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Serre. Il castello di Parsifal

  •   Mirko Tassone
Serre. Il castello di Parsifal

La Calabria racchiude nella parte più nascosta del suo seno luoghi, eventi, fatti che, pur avendone tratteggiato il destino, sembrano essersi definitivamente smarriti nel lento divenire del tempo. Una regione fatta di storie senza storia, di racconti senza narratori, di romanzi senza romanzieri. Ciascuno conserva qualche episodio tramandato più della memoria orale che dal rigore scientifico degli amanti di Clio. E così a sopravvivere sono storie antiche, di cui si è perso ogni pur minimo riferimento storico.

I GRECI, gli arabi, i bizantini, i normanni, se non fosse per qualche toponimo, è come se non ci fosseri mai stati. I luoghi della memoria giacciono negletti, abbandonati, come se avessero la colpa di far ricordare un passato più incerto, ma meno aleatorio, del vuoto e grigio presente. In un contesto in cui alla memoria collettiva si è spesso sostituita l’immagine folcloristica da sagra paesana è sempre più difficile elaborare un processo storico condiviso in grado da fungere da volano turistico. Mentre altrove si scrivono storie, si rielabora il passato e si valorizzano territori, in Calabria, al contrario, si lascia agonizzare lentamente quel che di buono è scampato alla furia dei terremoti, all’impeto delle alluvioni, alle scorrerie di vecchi e nuovi predoni.

NELLA PARTE più alta di monte Pecoraro, da dove è possibile scorgere le increspature dello Jonio e le arsure della vallata dello Stilaro, sorge ancora quel che rimane di Ferdinandea. Un nome evocativo dal quale traspare inequivocabile l’origine borbonica. Correva l’anno 1833 quando veniva inaugurato quello che molti, per troppo tempo, erroneamente riterranno il casino di caccia di re Ferdinando II. Al contrario l’imponente realizzazione, edificata nel cuore della montagna tra superpi abeti e faggi secolari, costituiva il nucleo secondario di una ferriera, succursale degli stabilimenti siderurgici di Mongiana. Nel corso della sue breve esistenza produttiva, Ferdinandea seguì inevitabilmente la stessa sorte toccata a Mongiana costretta a chiudere subito dopo l’unità d’Italia.

IL 27 AGOSTO 1860 un contingente garibaldino circondava e requisiva gli stabilimenti siderurgici. Un evento che segnerà il “de profundis” per uno dei primati produttivi del sud Italia. I nuovi padroni, ben presto, si dimostrarono assai meno caritatevoli di quelli appena scalzati. Estinte le attività proto-industriali, Ferdinandea conoscerà il suo definitivo canto del cigno. Nel 1874 l’immensa tenuta diventava proprietà del garibaldino Achille Fazzari, che l’acquistava all’asta insieme agli stabilimenti di Mongiana ed a diversi beni accessori. Nel corso degli anni “don Achille” fece di Ferdinandea la sua ricca e lussuosa dimora, nella quale, tra gli altri, soggiorneranno il fondatore del Il mattino di Napoli, Edoardo Scarfoglio e la di lui moglie, Matilde Serao. E proprio la scrittrice partenopea nel settembre del 1886, su Il Corriere di Roma, accostava Ferdinandea al leggendario “castello incantato di Parsifal”.

NEL CORSO dei loro soggiorni i visitatori potevano apprezzare la munificenza ed il mecenatismo del loro anfitrione. Fazzari aveva fatto della sua dimora una sorta di eterogeneo e caotico museo. Oltre alla “cura” del patrimonio artistico a Ferdinandea il Fazzari, intanto divenuto deputato, aveva riavviato, dopo averla rammodernata, la vecchia segheria borbonica che, nel 1892, era stata dotata di una dinamo elettrica necessaria a movimentarne le attrezzature. E proprio nei boschi di Ferdinandea sorgerà nel 1910, ad opera di Cino Canzio compagno della figlia di Fazzari, Elsa, la prima azienda idroelettrica della zona. Nel corso degli anni la proprietà passerà più volte di mano in mano, tanto che delle attività produttive non sopravviverà che l’attuale fonte della Mangiatorella e l’industria boschiva, peraltro privata dal valore aggiunto costituito dalla lavorazione del legname. Per il resto, un lento declino testimoniato dagli immensi capannoni abbandonati ed ormai cadenti, dagli alloggi per gli operi e dal nucleo centrale sul quale incombe inesorabile la scure del tempo.

I TANTI VISITATORI, che ancora oggi si avventurano sui luoghi, fulcro di un percorso organico di archeologia industriale, subiscono la stretta al cuore di chi vede lentamente svanire un patrimonio. Nella nostra regione si stenta a comprendere che lo sviluppo turistico passa dal recupero della storia.


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