Potamia. Memoria di un popolo
- Giancarlo Parisi
Risalendo il corso del torrente Buonamico, poco prima che le pareti della sua valle si restringano, è possibile scorgere in alto, seminascosti tra la vegetazione, alcuni ruderi. Si tratta dei resti di Potamìa, antico villaggio in cui vivevano gli avi dell’attuale paese di San Luca (RC). Il villaggio fu abbandonato ufficialmente il 18 ottobre 1592 a causa dei frequenti fenomeni franosi – l’ultimo dei quali (autunno 1590) lo distrusse quasi completamente – allorquando venne fondato l’attuale San Luca, su un sito più a valle e maggiormente sicuro dal punto di vista delle frane. Visitare luoghi simili a questo è un’esperienza affascinante e allo stesso tempo triste. Sebbene non sia distante dall’attuale centro abitato e nonostante a valle dello sperone roccioso su cui insiste (e sulla cui sommità si registra un’altitudine di 394 metri s.l.m.) si stendano numerosi campi coltivati ad olivo, Potamìa è ancora oggi densa dell’atmosfera di 400 anni or sono. Purtroppo il sito non è mai stato oggetto di studi archeologici e piani di recupero, che certamente avrebbero consentito di ricostruire la memoria storica e donare alle nuove generazioni una testimonianza del loro passato. Tutto è abbandonato al lento sfacelo del tempo. La vegetazione sta pian piano fagocitando ogni cosa e le intemperie stanno minando pericolosamente alla stabilità delle ultime vestigia. Sul sito si contano i resti di una ventina di abitazioni (18, secondo i rilievi di S.M. Venoso), di circa tre metri per cinque di superficie e sul punto più alto era collocata una chiesa, della quale non restano che pochi muri portanti e le tracce di una scala sull’entrata principale. Facendo una comparazione con alcune immagini pubblicate su uno dei Quaderni della Fondazione Corrado Alvaro (La Valle del Buonamico, 2005 – a cura di A. Vottari e F. Nocera) è possibile rendersi conto dei danni che hanno subito i resti della chiesa negli ultimi anni. Sotto il pavimento, ormai sprofondato, dell’edificio religioso è probabile che venissero seppelliti i defunti, calati attraverso una botola, in ossequio alle antiche usanze precedenti la legge sui cimiteri napoleonidi. Dal centro di quel che resta della Chiesa si scorge in lontananza la frana Costantino (che ha dato origine all’omonimo lago ormai quasi del tutto scomparso) ed il massiccio di Pietra Castello. Secondo Giuseppe Pontari – intervenuto nel convegno di studio tenutosi a San Luca tra il 16 e il 18 marzo 1990 in occasione del 400° anniversario dalla fondazione – Potamìa era un casale non fortificato, costituitosi sul finire del medioevo come propaggine del luogo per eccellenza fortificato ed assai più antico che era, appunto, Pietra Castello. L’Aspromonte cela fra i suoi boschi e i suoi costoni rocciosi, infiniti reperti e tracce della presenza umana. Soltanto pochi di questi sono stati oggetto di studio e portati a conoscenza del pubblico (e neanche in modo così capillare). Le amministrazioni, in primis, hanno storicamente dimostrato scarso interesse per il nostro passato e questo ha legittimato, nel corso del tempo, pratiche depredatorie su siti di estremo interesse storico. L’unico lato “positivo” di questo disinteresse consiste nell’atmosfera densa e incontaminata che è ancora possibile respirare in questi luoghi, ma la totale assenza di politiche di salvaguardia mina seriamente al perdurare di questo autentico patrimonio.