Reportage. A Cittanova non solo stocco
- Arturo Rocca
A guardar bene lo stemma sotto la corona comunale campeggia un verde pino sulla cima di un monte ed una stella a sei punte sopra due file di fusi del casato Grimaldi, perché sorto per iniziativa di Giovan Geronimo Oliva-Grimaldi, per cui si è portati naturalmente ai monti e non alle fredde acque dei mari del Nord. Eppure il nome di Cittanova viene sempre più spesso associato al pesce stocco, ma non è sempre stato così.
La storia
Casalnuovo di Curtuladi nasce, nel 1618, come centro di raccolta dei superstiti delle popolazioni di vari casali decimati dalle epidemie. Il paese si espande fiorente ma viene ferito gravemente dal sisma del 1638 e distrutto, seppur riedificato velocemente, dal terribile flagello che fu il terremoto del 1783. L’attuale nome è la semplificazione del nome Cittanuova, ratificato con decreto del 1852 da Ferdinando II di Borbone. Da allora il paese crebbe e si caratterizzò per le tante specificità legate alla sua posizione dominante su tutta la piana di Gioia Tauro e felicemente protetta da una catena montuosa che la fa assomigliare ad un enorme anfiteatro rivolto verso il mare. Cittanova è impreziosita dal corso di due fiumare che bagnano provvidenzialmente il suo territorio, Serra e Vacale, e che ne hanno segnato la storia e l’economia. Con i suoi 1708 ettari, che sono il 27,80% della superficie comunale, dota di preziose emergenze il territorio del Parco nazionale dell’Aspromonte. La capacità di rigenerarsi e rinvigorirsi Cittanova l’ha dimostrata non solo dopo il sisma del 1783 ma anche dopo gli anni di decadenza e terrore vissuti durante quella che fu una delle faide più lunghe e sanguinose della nostra provincia. Eppure il fuoco ha covato sotto la cenere e la barbarie non è riuscita a spegnere la speranza, le intelligenze ed il coraggio che si sono manifestati con l’avvento di una classe dirigente ed amministrativa che è riuscita a far superare e dimenticare i lunghi anni di buio e di paure.
Un centro attivo
A Cittanova sono fiorite iniziative sociali, culturali e amministrative di primo livello che hanno trasformato il volto della cittadina e del suo intero territorio. Nulla è stato trascurato nell’operazione di risalita, non la villa comunale, sapientemente curata, ma neanche gli angoli più reconditi che sono stati ripuliti, riqualificati ed utilizzati a scopi sociali. Non è stata un’operazione di facciata imbastita per autoincensarsi ma un duro lavoro di studio e innovazione cercati, voluti e realizzati da una politica con la “p” maiuscola. Il territorio è stato attenzionato nel suo insieme ed è partito un impulso a far rivivere la montagna con molte iniziative tese a valorizzarla, ivi compresa la pulizia e la rimozione costante dei rifiuti dai cassonetti imbelliti con mille colori da giovani writers. Sono stati tracciati sentieri, installate tabelle esplicative su geologia, flora e fauna, creati percorsi tematici sui ritrovamenti dei piani di Marco.
Il sentiero Europa 1
Fu grazie alla lungimiranza dell’allora assessore all’ambiente Giuseppe D’Amico che lo start di un segmento del sentiero Europa 1, curato dall’ associazione Gente in Aspromonte, fu dato proprio dal centro del paese e fatto risalire per monte Cuculo e transitando da Passo del Mercante ripercorreva la via Grande attraverso il villaggio Zomaro per proseguire poi nel territorio di Ciminà, Platì e Careri concludendo a Natile vecchio. Un filo rosso che unì le due “arretu marina” ripristinando un viatico già praticato nell’antichità. Eppure si rischia di accostare Cittanova solo al pesce stocco o la villa comunale. Senza nulla togliere alla produzione del merluzzo ammollato che delizia il palato dei suoi abitanti e non solo e rappresenta una valida attività economica né alla villa che ha molti pregi e rarità botaniche, è giusto metterne in luce altri aspetti.
