Precisazioni sull'intervista di Francesco Perri alla “Gazzetta”
- Redazione
«Mi è stato segnalato da amici la presenza di un testo, sul blog di un certo Gino Mittiga, nel quale si afferma che mio padre, Francesco Perri, avrebbe manifestato segni di adesione al fascismo, sulla base di una risposta da lui formulata nel 1939 alla “Gazzetta” a proposito di un’inchiesta sullo stato e le prospettive della letteratura italiana. Francamente, mi sembra del tutto fuori luogo ricordare qui le vicissitudini di mio padre, scacciato dalla pubblica amministrazione per la sua opposizione allo stato fascista, fare menzione della sua inaspettata vittoria nel concorso Mondadori, che era allora il maggior premio letterario esistente nel nostro paese, della rabbiosa reazione del partito fascista che mise al bando qualsiasi pubblicazione con il nome di Perri e della sua successiva incarcerazione per antifascismo. Tutto ciò è ormai storia assodata e non può venir scalfita dalle osservazioni di un quidam. Mi sembra invece di maggiore importanza prendere in esame le risposte di mio padre all’inchiesta della “Gazzetta”, che sono oggi il perno delle diffamatorie asserzioni del Mittiga.
Non v’è dubbio anzitutto che nel 1939, epoca della citata inchiesta (che è anche l’epoca che De Felice ha chiamato “del consenso”), dopo i successi di Mussolini in Africa e negli accordi di Monaco, il clima vessatorio instaurato dal regime fascista si fosse attenuato, ed è proprio in questo clima di auspicata pacificazione nazionale che il giornale la “Gazzetta” propose a mio Padre, che era ancora, nonostante tutto, un punto di riferimento culturale, di rispondere a una serie di quesiti sullo stato della letteratura italiana.
E veniamo allora al quarto punto di questa inchiesta nel quale è necessario rispondere all’insidioso quesito se il fascismo abbia i numeri per diventare materia d’arte. La risposta di mio padre è affermativa. Se gli ideali del fascismo sono quelli dell’eroismo, dello spirito di sacrificio, dell’orgoglio nazionale, del nuovo e dell’esuberante (e non v’è alcun dubbio che questi fossero i pretestati principi ideali ai quali il fascismo cercava di fare riferimento), ebbene sì il fascismo può avere i numeri per divenire materia d’arte. La risposta è in sé prevedibilmente banale. Affermare il contrario sarebbe come negare che i poemi omerici, lo spirito dannunziano, il futurismo, l’astrattismo, i novatori, possano avere una collocazione artistica. Tutti sanno che l’hanno avuta e non è necessario aggiungere parola.
Ma allora Francesco Perri ha anche manifestato cedimenti verso il regime fascista? Leggiamola bene la risposta di mio padre. L’affermazione positiva da lui fatta è vera e sostenibile solo se nasce “dall’individualità dell’artista” altrimenti diventa soltanto “propaganda”, se il prodotto artistico non è fatto “per commissione” perché in tal caso diviene “pessimo, sfiatato e bruttamente retorico, come ogni poesia d’occasione”, se non incensa la realtà che “si attua giorno per giorno”, non commenta “l’attuale e il transeunte” ma solo quanto viene “profondamente rivissuto” dall’artista. Chiunque ricordi, anche vagamente, quali erano le direttive fasciste in materia d’arte, come tutto fosse commissionato, teso alla propaganda e al commento enfatico di qualunque manifestazione del regime, non può che riconoscere che l’autentica risposta di mio padre era in realtà negativa. In caso contrario perché tutte quelle parole, quei distinguo, quelle remore, se non per dire: attenzione, una cosa sono i principi ideali e un’altra la pratica alla quale siamo costretti ad obbedire! Tutto ciò sembra a me perfino troppo evidente e banale. Direi che era il massimo che si potesse affermare su un giornale in quell’epoca di soffocante sottomissione. Non cambierei una virgola alla risposta di mio padre senza alcuna sensazione che ciò possa comportare l’idea di una sua adesione al regime fascista.
E, allora, quei commenti queruli del quidam? Direi.. soltanto un fastidioso brontolio di fondo».
Virgilio, Maria Teresa ed Eleonora Perri