •   Giuseppe Pentimalli
Nino Martino cacciadiavoli, bandito o "riequilibratore della ricchezza"?

È storicamente accertato che Nino Martino, noto con il nomignolo Cacciadiavoli, a partire dal 1570 e per almeno 15 anni cominciò “a battere la campagna […] intorno all’Aspromonte”. 

Nel 1576, mentre a Reggio Calabria infieriva la peste, Nino Martino ed altri banditi (Marcello Scopelliti, Consalvo Marino, Colangelo Crupi, Giovanni Michele Toscano) “entrarono in città, proclamandosi difensori del popolo contro l’oppressione dei nobili”. Crupi e Marino erano originari della fascia ionica reggina, mentre Toscano e Scopelliti erano della fascia tirrenica (Toscano operava nella piana di Gioia Tauro e Scopelliti tra Scilla e San Roberto). 

Nino Martino era originario di Sant’Eufemia d’Aspromonte. Sul piano economico-sociale c’era la lotta per l’accaparramento del commercio della seta. In seguito ad una massiccia riconversione delle campagne alla gelsicoltura negli anni ‘70 del 1500 sulla fascia tirrenica del territorio reggino emersero in maniera plateale due protagonisti indiscussi: da un lato Fabrizio Ruffo, conte di Sinopoli e primo principe di Scilla, “quale esponente singolarissimo di un baronaggio” che sfruttava su vasta scala il commercio della seta; dall’altro Nino Martino, che fu il paladino dei diritti esistenziali delle masse degli emarginati e dei poveri cristi e operò in modo da “sottolineare l’emarginazione sociale e la conseguente rivolta della montagna”. 

Il viceré pro tempore diede l’incarico a Gian Alfonso Bisbal, conte di Briatico filospagnolo, di combattere il banditismo, che nel 1582 subì duri colpi, ma non fu debellato completamente e dovunque, se Nino Martino continuò a scorazzare nell’Aspromonte ed altri banditi continuarono ad operare quasi indisturbati in altre parti della Calabria, spesso in combutta con i baroni per via dei reciproci interessi. Anche se l’operato ed il modo di vivere dei baroni era tollerato per ragioni politiche dal governo dei viceré spagnoli, in una relazione burocratica del 1576 Nino Martino è definito “Ygualador de las haciendas” e cioè “Riequilibratore della ricchezza”. Va detto a scanso di equivoci che “da uno spirito ribelle ad ogni oppressione derivò la deplorevole piaga del brigantaggio ed i tanti fatti di sangue… non furono altro se non l’inevitabile prodotto della necessità di vivere che spinse l’uomo, posto fuori dalla società e dalla legge, al danno altrui e al delitto”. 

Ha una valenza sociale e nel contempo culturale il fatto che un figlio di Nino Martino prese parte attiva alla congiura organizzata nel 1599 da Tommaso Campanella contro il governo degli spagnoli in Calabria. Dopo la sua morte la figura di Nino Martino diventò leggendaria e in zona grecanica si diffuse la frase “èkhi tin numinata tu Ninu Martinu” (hai la fama di Nino Martino) per parlare di una persona conosciuta da tutti e non sempre per le sue buone azioni. 

Ma Nino Martino era un mito anche da vivo, se addirittura circolava tra la gente una “Storia di Nino Martino” in versi. Ne riportiamo la strofa seguente, tramandata oralmente nel dialetto di Sant’Eufemia d’Aspromonte: 

Sci! Ch’è beḷḷu lu jiri ḷḷaffora 

nta muntagna cu Ninu Martinu!

Leva li so cumpagni a la rriali, 

vestuti di damascu supraffinu, 

pani jancu nci duna a mangiari, 

lu cumpanaggiu mai nci veni minu; 

non li leva a li frichi funtani, 

ma nci duna n’utri chjnu i vinu. 

(Oh! Com’è bello andare fuori in montagna con Nino Martino! Tratta gli amici come fossero re, li veste con damasco sopraffino, dà loro pane bianco da mangiare con companaggio a portata di mano; non li fa bere ad una fresca fonte, ma dona loro un otre di vino). 

 

Nei pressi di Montalto, nel comune di Sant’Eufemia d’Aspromonte c’è il toponimo “Chjazza i Ninu Martinu” (piazza di Nino Martino), che sta ad indicare una radura di alta quota (circa 1700 metri s.l.m.) dove presumibilmente si riunivano i banditi per prendere decisioni di un certo rilievo sul piano sociale ed economico. 

 

Il banditismo in Aspromonte ebbe sicuramente risvolti negativi, ma anche lati positivi quando agiva in difesa dei diritti di sopravvivenza negati alle masse contadine dai potenti di turno (i Ruffo nel Cinquecento o lo Stato Unitario nell’Ottocento). Basti ricordare un altro famoso bandito, Giuseppe Musolino di Santo Stefano d’Aspromonte, che operò alla fine del 1800. 

 

Anche se gli atti di estrema violenza vanno comunque condannati, c’è da dire che sul piano storico-sociale va capita la reazione ai soprusi perpetrati ai danni della povera gente.

 


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