I personaggi
Senza far torto ad alcuno dei personaggi che hanno dato e danno lustro al comune credo che chi ha saputo sinteticamente ed efficacemente rappresentare il territorio e l’anima del paese siano stati il compianto Domenico Raso e lo scultore Michele Zurzolo. Il primo, nato e cresciuto a Cittanova seppur trapiantato a Reggio con i piedi, è rimasto sempre qui con la testa. Il secondo docente di Liceo artistico che vive a Morbegno in Valtellina, provincia di Sondrio, che ha lasciato qui il cuore e due simboli scolpiti in due opere in pietra la prima dal titolo Il Sogno di Arianna posta a Cittanova nei pressi della villa comunale e l’altra, senza titolo, nella sede dei vigili urbani ma che meriterebbe un posto molto più evidente. Domenico Raso nella sua vasta produzione editoriale ha costantemente e volutamente evidenziato che la montagna per Cittanova non era l’altro da sé, ma che è il paese ad essere una sua costola. Il territorio montano non ha mai smesso di essere frequentato sin da quando l’uomo divenne stanziale. Raso ha messo in connessione tutti gli elementi utili per uno studio esaustivo dell’insediamento umano sui piani dello Zomaro, leggendo i suoi scritti si risvegliano tutti i folletti che abitano rocce e alberi e ci guidano in un percorso interessantissimo. I piani dello Zomaro Questa terrazza posta a circa 900 metri di altitudine è l’ultima della dorsale, con continuità nei piani Gulata di Canolo, e agisce da cerniera con le Serre e fu una via obbligata per tutti i popoli che transitarono nella provincia; la via Grande segnò un confine netto tra la piana sul Tirreno e lo Jonio scosceso e compresso dal mare. Che la montagna fosse fonte di sostentamento ce lo dice la storia ma ce lo dicono anche i tanti tentativi di valorizzarla, i piani dello Zomaro furono utilizzati dalle guarnigioni romane di Marco Licinio Crasso per sbarrare la strada a Spartaco, secondo Raso, ma vi sono segni di frequentazioni antiche non in funzione militare. Quello che più ci interessa è l’uso della montagna da parte di accorti imprenditori che precorsero i tempi investendo capitali per iniziative all’avanguardia. Basta percorrere a piedi il tratto che va da passo del Mercante al laghetto Crocco, zigzagando tra Scarpa della Pietra, puntone Maina, San Trabus, i ruderi di Palazzo, il Casino del Granduca, villaggio Zomaro, per avere un’idea di quanta ricchezza è possibile produrre e di quante occasioni perdute. Focalizziamo. Avvicinarsi al Casino del Granduca per la via principale vuol dire dirigersi dalla fontana di Morreale attraverso un corridoio di Abeti ultracentenari che incutono soggezione fino a sbucare nella radura dove insiste il rudere del Casino. Qui la nobile famiglia Acton impiantò un’azienda agricola senza trascurare di circondarsi di rarità botaniche che ancora oggi, pur tra il groviglio dei rovi, è possibile ammirare. Tassi secolari, tuia di varietà diverse, cedri del libano ed altre meraviglie costituivano il giardino incastonato su questi pianori che oggi appaiono in abbandono e frequentati da armenti che violano qualsiasi cosa, ma che rappresentarono per i cittanovesi un esempio di imprenditorialità illuminata, oggi proprietà della Curia vescovile in attesa di utilizzo.
Il sogno di Arianna
Anche gli Imperiale di Francavilla negli anni ‘60 crearono un’azienda agricola all’avanguardia che comprendeva una condotta per l’acqua necessaria ad innaffiare gli orti ed il giardino dal piano Crocco dove, con uno sbarramento in terra battuta, fu creato un laghetto che ancora resiste inutilizzato. All’epoca serviva un vaccarizzo, struttura ultramoderna per l’allevamento di bovini, e le coltivazione del piano di San Trabus. Tutte iniziative spazzate dalle mani di chi si appropriò della montagna con il silenzio complice dei funzionari dello stato che qui, come altrove, si dimostrò essere solo un participio passato. I vandali completarono l’opera con la distruzione delle strutture, quasi a voler cancellare la memoria di ciò che era e poteva continuare ad essere la via da seguire per uno sviluppo autonomo in netta divaricazione con l’ubriacatura industriale che spianò in un batter d’occhio gli uliveti della Piana. Come si ricordava dagli anni ‘80 un presidio di legalità e di democrazia riuscì a stabilirlo il coraggio di giovani amministratori non rassegnati al declino che si rimboccarono le maniche e guidarono il paese fuori dalle secche, anzi fuori dal labirinto. Costituirono per il paese quel filo di Arianna che permise a Teseo di sconfiggere il minotauro e che lo scultore Michele Zurzolo scolpì su pietra, nel 2001, il sogno di Arianna appunto, a simboleggiare questa vittoria sul mostro e per perpetrare l’augurio volle lasciare un’altra opera significativa in cui esprimere il carattere dei cittanovesi, oggi custodita negli uffici dei vigili urbani, che rappresenta una mano aperta con al centro una palla. Ha sintetizzato con questa la disponibilità e la franchezza della popolazione; ed ha immortalato anche la sua famiglia che reca, appunto, il soprannome di “mano aperta”.