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Rossi, il Dio della scatola magica

  •   Gioacchino Criaco
Rossi, il Dio della scatola magica

All’inizio degli anni settanta, per i ragazzi della vallata del Laverde, il mondo arrivava fin dove gli occhi vedevano e il posto più lontano stava dove le gambe avrebbero potuto portarti. L’universo era quello che giorno e notte stava in cielo e la terra si riduceva agli spazi delle rughe, delle piazze di paese e delle campagne circostanti. Il fuori era solo un racconto a piacimento fatto dagli emigranti di ritorno e dai loro figli. Ci mancava un’immagine, una visione intorno alla quale costruirci un sogno, seppur ricchi del solo bene privilegio dei poveri, la fantasia, stentavamo a inventare fino a quando arrivò lui, Rossi, il mago. Così magico da apparire, regalarci il mondo e svanire subito dopo, senza lasciare traccia. Comparve in paese, ad Africo, nell’estate incandescente del 1972 e se ne andò via con le piogge d’autunno. E io non ne seppi più nulla, né volli mai indagare su di lui. Ma i maghi, come dice il nome, sono magici e appaiono e scompaiono a piacimento. Così Rossi, il mago, l’ho rivisto l’altro giorno in un post del mio amico Vincenzo Stranieri, ho saputo che era di Sant’Agata, si chiamava Carlo, che era stato fatto di carne e ossa come tutti i mortali, e non c’era più da parecchio tempo. Ma io non credo a Vincenzo, io il mago l’ho visto all’opera in quell’estate torrida, ho assistito alle sue magie seguendolo su per la scala a chiocciola che portava in una stanza buia. Ho visto le luci colorate uscire dalla sua macchina portentosa e andare a disegnare su un muro in fondo a una sala indiani e cowboys che si combattevano con frecce e pallottole. Sullo schermo creato da Rossi c’ho visto gli eserciti romani, i grandi guerrieri greci, le dive americane e gli straordinari comici italiani. Era così magico Rossi che riusciva a far aprire la porta laterale col pensiero, un minuto solo, dopo che era iniziata la proiezione e i ragazzi delle rughe, che non avevano le cento lire del biglietto entravano a frotte a vedere i suoi incantesimi. Era così magico Rossi che il cinema oltre che nella sala lo portò in quasi tutte le case del paese, e proprio prima di sparire lasciò una scatola magica anche in casa mia, un televisore singer usato, che mio padre, con imbarazzo, disse che avrebbe pagato un poco alla volta, e il mago sintonizzò i canali, mi strizzò l’occhio e andò via, e non tornò più a esigere il suo credito.


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