“Sarvu Scialàta”, lo sposo “promesso”
- Salvino Nucera
Quando si dice il destino! Quelle serie di vicende imponderabili, inevitabili, imprevedibili che non riesci a cambiare e le subisci, sapendo di doverle subire. E, talvolta, ti condizionano, ti segnano l’intera vita. In positivo o in negativo. Irrimediabilmente. Partiamo dall’inizio. Verso la fine del diciannovesimo secolo, in una grigia serata autunnale, nell’antico borgo (catu chorìu) di Ghorio di Roghudi, “don” (appellativo di riguardo) Lorenzino Nucera, stava, prematuramente, passando a miglior vita, tra la profonda costernazione dei familiari riuniti attorno al suo capezzale. Tra questi, vi era pure il fratello don Agostino, (che in realtà, all’anagrafe, risultava essere Ferdinando. Tuttavia, i suoi numerosi figli, come da consuetudine, imposero ai loro rispettivi primogeniti non il nome di battesimo, ma il nome con il quale il loro padre veniva da tutti comunemente chiamato. Agostino, appunto) ricco proprietario terriero.
Al fratello moribondo che, a fatica, esprimeva preoccupazione per la sorte di una figlia preadolescente, Elisabetta (Bettina), troppo precocemente ed ingiustamente privata della figura paterna, con commozione e con fraterno senso di responsabilità, don Agostino s’impegnò col fratello morente, davanti a tutti gli altri congiunti, che della futura sorte di Bettina, con tutto l’affetto e la benevolenza possibili, si sarebbe fatto carico lui personalmente, in ogni circostanza. Sul volto scarno ed emaciato del fratello morente si scorse un’espressione di stentato, doloroso sorriso. Sapeva, era sicuro dentro di sè, che così sarebbe stato; ma nel momento della fatale, definitiva dipartita, quell’impegno preso dal fratello, al cospetto di tutti gli altri familiari, gli aveva procurato l’ultima sensazione di gradevolezza esistenziale. Era un impegno d’onore.
E così avvenne. Quando la ragazza, infatti, raggiunse quella che si definisce “età da marito” (che in quei tempi giungeva molto presto), lo zio “tutore” scelse, (ma quasi sicuramente, in cuor suo, aveva già scelto nel preciso momento in cui si era assunto l’onere di fronte al fratello morente) come promesso sposo di Bettina, il figlio suo primogenito Salvatore (Sarvu), che una volta cresciuto, divenuto adulto, verrà poi soprannominato “Scialàta” per la sua propensione al divertimento, alla baldoria e alla bella vita. Il giovane, come già detto, di carattere vivace, libertino e giocoso, appena appurò che era il “promesso sposo” di una sua prima cugina, non ne volle sapere. Non si sarebbe mai e poi mai unito in matrimonio con una sua consanguinea.
Giunto in età di matrimonio, quindi, si diede subito da fare. Si recava personalmente (atto sacrilego in quei tempi!), in assoluta libertà, nelle famiglie di probabili fidanzate, per tastare il terreno. Così facendo, con l’aiuto, con l’avallo di una sua sorella, Sarvu Scialàta ebbe l’ardire di scegliersi per fidanzata una ragazza di buona famiglia appartenente alla borghesia della Chora, di Bova, bypassando il parere, il consenso del genitore, che in ogni caso, sarebbe stato, al cento per cento, un diniego. Ma l’epilogo per una simile, smaccata ribellione, non poteva essere che negativo. Infatti, l’usanza corrente, esigeva, inequivocabilmente, la presenza o l’assenso del genitore del pretendente. Affinché in via di massima, anche se in modo informale, si cominciasse a gettare le basi per un fidanzamento che in un secondo tempo avrebbe dovuto rivestire tutti i sacri crismi dell’ufficialità. Don Agostino, nonostante fosse stato sollecitato, anche se timorosamente, dalla figlia a recarsi nella casa della ragazza, non fece mai il passo. Poi, per vie traverse, si premurò d’informare i familiari della ragazza che suo figlio era già impalorato. Quindi, a tutti gli effetti, era da considerarsi uno sposo promesso. In questo modo, per la Chora si sarebbe sparsa la voce che era ufficialmente già impegnato, e nessun genitore, eventualmente Sarvu andasse a bussare in qualche altra casa, gli avrebbe dato credito.
Sarvu, però non era un tipo che, al primo ostacolo, alla prima difficoltà si arrendeva tanto facilmente. Cambiò zona e rivolse il suo interesse ad una ragazza di Africo, paese in cui lui era molto conosciuto ed apprezzato. La ragazza in questione, era la figlia del podestà del paese, tale Romeo, persona con cui Sarvu e la sua famiglia avevano anche degli amichevoli rapporti. Sarvu pensava che suo padre, essendoci questa volta di mezzo un podestà, un amico, una persona importante, avrebbe sicuramente rivisto e modificato il suo ostile atteggiamento. Purtroppo, si sbagliò. Le cose non filarono lisce. Andarono come erano già andate nella Chora. Il contraccolpo psicologico fu terribile. Fu per questi motivi, per queste scottanti delusioni, che Sarvu iniziò a condurre una vita fatta di bagordi, disordinata, dissipata. Vita che gli valse poi l’epiteto di “Scialàta”. Nonostante tutto non si arrese. Cambiò zona di nuovo. A Scido aveva un’altra sorella sposata…
(continua)