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Quando Bovalino perse il suo “Cinema Paradiso”

  •   Antonella Italiano
Quando Bovalino perse il suo “Cinema Paradiso”

Bovalino, 8 febbraio 2006. Continuano i lavori di demolizione del vecchio cinema Ariston. I bovalinesi, di tanto in tanto, si fermano ad osservare. Dagli squarci, la luce si infiltra insidiosa riscoprendo le vecchie tribune impolverate, dai muri cadenti si intravede il palco, la cabina in mattoni, nella parte alta, ancora resiste. «Sono solo fantasmi del passato» dicono i giovani, mentre i più anziani tornano ragazzini.

Bovalino, 10 agosto 1944, sul suo nuovo quaderno Giovanni Ruffo annota: «Oggi ricorre l’anniversario della firma dell’armistizio con gli Alleati. Nel pomeriggio, con il biroccio, siamo andati al Bosco dal mio compare Barreca. Abbiamo mangiato formaggio, pane, uva, fichi d’india; abbiamo bevuto vino buonissimo. Al ritorno sono andato al cinema, dove hanno proiettato “L’assassinio del corriere di Lione”. Gli Alleati si trovano a pochi chilometri da Bruxelles (…) la famosa linea difensiva tedesca a nord di Firenze è stata sfondata».

Vincenzo Michelizzi era troppo piccolo per scrivere, lui il cinema lo visse in maniera diversa. Correva tutto il giorno tra la stazione e la sala di proiezione per portare le pizze all’operatore. «Consegnato l’ultimo film, invece di andar via – ci spiega Michelizzi – mi nascondevo per osservarlo mentre incollava la pellicola con l’acetone. Aspettavo che finisse la proiezione, poi, quando andava via, entravo nella cabina e provavo anch’io. Giocavo con i pezzi di pellicola fino a tarda sera».

Ricordi che le ruspe riportano in vita, storie che si intrecciano e si completano. Piccoli pezzi di mosaico raccolti per strada.

Bovalino, 24 settembre 1944, Ruffo scrive: «Stamattina sono andato a Messa. Abbiamo mangiato pasta e fagioli. Stasera hanno proiettato “Maddalena zero in condotta” con Carla Del Poggio, Roberto Villa e Vittorio De Sica. È la quarta volta che vedo questa pellicola». Michelizzi, frattanto, continua a fare prove, presto sarà un operatore cinematografico perfetto: «Quando diventai titolare al cinema Ariston avevo ventidue anni, – ricorda Vincenzo insieme a noi – quella sera proiettai “Tormento ed estasi” e “Tutti insieme appassionatamente”. Formai, con altri ragazzi, un’ottima squadra. C’era chi metteva i manifesti per tutto il paese per comunicare alla gente la proiezione del giorno, chi passava dal bar a far propaganda perché sapeva che gli “irriducibili” lo avrebbero seguito, ed io controllavo le “pizze”».

Le ruspe, addette ai lavori di demolizione, si sono appena fermate così, quando Michelizzi addita qualcosa dentro al cinema, possiamo avvicinarci alle transenne: «Il direttore D’Agostino non mancava mai allo spettacolo delle 21.00. Vedeva i film più volte e quello era il suo posto fisso. I bovalinesi non lo occupavano per questo. Don Carlo Romeo, invece, si sedeva dall’altra parte. Per la sala correvano i bambini che le mamme mi affidavano nel primo pomeriggio. I fratelli Cataldo, figli del panettiere, venivano a trovarmi spesso con i panini caldi. U frittularu era uno dei personaggi più strani. Faceva il reduce pluridecorato della guerra. Poi c’era un certo Morisciano che entrava alle 14.30 e vedeva tutti i film fino alle 20.00. Una sera non si accorse che la porta era chiusa e sia lui che il vetro fecero una brutta fine». Anche Ruffo ricorda questi tempi: «Era il miglior cinema della zona. Facevo il critico cinematografico per l’Unità e annotavo sui miei quaderni tutte le proiezioni. Era una struttura magnifica, sempre piena di gente. Ricordo i fans di Roberto Villa, gli appassionati di “Sangue e Arena”, gli instancabili dei Western. Un vero salotto cittadino. Il palco era riservato ai benestanti e alle scene coi baci tutti bisbigliavano scandalizzati». E qualcuno s’innamorava: «Vidi mia moglie per la prima volta al cinema – racconta per concludere Michelizzi – avevo appena fatto partire la proiezione di “Lassù qualcuno mi ama” ed ero sceso in sala. I nostri sguardi si incrociarono per caso. Lei era poco più che dodicenne».

Gli ultimi pezzi che i bovalinesi ci regalano, poi vanno via, forse un po’ malinconici ma… senza mai voltarsi indietro!


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