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Paesi abbandonati: quei palazzi coperti dai rovi

  •   Carmine Verduci
Paesi abbandonati: quei palazzi coperti dai rovi

Si è scritto e si continua a scrivere tanto, sulla straordinaria storia dei nostri borghi dell’entroterra aspromontano, orma ridotti a ruderi. Si è anche risvegliato un certo interesse nel riscoprire il nostro passato e la nostra identità, interesse che sta crescendo, soprattutto nelle nuove generazioni, forse interessati a ricomporre i tasselli della storia mancanti.

Questa riflessione, affonda la sua origine da una considerazione confidata qualche tempo fa ad un mio amico ricercatore, con cui ho avuto il piacere di confrontarmi.

Paesi, questi dell’Aspromonte, che stanno cadendo nell’oblio, o meglio ancora,  nel dimenticatoio. Tanti spesso intraprendono la ricerca storica perché sperano magari di trovare un loro ipotetico legame con la “nobiltà”. E forse pure per questo molti lati della nostra cultura, stanno passando quasi in secondo piano, mentre invece sarebbe più interessante analizzare gli aspetti umanistici e della vita sociale dei nostri antenati, piuttosto che andare a ricercare aspetti nobiliari che spesso sono inesistenti, o di poco conto.

Leggiamo spesso che i nostri antichi centri, ubicati molte volte, su alture o luoghi impervi, erano costituiti da castelli o palazzi feudali, come nel caso specifico di Brancaleone Superiore. 

Da un recente sopralluogo, ho notato che sul promontorio dov’era sito il castello, di cui già parla il De Angelis (nella sua pubblicazione: Brancaleone -Tra cronaca e storia “le origini” edito da Ursini ), nella parte inferiore rivolta ad est è possibile osservare i resti di antiche mura, composte da pietra locale d’arenaria e laterizi (cocci e mattoni misti a tegole), quasi a cingere il promontorio, in una sorta di cintura di contenimento o terrapieno; resti di una fortificazione ulteriore, alla cui sommità si ergeva l’edificio.

Resti murari che è possibile scorgere anche nella parte rivolta a nord del suddetto luogo. Forse è quel che rimane del portico dov’era ubicato probabilmente il ponte levatoio, adiacente alla piazzetta Vittorio Emanuele (denominata anche: Piazza del Ponte).

Tracce tutt’oggi nascoste dalla vegetazione e dalla tipica macchia mediterranea, arbusti e fichi d’india cresciuti a ridosso delle antiche vestigia, come piante parassite, quasi a sembrar  preservare le ultime tracce della storia dall’indegnità dell’uomo moderno.

Il motivo per cui spesso si legge sui testi storici, circa la dismissione di questi palazzi feudali, sta nell’uso comune di alcuni proprietari che acquisirono tali proprietà, nel riutilizzare i materiali per costruire altri edifici, che poi unito alle catastrofi naturali che subirono  e subì tutto il territorio sconvolto da terremoti ed eventi climatici estremi, e ai vari passaggi di proprietà, hanno contestualmente cancellato ogni traccia visibile e tangibile di tesori antichi come castelli, palazzi e strutture nobiliari, che oggi avrebbero di sicuro un valore storico inestimabile.

D’altronde è la sorte che è  toccata a numerosi centri storici, come Staiti (di cui non esiste più traccia del palazzo feudale), Roghudi (trasformato in abitazione) Bova e Pentidattilo (dove sono parzialmente visibili solo alcuni impianti dell’antica fortificazione del castello), e poi ancora Condojanni (resti della torre e qualche metro di cinta murarie),  e molti altri centri calabresi della fascia jonica reggina.

All’inizio, quando appresi da queste fonti storiche, che spesso e volentieri  tali edifici, vennero rasi al suolo dai proprietari o dalla popolazione stessa, che ne riutilizzava i materiali, per costruirne altre abitazioni o palazzi, ero indignato, e attribuivo la colpa all’ignoranza e alla poca considerazione da parte dei proprietari terrieri che non tennero conto dell’enorme valore storico di questi edifici. 

Il modus operandi d’un tempo non è cambiato, anzi, addirittura è peggiorato! Infatti se da un lato nell’800 venivano dismessi i manieri ed i castelli assieme ai palazzi nobiliari, per far posto all’avanzata dell’era moderna e industriale, nei centri costieri, nati dopo la fine del 1700 e che fino agli inizi del ‘900 erano anch’essi caratterizzati da bellissimi palazzi di pregevole architettura, ubicati nelle vie principali del centro,  e che oggi ricordiamo, solo attraverso quelle poche fotografie o litografie sbiadite, è successa la stessa cosa: senza tenere conto dei vincoli architettonici sono stati rasi al suolo i vecchi palazzi per far posto a nuove costruzioni.

Considerando che l’industrializzazione, la modernizzazione qui in Calabria, e più nello specifico nella bassa fascia jonica, non arrivò mai, o arrivò con pessimi esempi, il ‘900 qui da noi  fece più danni che altro.

Dalla lettura dell’Apprezzo dello Stato dei Carafa anno 1689 di Carmine Laganà, che descrive minuziosamente le strutture urbane, comprese, chiese, palazzi e castelli feudali, notiamo che il castello di Brancaleone, era posizionato sul promontorio a ridosso del nucleo abitato, quindi svettava sul colle maestoso e dominando tutta la vallata. Oggi però non esiste la possibilità di immaginare com’era fatto, così come nella maggior parte degli antichi nuclei abitativi dell’Aspromonte, vittime delle catastrofi naturali, e anche della dimenticanza istituzionale e politica d’un tempo.

Purtroppo questo è un discorso che forse nessuno potrà e vorrà mai comprendere, poiché troppo intenti a costruire e dimenticare, piuttosto che a ricordare e tutelare.


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