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Un mare lontano e sconfinato

  •   Federico Curatola
Un mare lontano e sconfinato

Ritengo che per cercare di “costruire” una città con un’accettabile qualità della vita, si debba partire dal singolo individuo, che attraverso i suoi sogni, i suoi stimoli e le sue visioni, può e deve “influenzare” i suoi simili trasferendo così tali sogni, stimoli e visioni, alla “comunità”. Questa, esprimendo la propria “classe dirigente”, gli affida tali sogni, stimoli e visioni, affinché vengano, in parte o in toto, realizzati. Individuo è ciò “che non si può dividere, senza che perda la sua effigie, la sua personalità”. Leggendola così la definizione spingerebbe a credere che ognuno è un essere a sé stante. Ma la capacità relazionale, di cui tutti siamo dotati, ci rende, come individui, parte di un sistema complesso altrimenti chiamato “società” o “comunità”. Comunità. “Più persone che vivono in comune, sotto certe leggi e per un fine determinato; ed anche: Municipio e quelli che lo amministrano”. Una definizione che prefigura la concezione aristotelica del rapporto che intercorre tra individuo e comunità. Per Aristotele infatti l’individuo, in questo caso l’uomo, è un animale politico, destinato quindi alla vita comunitaria. Questa concezione mette dunque in stretta relazione le due entità, che si alimentano e si influenzano vicendevolmente. È ovvio che se gli individui creando la comunità iniziano ad omologarsi perdendo le loro peculiarità, le loro personalità, la comunità che ne viene fuori è una comunità chiusa, dalla quale, nel tempo, giungeranno sempre meno idee, spunti, e stimoli. Città è il luogo in cui si manifesta un’opportunità di vita sociale comune. In tal senso sono da considerarsi città anche tutti i centri rurali, tutte le frazioni, tutti i paesi montani che possano dimostrare l’esistenza di una comunità radicata nel territorio che identifica il piccolo centro abitato come centro della vita sociale. La vita sociale è al centro di questa definizione di città (una delle tante). Sottintende che ogni individuo vi partecipi attivamente. Ed eccoci al problema. Ed allora se ognuno smette di considerare “inutile” la partecipazione attiva alla “politica”, la sua idea sarà un colpo di mazza inferto al muro dell’indifferenza e del distacco che separa amministratori ed amministrati. Sarà la fine del pensiero unico e l’avvio di una nuova stagione in cui il confronto e la partecipazione riacquisteranno il loro sacrosanto spazio. Cambiando l’individuo, cambia la comunità. Diventa più solidale, più equa, più attenta ai bisogni di tutti, più sicura e pronta nel tutelare e pretendere diritti e doveri. E una siffatta comunità sfornerà individui (cittadini) più oculati nella gestione di quelli che impareranno a riconoscere come “beni comuni”, più accorti agli spazi pubblici ed alla loro fruizione, perché li considereranno alla stregua della propria privata abitazione. Risultato? Una città qualitativamente migliore, un ambiente sano, maggiori possibilità di sviluppo ed opportunità per i suoi abitanti. Ecco dunque il terzo passaggio. Una comunità migliore crea una città migliore. Ed una migliore classe dirigente, che sa quali sono, come dicevamo all’inizio, i sogni, gli stimoli e le visioni della sua gente. I passaggi sembrano difficoltosi, lo so. Sembra un percorso ad ostacoli, irto e scosceso. Una sfida che tante piccole e medie città hanno deciso di affrontare, perché le loro comunità hanno deciso di affrontarla, perché costituite da individui consapevoli e sognatori. Lo so, qui è difficile anche solo far capire come si deve parcheggiare l’auto, o come si deve fare la differenziata. Ciononostante credo che attraverso esempi virtuosi (che al momento però non si vedono), dati da chi deve guidare la comunità, qualcosa possa giungere agli individui che la compongono e risvegliare in loro “la nostalgia del mare lontano e sconfinato”. Ed allora, la speranza che si mettano a costruire la barca, sarà riaccesa.


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